Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTO È DIVENTATO IL COMITATO ELETTORALE DELLA MAGGIORANZA. TUTTO PRECIPITA IN UNA PROPAGANDA SENZA FRENI INIBITORI. E FORSE LA QUESTIONE VA OLTRE LE MARCHE. ATTIENE, SEMPLICEMENTE, ALLA NATURA SOVRANISTA
Andando a scartabellare tra i precedenti, si registra che in Parlamento, come ovvio che sia, le commemorazioni sono assai poche. E riguardano, come altrettanto ovvio, grandi figure. Che, come si diceva una volta con una sana attitudine pedagogica, assurgono ad “esempio”, per quel che rappresentano. Santi, o quasi.
L’ultima, solenne, quella di Papa Francesco. Andando a ritroso, oltre una decina di anni fa, Nelson Mandela, uomo simbolo della lotta all’Apartheid e di battaglie per l’emancipazione di un popolo. Andando ancora indietro, c’è poco altro, ad eccezione di rituali ricordi di personalità politiche nostrane, in occasione della scomparsa.
Va bene, la forma scelta ieri non ha la ritualità delle grandi occasioni: il minuto di silenzio, il discorso del presidente della Camera, gli interventi del governo. Però, insomma, la sostanza è davvero un unicum. Un conto, e non richiede la convocazione del Parlamento italiano, è la pietas verso l’inaccettabilità di un uomo ucciso per le sue idee, criterio che vale per chiunque venga ammazzato
Tanti sono i morti, di ogni colore e a ogni latitudine, meritevoli di pietas. Altro è l’enfatica trasformazione, ad opera della destra nostrana, di Charlie Kirk in simbolo della libertà, accompagnata dalla trasformazione delle istituzioni in un comitato elettorale della maggioranza, a sua volta accompagnata, nel racconto, dalla trasformazione, tossica e caricaturale, della sinistra politica in una banda di esaltati che predicano e giustificano la violenza.
C’è qualcosa che non va, in questo mix di santificazione e demonizzazione. Primo la biografia di Kirk: racconta di un estremista che predicava una Norimberga per i fautori delle teorie gender, incline alle venature razziali, sostenitore dell’uso delle armi, anti-abortista feroce. Insomma la negazione icastica dei valori della nostra Costituzione. Secondo: l’uso del Parlamento, diventato ormai la Camera della maggioranza.
È un crescendo: si santifica il nuovo apostolo del “piano di Dio”, si criminalizza la protesta su Gaza, facendo di tutt’erba un fascio (violenti e non), Salvini poi minaccia misure per far rispondere gli organizzatori (pacifici) dei danni (dei teppisti) e pure in materia di commissione Covid si annunciano novità sulle presunte altrui responsabilità.
Terzo: l’indicazione delle opposizioni come terreno di coltura della violenza, in omaggio alla propria cultura del nemico, è profondamente dannosa per i veleni che inocula nel Paese. Lo schema è antico: si alimenta lo scontro, per poi ridurre il dissenso a una questione di ordine pubblico.
Tutto l’ordine delle cose cioè sta precipitando in una propaganda senza freni inibitori. E forse la questione va oltre le Marche. Attiene, semplicemente, alla propria natura.
(da La Stampa)
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Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
SE IL CANCELLIERE MERZ SENTE IL PESO DEL PASSATO LE MOTIVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO APPAIONO FRAGILI E OPPORTUNISTICHE
Giorno dopo giorno Gaza diventa il condensato dei drammi e delle contraddizioni del
conflitto in Medio Oriente e delle incapacità, delle inadeguatezze e dei neppure molto oscuri disegni di alcuni protagonisti.
In primis non possono che stare le tremende condizioni in cui Netanyahu ha ridotto i gazawi. Non basta dire che tutto finirebbe se Hamas liberasse gli ostaggi anche se le pressioni sui capi di quell’organizzazione debbono essere intensificate da tutti e l’eventuale bluff merita di essere chiamato con un cessate il
fuoco temporaneo.
I dirigenti israeliani e i loro sostenitori non possono avere dimenticato in che modo furono trattati gli ebrei nell’Europa dell’Olocausto. Oramai raggiunti dall’accusa di genocidio e con Netanyahu criminale di guerra dovrebbero porre un limite alle loro efferate azioni a Gaza. Questo esito sarebbe più probabile se il presidente Trump smettesse di inviare armi ad Israele. Non verrà avvicinato dalla sequenza di riconoscimenti dello Stato della Palestina.
Oggettivamente, quello Stato non esiste e la sua costruzione richiederà tempo e impegno. Legittimo è anche pensare che l’attuale Autorità nazionale palestinese non abbia né l’autorevolezza politica né la credibilità e la competenza per procedervi in maniera efficace. È altresì possibile dubitare che Abu Mazen riesca a controllare, disarmare, escludere i dirigenti di Hamas, ma molto difficile sarà comunque evitare che le migliaia di palestinesi che anni fa votarono Hamas e che lo hanno a lungo sostenuto non intendano avere un ruolo politico nel nuovo stato. Se il riconoscimento è un gesto politico inteso a mandare soprattutto, credo, un messaggio di profonda riprovazione al governo Netanyahu e in subordine di sostegno alle aspirazioni di molti palestinesi, anche il non riconoscimento è un gesto politico. Se il cancelliere tedesco Merz sente giustamente il peso di un passato indimenticabile, le motivazioni del governo italiano appaiono fragili e sono forse opportunistiche
Non compiere un gesto simbolico, ma tutt’altro che ininfluente soprattutto perché risulterebbe sgradito al presidente degli Usa, è una posizione molto criticabile che segnala subordinazione, mancanza di autonomia, forse persino rinuncia all’esercizio della sovranità nazionale da parte del governo italiano. Ancora più triste sarà il giorno in cui il riconoscimento dello Stato palestinese da parte del governo italiano dovesse arrivare a ruota di quello di Trump. Peggio ancora se quel riconoscimento fosse rivendicato come contributo alla posizione comune e condivisa dell’Occidente.
Quello che sappiamo delle opinioni pubbliche nelle democrazie europee e occidentali nelle quali hanno la possibilità di esprimersi liberamente è che il governo israeliano ha bruciato gran parte del capitale di sostegno di cui ha a lungo goduto. Dappertutto le opinioni pubbliche occidentali hanno, per così dire, svoltato.
Le immagini di repressione e di oppressione ad opera del governo israeliano assolutamente e inequivocabilmente sproporzionate rispetto a qualsiasi comprensibile rappresaglia per le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre 2023, soprattutto l’agonia e la morte di un numero elevatissimo di bambini, hanno giustamente contribuito alla crescita di sostegno per i palestinesi. Quel sostegno non può essere intaccato neppure dalle deprecabili manifestazioni di dissennata violenza dei finti pro-Pal di Milano. Al tempo stesso, quel sostegno è tuttora privo di uno sbocco politico in direzione di un reale sollievo per i palestinesi di Gaza
Resta da vedere se l’operazione della Global Sumud Flotilla riuscirà a conseguire i suoi obiettivi, a cominciare dalla rottura pacifica del blocco navale imposto da Israele. Da un lato, rinunciando a scorte armate, i partecipanti dimostrerebbero che mezzi non violenti possono conseguire obiettivi di notevole importanza, non tanto contro Israele, ma soprattutto a favore della popolazione di Gaza. Dall’altro lato, al governo israeliano si offre la grande opportunità di dimostrare che “pietà non l’è morta”.
(da editorialedomani.it)
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Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
ECCO COME IL CAROVITA SI MANGIA TUTTO LO STIPENDIO
Ogni anno 121 mila persone lasciano il Sud per andare a lavorare al Nord. Però ogni anno in 63 mila lasciano il Centro-Nord per
tornare a lavorare nel Meridione. In larga parte si tratta di dipendenti pubblici che – trascorsi da 2 a 5 anni dal concorso – possono chiedere il trasferimento (art. 30 – 35 d.lgs.165 del 2001) attraverso una mobilità interna che in genere dà priorità al ricongiungimento e all’assistenza familiare, a motivi di salute e, in alcuni casi, tiene conto di altri fattori come l’anzianità di servizio.
Ma spesso, la vera «spinta» a cambiare, è il costo della vita. Prendiamo quattro professioni che ben rappresentano i principali settori nei quali si muove chi lavora per lo Stato: forze dell’ordine, scuola, Uffici postali e Inps. Sono strutture pubbliche alle quali si accede per concorso, e la destinazione dipende dai posti disponibili. In Lombardia ci sono più concorsi per insegnanti rispetto alla Campania o alla Sicilia perché ci sono più cattedre vacanti. E quindi i partecipanti spesso arrivano dal Sud. Il poliziotto di Napoli invece può doversi trasferire a Bolzano perché lì c’è carenza di organico. Per legge (art. 45 d.lgs.165 del 2001) a parità di mansioni gli stipendi sono uguali per tutti: un portalettere a Siracusa ha lo stesso stipendio del portalettere di Milano. Veniamo ai numeri
I trasferimenti
Nel 2024 i poliziotti che hanno chiesto di essere trasferiti al Sud sono stati 9.387 (fonte: ministero dell’Interno), col record di destinazione a Napoli (1.585) e Palermo (806). A chiedere di finire nelle questure del Nord, invece, appena 2.441.
Tra gli insegnanti le domande di lasciare le scuole del Nord e del
Centro per trasferirsi al Sud sono state oltre 10mila, quelle accettate 4.875 (fonte: Cisl Scuola), col record per i docenti di elementari e superiori. Solo 250 i trasferimenti dal Sud al Nord.
I postini che hanno chiesto di cambiare sede sono stati 3.782, di cui 2.533 (il 67%) puntano al Meridione (fonte: Poste Italiane): in testa la Sicilia, seguita da Campania, Puglia e Calabria.
Inversione di marcia invece all’Inps, dove i trasferimenti sono dimezzati. Nel 2022, 672 impiegati Inps avevano ottenuto di lavorare al Sud. Poi l’istituto ha cambiato le regole e ora sono 338, perché si accettano solo le domande di disabili e genitori di bimbi piccoli, e solo per periodi limitati (fonte: Inps). Per tutti, però, c’è la possibilità di fare fino a 16 giorni al mese di smart working.
Il costo della vita
Premesso che in tutte le Regioni vivere in città costa di più che vivere in periferia, le rilevazioni Istat ci dicono che in Italia mediamente una persona che vive da sola spende, tutto compreso, 1.972 euro al mese. In coppia – effetto dell’economia di scala – se ne spendono 2.816; che salgono a 3.291 nelle famiglie composte da tre persone; e a 3.659 euro in quattro.
Consideriamo chi, per scelta o necessità, deve arrangiarsi da solo. Al Nord spende mediamente 2.111 euro al mese, più o meno la stessa cifra se abita al Centro (2.190 euro di media mensile). Al Sud, invece, l’Istat ci dice che la spesa media scende a 1.580 euro mensili.
Cosa fa la differenza
Prendiamo le regioni più «gettonate» da chi chiede un trasferimento. Dai dati Istat, in Campania un single spende 1.598 euro al mese, in Sicilia 1682. Un quarto in meno dei 2.194 euro che servono nella regione del Nord con più abitanti, la Lombardia. Anche se le abitudini alimentari cambiano da Regione a Regione, non è tanto il cibo a fare la differenza: al contrario di quanto si potrebbe pensare, fare la spesa in un supermercato di Casoria o di Bagheria non è più conveniente che a Cinisello Balsamo. L’Osservatorio Prezzi del Mise, che tutti i mesi rileva il costo medio di decine di prodotti in giro per l’Italia, conferma che non esiste un trend geografico: ad agosto un litro di latte intero di alta qualità costava di più in provincia di Palermo (2,13 euro) che a Napoli (1,47) o nel Milanese (1,36). Ma un siciliano risparmiava, ad esempio, sul tonno in scatola: 12,2 euro al chilo, rispetto ai 16 che lo paga un napoletano e ai 15,6 che servono a Milano.
A fare la differenza è la casa, che da sola si prende quasi la metà del budget. Tra affitto, manutenzione e bollette, un campano spende mediamente 691 euro al mese, un siciliano 664. Un lombardo 1.019. I consumi per il riscaldamento, si sa, dove le temperature sono più miti si riducono, sia che si scelga di abitare in periferia sia che si viva in pieno centro. Tutt’altra storia quando parliamo di locazioni: nella provincia partenopea il prezzo medio degli affitti è 11,5 euro al metro quadrato, ma a Napoli città si sale fino a 18. Nel Palermitano: 8,5 al mq, 12 nel capoluogo. Nel Milanese il prezzo esplode: 21,4 al mq ma in
centro si arriva a 38,5.
Più cara al Nord anche la voce «trasporti»: per spostarsi (auto, mezzi pubblici ecc) in Lombardia servono 187 euro al mese, in Campania in media 89 euro, in Sicilia 12. A baristi e ristoratori, un lombardo lascia tutti i mesi 137 euro, il triplo di quanto spenda un campano e più del doppio di un siciliano.
Quanto incide sulla busta paga
Ma concretamente, tutto questo come incide sullo stipendio di chi vuole scegliere se chiedere o meno il trasferimento? Abbiamo chiesto a quattro dipendenti pubblici la loro busta paga: quella di un impiegato Inps con alle spalle circa 20 anni di servizio è di 1.750 euro netti; quella di un insegnante delle superiori di 1.769 euro; di un portalettere: 1.379 euro (con la paga di fine settembre Poste ha previsto un aumento di circa 50 euro lordi al mese). Un poliziotto delle Volanti con 5 anni di anzianità è di 1.931 euro netti.
L’impiegato Inps con questa paga in Sicilia copre la spesa media dei suoi corregionali (quelli che, come lui, vivono da soli) e avanza 68 euro al mese, vale a dire il 3,9% del suo stipendio. In Campania risparmia più del doppio: l’8,6%. In Lombardia, invece, la paga non gli basta: copre circa l’86% della spesa media.
Il prof siciliano invece avanza il 5%, il suo collega campano il 9,6% mentre il docente che vive in Lombardia copre l’84% della spesa.
Il poliziotto in Sicilia risparmia il 13% dello stipendio, in
Campania il 17%, ma anche lui in Lombardia fa fatica, visto che il suo stipendio copre il 92% del costo medio mensile.
Infine il portalettere: con la sua paga non copre la spesa media neppure vivendo al Sud: l’83% in Sicilia, l’87% in Campania e il 66% in Lombardia.
Quando i conti non quadrano
Pur lontani dalla soglia di povertà (a Milano è di 1.217 euro), se abitiamo in una città dove per le necessità quotidiane di base si spende di più di quanto si guadagna ci sono solo due strade: o troviamo il modo di dividere le spese con qualcuno, oppure rinunciamo a qualcosa. E quando non si riesce ad arrivare a fine mese, secondo un’indagine Assoutenti, noi italiani tendiamo a risparmiare soprattutto sul cibo, scegliendo prodotti di minore qualità.
I rischi dello squilibrio
È il caso di ricordare che un dipendente, qualunque sia la sua mansione, viene sempre formato: quindi la fuga al Sud è anche una fuga di competenze. Per tenersi stretti i propri lavoratori, specie quelli più qualificati, le aziende private del Nord pagano di media fino all’11% più che al Sud. Questo però non vale per i 3,6 milioni di dipendenti pubblici, che hanno lo stesso stipendio a prescindere dalla sede di lavoro. In sostanza, se al Nord in pochi vogliono fare il poliziotto, l’insegnante o il postino perché la paga è miserabile, e si coprono i buchi di organico attirando personale dal Sud dove la disoccupazione è cronica, quello stesso personale appena può torna da dove è venuto. Se non altro
per campare più dignitosamente.
Per queste categorie, indipendentemente dalla provenienza geografica, una soluzione andrà pur trovata, dai trasporti pubblici a prezzi agevolati, all’edilizia convenzionata, e soprattutto gli stipendi: quelli che abbiamo appena elencato non sono da Paese del G7.
Milena Gabanelli e Andrea Priante
(da corriere.it)
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Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
E SPINGE GLI ORGANISMI INTERNAZIOALI AD AGIRE
Dopo il Regno Unito, il Canada, l’Australia e il Portogallo, anche la Francia ha riconosciuto lo
Stato di Palestina. Altri cinque Paesi, fra cui il Belgio, ne hanno seguito l’esempio. Dei Paesi dell’Ue, solo la Germania e l’Italia rifiutano questo riconoscimento. La Germania forse per l’estrema difficoltà che trova nell’opporsi ad Israele. L’Italia, direi, per mera piaggeria verso Trump. In compenso, il nostro Paese è stato percorso da decine di migliaia di persone che manifestavano, scioperando, a favore della Palestina, uno sciopero politico con pochi precedenti in anni recenti, che gli episodi di vandalismo di alcuni gruppi estremisti non bastano a rendere meno significativo.
Quanti si oppongono al riconoscimento della Palestina, e fra questi vedo con dolore le comunità ebraiche e molta parte degli
ebrei italiani, sostengono che si tratta di un atto troppo precipitoso, che i tempi non sono ancora maturi, che prima occorre edificare lo Stato, poi riconoscerlo. E insistono che si tratta di un atto puramente simbolico, che sarà privo di effetti sulla situazione reale del conflitto.
In realtà, l’atto non è affatto solo simbolico, e ben lo dimostra la reazione del governo israeliano, che minaccia in risposta di annettere la Cisgiordania e taccia i Paesi europei di essere fautori di Hamas. Innanzi tutto, è un forte riconoscimento dell’identità dei palestinesi, nel momento peggiore della loro storia, quando due milioni di gazawi sono cacciati da Gaza, bombardati, affamati, vedono le loro case distrutte, le loro vite in continuo pericolo. Può essere che il fatto di non sentirsi abbandonati da tutti spinga un maggior numero di loro a guardare a un futuro ancora capace di offrire sicurezza e giustizia? In ogni caso, è loro dovuto. Se non ora, quando?
Poi, il riconoscimento implica rapporti tra Stati, con l’Unione Europea, l’Onu. Implica che le continue violenze di coloni e esercito in Cisgiordania debbano fare i conti con forze più valide di quelle generose organizzazioni internazionali che frappongono i corpi dei loro sostenitori a difesa dei palestinesi aggrediti, forse i Caschi blu. No, non è un atto solo simbolico, è un impegno. E non ultimo, riconoscimento dello Stato implica anche riconoscimento, e speriamo sostegno, di quella parte degli israeliani che lottano contro il loro governo.
Netanyahu tuona che uno Stato palestinese non ci sarà mai. Ci
ricorda che da premier ha fatto di tutto per impedirlo, che ne ha affossato lui la sua possibilità di esistenza. Il ministro Smotrich si propone come boia dei palestinesi, la leader dei coloni parla di espansione in Libano e in Siria. La violenza stessa di queste reazioni ci dice che questa mossa è giusta. La situazione è cambiata e Netanyahu, e dietro di lui Trump, e non ultimi i Paesi arabi, devono venirci a patti.
Può essere che inizialmente questo comporti maggiori difficoltà sia per Gaza che per i palestinesi di Cisgiordania. Che scatti la vendetta del governo, quella dei coloni. Ma, almeno per Gaza, più di quello che già succede? Credo però che alla lunga, e nemmeno troppo, i diritti di uno Stato riconosciuto finiranno per pesare più di quelli di uno Stato solo previsto, e continuamente rosicchiato dai coloni e dall’Idf. E allora l’isolamento in cui la politica del suo governo ha posto Israele servirà infine a metter fine a questa immane tragedia.
(da astampa.it)
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Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
I “CAUTI” AL SERVIZIO DEGLI STERMINATORI
I governanti europei più cauti (diciamo così) dicono che lo Stato della Palestina non può essere riconosciuto perché non esiste: prima va costruito (recente dichiarazione di Tajani). Potrebbe essere preso come un incitamento all’abuso edilizio: benedetti palestinesi, intanto cominciate a mettere giù un po’ di mattoni, qualche tettoia, magari un paio di semafori, e poi se ne parla.
Il problema è che quella procedura è stata già tentata, lungo i decenni e le generazioni, ma con risultati uguali a zero: i mattoni, e anche qualcosa di più, tipo ospedali e scuole, già c’erano. A Gaza, e qualcosina pure in Cisgiordania. Ora quasi tutto è raso al suolo; oppure occupato abusivamente dai coloni israeliani.
Estirpata ogni traccia di possibile territorio palestinese, e ricacciati costoro quasi al completo nella condizione di homeless, senzacasa che vagano a cielo aperto con le loro masserizie, come si può avere la faccia di bronzo di dire che non è possibile riconoscere la Palestina perché la Palestina non esiste?
Finalmente dev’essersi fatta qualche domanda in proposito anche la presidente Meloni, cauta tra i cauti e cautamente disposta a discutere di un cauto riconoscimento della Palestina, con tutta calma e a patto che i palestinesi accettino condizioni che potremmo definire di spalle al muro. Se Palestina deve essere,
sia una Palestina cauta.
Il tanto inutilmente citato “due popoli, due Stati”, alla luce degli eventi, sembra una folle utopia, per altro severamente smentita dai fatti. E dai rapporti di forza. Se qualcosa si muoverà, in soccorso dei palestinesi in fuga, non sarà il diritto, sarà una tardiva compassione.
(da repubblica.it)
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Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA FED È UN “IDIOTA, TESTA DURA E MULO” – PER IL TYCOON NOI EUROPEI SIAMO “SCROCCONI, PARASSITI E ORRIBILI”. ZELENSKY? “UN COMICO E DITTATORE NON ELETTO” – SPRINGSTEEN, CHE HA OSATO CRITICARLO: “STRONZO, INVADENTE E ODIOSO, PRUGNA RINSECCHITA”
«È sempre stato un figlio di puttana», ha detto Trump di Joe Biden. L’elenco degli insulti
lanciati dal presidente americano si allunga ogni giorno. Se dovessimo fare riferimento alla Vertigine della lista , il saggio in cui Umberto Eco catalogava i cataloghi, potremmo classificare gli insulti di Trump tra le accumulazioni caotiche: idiota, testa dura, mulo (al presidente della Fed), parassiti , scrocconi , orribili (agli europei), stronzo invadente e odioso, prugna rinsecchita (a Springsteen), comico mediocre e dittatore non eletto (a Zelensky), animali (ai manifestanti pro immigrati), corrotti e criminali (ai Paesi da cui provengono gli immigrati), eccetera.
Qualcuno gli risponde per le rime: per il coreano Kim, per esempio, Trump è un batterio e uno scarafaggio. Biden, durante un celebre confronto televisivo, gli ha dato del pagliaccio. E
mentre Donald bollava come stupida pazza Kamala Harris, lei si limitava a giudicarlo sobriamente un tiranno fascista.
Musk aveva qualificato la politica del suo amico un disgustoso abominio o, prima di pentirsi, come un bambino. Tuttavia, polemizzando con Steve Bannon che lo aveva definito uno scemo, un buffone e un non americano, lo stesso Musk non si è fatto scrupoli dandogli allegramente del ciccione, ubriacone, maiale.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
NON SOLO VIOLEREBBE IL DIRITTO A MANIFESTARE IMPONENDO UNA BARRIERA ECONOMICA, LA RESPONSABILITA’ E’ SEMPRE PERSONALE
Dopo le manifestazioni del 22 settembre, con oltre 80 piazze in tutta Italia scese in strada contro il genocidio a Gaza, l’occupazione della Palestina e il silenzio del Governo, in alcuni casi sfociate in blocchi ferroviari, portuali e tensioni con le forze dell’ordine, il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha lanciato una proposta destinata a far discutere: imporre una cauzione preventiva a chi organizza cortei e manifestazioni pubbliche. L’obiettivo, secondo il leader della Lega, sarebbe quello di garantire l’ordine pubblico e fare in modo che “chi provoca danni paghi di tasca propria”. Al di là della polemica politica, resta una domanda fondamentale: una simile proposta è compatibile con la Costituzione italiana? La risposta, dal punto di vista costituzionale, è no.
La Costituzione parla chiaro
Il diritto di manifestare è sancito dall’articolo 17 della Costituzione, che garantisce la libertà di riunione pacifica e senza armi.
I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato
preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Articolo 17 della Costituzione italiana
Le manifestazioni in luogo pubblico richiedono un semplice preavviso alla Questura, che può vietarle o modificarle solo per ragioni di sicurezza o ordine pubblico. Nessuna norma, oggi, dunque, prevede il pagamento di una cauzione per ottenere il via libera; l’idea di introdurre un versamento anticipato, magari da parte degli organizzatori, come forma di garanzia in caso di danni, rappresenterebbe dunque una novità assoluta per l’ordinamento italiano e anche una potenziale deriva pericolosa, che rischierebbe di trasformare un diritto fondamentale in un privilegio per pochi.
“Rischio di discriminazione economica”
A chiarire a Fanpage.it i profili di criticità costituzionale è Alfonso Celotto, professore ordinario di Diritto Costituzionale, che ha commentato così la proposta del leader della Lega: “Sappiamo bene che la libertà di riunione, di manifestazione del pensiero, di associazione sono libertà fondamentali della nostra Costituzione che ovviamente vanno contemplate con gli interessi degli altri. Ecco quindi quando c’è una manifestazione bisogna cercare di limitare anche i disagi per le altre persone e quindi bisogna trovare dei contemperamenti. Altra questione è quella degli eventuali danni durante una manifestazione o durante un corteo”. Contemperare, in senso giuridico, significa trovare un equilibrio tra diritti diversi: da un lato, quindi, quello di
manifestare, dall’altro, quello alla sicurezza, alla mobilità e alla tranquillità degli altri cittadini e cittadine. È un principio di proporzionalità, non un lasciapassare alla repressione o all’impedimento delle manifestazioni.
Celotto prosegue: “Parlo sulle manifestazioni a rischio, perché noi sappiamo che le manifestazioni che avvengono in luogo pubblico devono avere un preavviso alla Questura, solo un preavviso, lo dice l’articolo 17 della Costituzione. Può essere anche negato in casi di pericolosità o spostato per contemplare gli interessi, ancor più diventa oneroso pensare che invece la cauzione possa andare a limitare la possibilità di svolgere la manifestazione e diventi un discrimine economico”.
Il punto più delicato sarebbe proprio questo: la cauzione preventiva rischia di diventare una barriera economica, che limiterebbe il diritto di manifestare a chi può permettersi di anticipare denaro, penalizzando così soprattutto movimenti spontanei e associazioni meno strutturate.
La responsabilità esiste già
“Ovviamente è giusto che chi crea danni paga ed è anche giusto che quindi ci possa essere in idea una forma di responsabilità. Ovviamente la responsabilità esiste, la difficoltà è attuarla con la cauzione, perché non deve diventare un limite allo svolgimento della manifestazione”, dice ancora Celotti. Nel nostro ordinamento esistono già strumenti legali per punire chi commette violenze o danneggiamenti durante un corteo: la responsabilità penale e civile è individuale, e può portare a
condanne, multe e obblighi di risarcimento; il problema semmai è l’effettiva esigibilità dei danni, non l’assenza di norme.
Nessun precedente in Europa
Neppure in Europa esistono precedenti simili: in alcuni Paesi, come Belgio o Slovenia, gli organizzatori possono essere chiamati a rimborsare i costi delle forze dell’ordine dopo l’evento, ma non si richiede alcuna cauzione preventiva. La proposta di Salvini si porrebbe dunque in netta controtendenza rispetto a tutti gli standard democratici europei e alle raccomandazioni internazionali, che invitano a non ostacolare l’esercizio della libertà di manifestazione.
La proposta di Salvini, nel suo attuale impianto, sembra invece spostare il peso sul cittadino, introducendo una barriera economica che rischia di colpire soprattutto le realtà più piccole, i movimenti spontanei e le associazioni meno strutturate, e in un sistema democratico, il diritto a manifestare non può diventare un privilegio.
(da Fanpage)
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Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
LA RICERCA DI UN PORTO ALTERNATIVO FINORA VANA, NESSUNO DISPOSTO AD ACCOGLIERLA
I lavoratori portuali di Livorno fermano una nave militare americana. Un presidio
permanente organizzato dall’Usb ha fatto scegliere di cambiare il porto d’attracco dell’imbarcazione Slnc Severn, che batte bandiera dell’Alaska. Secondo alcune fonti l’imbarcazione trasporta mezzi e caterpillar destinati a Camp Darby, base militare dell’esercito italiano dove sono stanziate e operano unità militari statunitensi, situata nella Tenuta di Tombolo del comune di Pisa. Si lavora all’individuazione di un
porto alternativo. «Manterremo comunque il presidio finché non ci sarà comunicato ufficialmente il nuovo porto di destinazione», dice il portuale Giovanni Ceraolo.
Il blocco della Slnc Severn
La Stampa fa sapere che l’armatore avrebbe accettato anche il dirottamento in un porto non italiano. I porti alternativi italiani potrebbero essere Savona, La Spezia o Marina di Carrara. La protesta è cominciata lunedì 22 settembre all’alba. Gli operai hanno occupato il varco Valentini. Poi si sono riuniti in presidio permanente sulla banchina d’attracco della nave. Da allora la Slnc Severn è in mare. L’ultima posizione ufficiale rilevata dai sistemi di tracciamento della navigazione è di ieri alle 11, 20 fra Civitavecchia e la Corsica. Ma in serata è stata vista in rada a Livorno. «È probabile che i tempi per l’individuazione del nuovo porto non siano immediati. Questo perché la protesta dei portuali sta crescendo un po’ ovunque. Nessuno vuole essere complice del genocidio», dice Ceraolo.
Le manifestazioni di Livorno sono state organizzate dall’Usb e dal Gruppo autonomo portuale, analogo al Calp di Genova, il Collettivo autonomo lavoratori portuali. «Devono mettere in conto di dover manganellare e portare via di peso trecento persone che stanno dormendo in banchina e che non accetteranno mai di andarsene senza certezze e di lavorare per la
guerra», conclude. Sabato 27 settembre arriveranno a Genova le delegazioni di lavoratori di altri porti europei per discutere dell’organizzazione di una grande manifestazione unitaria contro il traffico di armi.
(da Open)
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Settembre 24th, 2025 Riccardo Fucile
UN ALTO DIRIGENTE DEL SERVIZIO PUBBLICO SPIFFERA: “UNA SPECIE DI ANNUNCIATORE DELLA CULTURA” …BUTTAFUOCO VIENE PRESENTATO UFFICIALMENTE COME “GIÀ GIORNALISTA, È UNO SCRITTORE”. CHISSÀ SE IL CONTRATTO CON RADIORAI SARÀ DA GIORNALISTA
Sono stagioni felici per Pietrangelo Buttafuoco. Oltre a essere presidente della Biennale di Venezia, l’intellettuale siciliano
entra dalla porta principale nel palinsesto di Radio Rai 1, presentato martedì, leggendo pagine letterarie legate all’attualità. «Una specie di annunciatore della cultura», spiffera sorridendo un alto dirigente del servizio pubblico radiotelevisivo.
E in serata, per festeggiare, si terrà un grande evento all’Auditorium Parco della Musica di Roma, con Buttafuoco protagonista delle Lezioni di creatività contemporanea 2025.
Da sottolineare come viene presentato ufficialmente ora Buttafuoco al pubblico: «Già giornalista, è uno scrittore».
Gli ex colleghi sono avvertiti. Chissà se il contratto con RadioRai sarà da giornalista…
(da lettera43.it)
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