Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
“LE MINACCE ISRAELIANE SONO ILLEGITTIME, LA MISSIONE UMANITARIA E’ LEGALE E IL GOVERNO ITALIANO HA L’OBBLIGO DI PROTEGGERNE LA TRAVERSATA”
Mentre le navi della Global Sumud Flotilla cercano di aprire un corridoio umanitario verso Gaza, nonostante la massiccia e costante presenza di droni, la musica che interrompe le trasmissioni radio per innescare panico e gli attacchi che hanno costretto alcune delle imbarcazioni a fermarsi, il dibattito politico rischia di perdere di vista il diritto internazionale. Quasi tutte le dichiarazioni, dalle più polemiche alle più empatiche, da Giorgia Meloni a Sergio Mattarella, sembrano infatti basarsi sulla realpolitik, e quindi sull’accettazione rassegnata che il più potente abbia ragione a prescindere. Così, tra un insulto e un invito alla mediazione, la legge del più forte diventa la norma.
Sullo sfondo resta, ignorato, il diritto internazionale. Anche per questo ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), i Giuristi Democratici e Comma2 – Lavoro è dignità, tre realtà di giuristi impegnate nella difesa dei diritti fondamentali, hanno pubblicato una lettera per spiegare perché il comportamento della Global Sumud Flotilla è legale, “soprattutto alla luce – scrivono – di una serie di affermazioni contrarie al diritto internazionale espresse anche da esponenti del Governo italiano”.
Dalla terra al mare: l’inefficacia giuridica degli atti illeciti
La prima obiezione sollevata riguarda le acque israeliane, che israeliane non sono (checché sostenga il ministro Crosetto in parlamento). I giuristi segnalano infatti un principio di diritto di base: non si possono riconoscere effetti giuridici ad annessioni territoriali illecite. Di conseguenza, concludono, “è illecito qualsiasi riconoscimento di sovranità territoriale israeliana sul mare antistante Gaza”.
Il riconoscimento dell’illiceità dell’occupazione israeliana, e dunque anche delle pretese di sovranità sulle acque territoriali palestinesi, è stato di recente ribadito anche dalla Corte Internazionale di Giustizia, oltre che dall’Assemblea generale
delle Nazioni Unite. La prima, il 19 luglio 2024, ha ribadito la presenza illecita israeliana nei territori occupati e ha sottolineato l’obbligo degli Stati (tra cui anche l’Italia) di “vigilare affinché sia posto fine a ogni ostacolo all’esercizio del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione derivante dalla presenza illecita di Israele nel Territorio palestinese occupato”. La seconda, con la risoluzione del 13 settembre 2024, ha imposto a Israele un anno (ormai scaduto) per porre fine all’occupazione, vietando nel contempo agli altri Stati di riconoscere effetti giuridici a questo atto illegale.
A prescindere dall’occupazione, che riguarda le acque territoriali, la tutela dei membri della Global Sumud Flotilla deve essere garantita a maggior ragione nelle acque internazionali, dove vige il principio inderogabile della libertà di navigazione. Questo non è solo un principio pattizio, ma un vero e proprio cardine del diritto consuetudinario del mare, codificato dall’UNCLOS (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare). L’UNCLOS, sottoscritta tanto dall’Italia quanto dallo Stato di Palestina, vincola in larga parte anche Israele: le sue disposizioni fondamentali (come quelle sulla libertà di navigazione) hanno natura cogente, cioè si applicano indipendentemente dalla ratifica, essendo parte del diritto internazionale consuetudinario. Israele, peraltro, aveva già ratificato a Ginevra, nel 1958, il nucleo di quelle norme, potendo sottrarsi soltanto alle ulteriori previsioni introdotte con la Convenzione del 1982.
Il diritto umanitario contro il genocidio: dalle convenzioni di Ginevra alle ordinanze della Corte Internazionale di Giustiz§
Se anche si volessero ignorare le questioni sulla sovranità e sull’occupazione, e si considerasse quindi lecito il blocco navale israeliano, questo non potrebbe comunque impedire l’accesso a convogli umanitari. Più forte della sovranità, e valido pure in guerra, è infatti il diritto umanitario.
In particolare, con la Quarta Convenzione di Ginevra, agli articoli 23 e 55, si stabilisce l’obbligo per le parti in conflitto di garantire il passaggio di viveri e medicinali ai civili nei territori occupati. Per questo un blocco che abbia come finalità, o anche solo come effetto, quello di affamare la popolazione è non solo illegittimo, ma integra un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità
A confermarlo sono anche le ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia emesse nel 2024. Nelle decisioni del 26 gennaio, 28 marzo e 24 maggio, la Corte ha imposto a Israele di assicurare l’arrivo di beni di prima necessità alla popolazione di Gaza come misura urgente di prevenzione del genocidio.
In questo quadro, i giuristi ribadiscono che ogni attacco contro le navi della Global Sumud Flotilla costituisce un atto illecito di uso della forza. Al contrario, sarebbe legittimo (e doveroso) l’intervento di protezione da parte di navi militari italiane, chiamate a garantire la sicurezza di persone che, trovandosi su imbarcazioni battenti bandiera italiana, rientrano sotto la giurisdizione dello Stato. Al diritto della popolazione civile di ricevere viveri e medicinali e al diritto degli attivisti alla sicurezza corrisponde infatti l’obbligo degli Stati di garantire e tutelare questi diritti, anche mediante interventi di protezione quando necessari.
L’eccezione e la regola: una disobbedienza che non disobbedisce
La lettera di ASGI, Giuristi Democratici e Comma 2 ha il merito di dare una risposta giuridica autorevole alle obiezioni politiche. E questa risposta permette di osservare un paradosso di questa missione umanitaria: coloro che sembrano ribelli, pronti a sfidare l’autorità, sono in realtà i soli a comportarsi secondo le regole del diritto internazionale
Nella storia civile, la disobbedienza è stata spesso il gesto necessario per ribaltare norme ingiuste: dall’esempio della tragedia greca, con Antigone che rivendica un dovere più profondo delle leggi della polis, a Rosa Parks che rifiuta di alzarsi dal posto sull’autobus negli Stati Uniti segregazionisti. Quando la legge è ingiusta, l’etica si oppone frontalmente all’ordinamento
Oggi però la situazione si capovolge: le leggi giuste esistono già (codificate nelle convenzioni internazionali, ribadite dai tribunali) ma vengono sistematicamente ignorate o sospese di fronte alla forza. Così, la vera disobbedienza civile consiste non tanto nel violare la legge, ma nel continuare ad applicarla quando i governi la tradiscono
Nel 2025, in mare, la disobbedienza non disobbedisce. E chi, all’asciutto, osserva la lecita traversata della Global Sumud Flotilla verso un popolo vittima di crimini contro l’umanità, dovrebbe ricordare l’ammonimento di Brecht, all’inizio del suo L’eccezione e la regola:
E — vi preghiamo — quello che succede ogni giorno
non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: è naturale in questo tempo di anarchia e di sangue, di ordinato disordine, di meditato arbitrio, di umanità disumanata, così che nulla valga come cosa immutabile.
(da fanpage)
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Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
“IL CREMLINO NON RIESCE PIU’ A PROIETTARE IL SUO POTERE ALL’ESTERO COME UN TEMPO”… LA PRESIDENTE SANDU E’ PIU’ FORTE E LA SOCIETA’ MENO FRAGILE”
La sconfitta dei partiti filo-Cremlino in Moldavia segna un ridimensionamento tangibile
dell’influenza russa nello spazio post-sovietico. Nonostante disinformazione, pressioni energetiche e tentativi di destabilizzazione, il blocco pro-russo — penalizzato anche da esclusioni legali e divisioni interne — non è riuscito a tradurre il malcontento in consenso.
La netta affermazione del Partidul Acțiune și Solidaritate (Pas) della presidente Maia Sandu consolida la rotta verso Bruxelles e mostra che gli strumenti di Mosca iniziano a perdere efficacia.
Per la Russia, alle prese con un’economia in affanno e lo stallo in Ucraina, la sconfitta apre un fronte di vulnerabilità. Vladimir Putin dovrà scegliere se intensificare la coercizione ibrida, ricorrere all’opzione militare o accettare il ridimensionamento della sua influenza in un Paese che considera cruciale per motivi strategici e simbolici.
Unità fragile
“Il risultato è chiaro: i moldavi sono uniti nel loro desiderio per la pace, la democrazia e l’Europa. E nel coraggio per difenderle”, ha detto Sandu quando il verdetto delle urne è diventato ufficiale. “La nostra strada è verso l’Europa”.
Il voto garantisce per i prossimi quattro anni una maggioranza stabile che ha come primo obiettivo quello, ricompreso nella Costituzione, di perseguire l’integrazione europea. Non solo Pas, anche altri partiti pro-Europa saranno in Parlamento.
“Hanno accolto i voti di chi, seppur deluso del governo, vuole l’Europa e la democrazia”, dice a Fanpage.it il sociologo Vadim Pistrinciuc, capo dell’Istituto per le iniziative strategiche di Chisinau ed ex deputato liberal democratico.
“Le politiche si differenziano ma concordano nella visione europeista”, aggiunge. L’economia moldava resta fragile, soprattutto a causa dei rincari energetici legati alla guerra in Ucraina e alle pressioni russe. Mosca da tempo usa la leva del gas come arma.
Ha trasformato i debiti di Moldovagaz in obbligazioni statali, ha assicurato alla Transnistria — la regione separatista di fatto occupata fin dal 1992 — forniture scontate, alimentando
malcontento nel resto del Paese per indebolire il governo filo-occidentale di Sandu e il percorso di integrazione europea.
Nonostante le importazioni e i fondi Ue, la povertà rurale resta grave. Pesano il calo delle rimesse dai moldavi all’estero e l’invecchiamento della popolazione.
La cura europea
Ma, contrariamente alle aspettative di Mosca, l’insoddisfazione non ha portato i moldavi a buttarsi nelle braccia del padrone da cui si sono liberati nell’agosto 1991.
Hanno preferito ricette più difficili e impegnative. Hanno considerato essenziale il progresso verso l’Ue e le riforme strutturali che implica. Hanno capito che la dipendenza energetica dalla Russia aumenta non solo i rischi politici ma anche quelli per l’agricoltura e lo sviluppo sostenibile.
Vista da Bruxelles, la vittoria europeista ai seggi ridimensiona, almeno in parte, i dubbi sulle drastiche divisioni interne e sulla tenuta delle istituzioni e dell’opinione pubblica, finora ritenute non sufficientemente stabili per un’integrazione efficace nell’Ue.
“Il risultato elettorale indica una riduzione delle fragilità”, dice a Fanpage.it Nicoletta Pirozzi, responsabile del programma Ue, politica e istituzioni dell’Istituto affari internazionali (Iai).
Per l’Ue, che ha gettato il cuore oltre l’ostacolo associando la Moldavia all’Ucraina nella sua candidatura all’adesione e investendo nel Paese, si trattava di non ritrovarsi poi con un candidato in preda a una deriva autoritaria, euroscettica ed essenzialmente pro-Putin. Quindi, ci si è mossi con i piedi di piombo.
Ora, le cose cambiano. “Il voto di domenica dà una spinta, offre all’Ue l’opportunità per accelerare il processo di adesione”, osserva Pirozzi. Problema: il percorso è legato a quello dell’Ucraina e l’adesione di Kyiv è bloccata dal veto dell’Ungheria.
Se un’intesa con Budapest si rivelasse impossibile, “si potrebbe valutare una separazione dei processi di adesione di Moldavia e Ucraina, o almeno permettere alla Moldavia di aprire i capitoli delle trattative indipendentemente”.
Nel frattempo, “l’Ue dovrà mostrare ai cittadini moldavi i benefici concreti e immediati del suo sostegno, con iniziative pratiche e costanti”, commenta a Fanpage.it Rasmus Nillson, docente alla Scuola di slavistica e studi sull’Europa orientale presso l’University College di Londra.
“Le visioni a lungo termine sull’adesione sono importanti, ma da sole non bastano: la fiducia rischia di diminuire, se i progressi socio-economici non saranno presto visibili”. Soprattutto, nelle regioni agricole più decentrate. In Gagauzia, il Pas ha preso solo il 3 per cento.
“Vogliamo essere Europa ma dovremo fare molta attenzione con le riforme necessarie”, avverte ancora Pistrinciuc. “La Russia cercherà di sfruttarne ogni aspetto impopolare o anche solo critico”.
L’ex parlamentare infatti non ha dubbi: “Nonostante la società moldava abbia dimostrato di aver sviluppato un antivirus efficace contro l’interferenza russa, è presto per cantar vittoria. L’interferenza continuerà. Dobbiamo esser preparati”
Tra i vari modi in cui Mosca ha tentato di influenzare queste elezioni, è emblematico quello individuato dalla Bbc grazie a
una reporter sotto copertura.
La sedicente coordinatrice di un’azienda della Transnistria ha reclutato la giornalista in incognito per produrre post su TikTok e Facebook prima delle elezioni, pagandola tramite con la carta di credito di una banca russa sanzionata.
Inizialmente su temi patriottici, i contenuti sono poi diventati apertamente politici e diffamatori, comprendendo accuse infondate contro il governo moldavo e contro Sandu. Tra le fake news, quella secondo cui l’adesione della all’Ue prevede un cambiamento dell’“orientamento sessuale” dei cittadini in senso Lgbt.
E poi quella secondo cui la presidente Sandu sarebbe coinvolta in traffico di minori. Al di là di queste enormi bufale, normali per chi sa qualcosa delle troll-factory di Cremlino e dintorni, la Bbc ha scoperto che la rete segreta filorussa fa capo all’oligarca Ilan Shor, moldavo legato ai maggiori scandali finanziari del Paese, ricercato e rifugiatosi a Mosca.
Shor da anni è l’eminenza grigia dei movimenti pro-Cremlino nel suo Paese: “Per le presidenziali del 2024 la sua campagna era incentrata sul denaro, quest’anno ha puntato alla disinformazione”, ha detto alla Bbc da Chisinau il capo della polizia Viorel Cernauteanu.
E Putin perde terreno
Le manifestazioni contro il risultato elettorale subito organizzate dai partiti e dai movimenti pro-Cremlino “non causeranno seri disordini”, sostiene il professor Nillson. Solo qualche centinaio di persone, al momento in cui scriviamo, è sceso in piazza.
“Ma gli organizzatori cercheranno sempre più cittadini scontenti
da coinvolgere e potrebbero ricorrere a metodi meno evidenti per destabilizzare il governo”. La Russia “continuerà a finanziare operazioni di interferenza e di disinformazione in Moldavia e altrove”, aggiunge.
La Moldavia è considerata da Mosca un Paese chiave. Per la sua vicinanza all’Ucraina e alle basi Nato, e per la presenza russa in Transnistria. La perdita di influenza potrebbe indebolire il soft power russo e favorire un effetto domino pro-Ue nella regione.
Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha negato ogni intrusione e accusato Chisinau di aver impedito il voto di centinaia di migliaia di moldavi residenti in Russia. A loro disposizione c’erano solo due seggi. Fatto sta che la capacità di influenzare lo spazio da Mosca ritenuto vitale ha subito un ridimensionamento domenica.
Non è il primo segnale: la crisi diplomatica con l’Azerbaijan, ormai ex alleato, indica un crescente indebolimento nella regione. Allargando l’orizzonte, la partenza dei mercenari della Wagner dal Mali nel giugno scorso, secondo molti osservatori denota un declino in Africa.
“L’influenza del Cremlino all’estero tende a diminuire, a causa delle crescenti difficoltà economiche interne. Per quanto riguarda i finanziamenti, l’Ue rimane molto più efficiente”, conclude Rasmus Nillson. Ma se l’influenza della Russia cala, la sua guerra ibrida contro l’Europa si intensifica.
A colpi di droni fuori rotta, cacciabombardieri distratti e attacchi cyber più o meno indiretti. Vladimir Putin quando è costretto all’angolo si scaraventa sull’avversario, tutti ormai conoscono l’aneddoto del topo.
La Moldavia ha bisogno dell’Europa, hanno detto le elezioni di domenica. E l’Europa, dell’energia e della determinazione della Moldavia. Soprattutto, ha bisogno di nervi saldi e sangue freddo.
(da Fanpage)
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Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
IL GOVERNO RUSSO PRESENTA LA LEGGE DI BILANCIO IN PARLAMENTO: MOSCA IMPIEGA L’8% DEL PIL PER MIGLIORARE LE PROPRIE FORZE ARMATE … PER FINANZIARE LA GUERRA IN UCRAINA, IL CREMLINO E’ OBBLIGATO AD AUMENTARE DAL 20 AL 22% L’IVA…LA CRESCITA PER L’ANNO PROSSIMO E’ RIDIMENSIONATA DAL +2,4% AL +1,3%
Il Governo russo ha presentato ieri alla Duma di Stato il progetto di bilancio 2026 e le previsioni per i due anni successivi. Una manovra che prende atto del rallentamento dell’economia, riducendo ulteriormente le stime della primavera scorsa sull’andamento della crescita, ridimensionata per il 2025 da +2,5 a + 1%, e da +2,4 a +1,3% per l’anno prossimo.
Nondimeno, il budget continua a dedicare il grosso delle risorse del Paese al proseguimento della guerra in Ucraina: le spese per la difesa, pari a 12.600 miliardi di rubli (151 miliardi di dollari), sommate a quelle per la sicurezza (4.065 miliardi di rubli)
arrivano a coprire il 40% della spesa totale, pari all’8% del Pil.
Segnalando la difficoltà del Governo a reperire nuove risorse per finanziare la macchina bellica, la manovra ricorre alle tasse, rinnegando la promessa di Vladimir Putin che lo scorso anno aveva escluso nuovi aumenti fino al 2030. Come anticipato nei giorni scorsi, invece, il budget prevede un aumento dell’Iva di due punti percentuali, passando dal 20 al 22%. Inoltre, viene allargata la base delle imprese che dovranno versare l’imposta.
Presentando la manovra, il ministero delle Finanze lo ha detto chiaramente: gli aumenti fiscali saranno destinati in primo luogo alla difesa e alla sicurezza. Il ministro Anton Siluanov, tuttavia, si è affrettato ad assicurare che il budget è ben bilanciato, e che l’aumento dell’Iva servirà paradossalmente a tenere sotto controllo l’inflazione e a scongiurare nuovi rialzi del costo del denaro, evitando un indebitamento pubblico eccessivo. Il primo ministro Mikhail Mishustin ha dunque fissato le entrate del prossimo anno a 40.283 miliardi di rubli, le spese a 44.086 miliardi.
(da agenzie)
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Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
IN PATRIA BLAIR CADDE NELL’IGNOMINIA PER AVER TRASCINATO CON LE MENZOGNE LA GRAN BRETAGNA NELLA SECONDA GUERRA DEL GOLFO CONTRO SADDAM HUSSEIN … CON IL SUO “TONY BLAIR INSTITUTE” L’AVIDO “BIGLIET-TONY” E’ ENTRATO ANCHE NEL PROGETTO DELLA RIVIERA DI GAZA
Uomo dalle sette vite, Tony Blair: la sua ultima incarnazione sarà da «proconsole» di
Donald Trump per Gaza. L’ex premier britannico è stato indicato fra i componenti di quel comitato che dovrà guidare la transizione post-bellica nella Striscia: non è quel «governatore di Gaza» che si era a un certo punto vagheggiato, ma il suo nome è l’unico che compare nero su bianco nella proposta di pace e dunque lui avrà senza dubbio un ruolo chiave nel disegnare il futuro della Striscia.
Blair ha una lunga frequentazione col Medio Oriente e non tutto – anzi ben poco – riverbera una luce positiva. Appena lasciata Downing Street, nel 2007, annunciò che avrebbe assunto l’incarico di inviato speciale delle Nazioni Unite per il Medio Oriente: c’era da capirlo, non aveva voglia di stare con le mani in mano, aveva solo 54 anni ed era un po’ presto per andare in pensione.
Ma già quella nomina suscitò perplessità: in patria Blair era caduto nell’ignominia per aver trascinato con le menzogne la Gran Bretagna nella seconda guerra del Golfo contro Saddam Hussein, quella del 2003. Non un gran viatico per mettere le mani in pasta nel Medio Oriente.
Come inviato speciale Blair durò fino al 2015: un mandato inconcludente, che era consistito sostanzialmente nello scendere negli hotel di lusso della regione. Ma fu un’esperienza che gli procurò contatti ed entrature che gli sono tornati buoni quando ha lanciato il suo Tony Blair Institute, un business di consulenza soprannominato «la McKinsey dei governi»:
Fra i clienti cui si è legato con lucrosi contratti figurano gli sceicchi del Golfo e Paesi di dubbia reputazione che vanno dalla dittatura egiziana di Al-Sisi alle satrapie centro-asiatiche. Connessioni che hanno procurato a Blair non poche critiche, ma per lui pecunia non olet e il sentore del danaro è ciò che lo ha sempre attirato (fra conferenze, discorsi, libri e attività del suo istituto è diventato rapidamente multimilionario).
Che l’ex premier avesse il pallino del Medio Oriente lo si è visto confermato quando, qualche mese fa, si è scoperto che il suo Istituto, assieme all’Amministrazione americana e a uomini d’affari israeliani, stava lavorando al fantasmagorico progetto della Riviera di Gaza, che intendeva trasformare la Striscia in una nuova Dubai, con tanto di isole artificiali davanti alla costa: di fronte alla rivelazioni, l’Istituto si è prodotto in imbarazzate marce indietro, negando che il piano prevedesse la deportazione dei palestinesi.
Eppure le visioni di Blair devono aver colpito Trump, visto che ha messo l’ex premier britannico al centro della ricostruzione di Gaza. E non deve stupire troppo che un ex leader laburista vada a braccetto con un presidente espressione della destra populista: Blair è sempre stato un politico post-ideologico, che sosteneva che non è importante che una soluzione sia di destra o di sinistra, basta che funzioni
Blair fremeva dalla voglia di tornare sulla scena: per un buon decennio in patria era stato un «innominabile», travolto dalla débâcle irachena e disprezzato a destra come a sinistra, simbolo di una politica cinica e di un globalismo che aveva fatto il suo tempo. Eppure da qualche anno era cominciata una sua riabilitazione, nel deserto di idee che è il Labour
(da Corriere della Sera)
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Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
IL SINDACATO FRANCESE DEI FUNZIONARI PUBBLICI DELL’ISTRUZIONE PRESENTA DENUNCIA E SOSTIENE CHE LECORNU ABBIA “USATO CONSAPEVOLMENTE UN DIPLOMA DI CUI NON ERA TITOLARE”
Il sindacato francese dei funzionari pubblici dell’istruzione ha presentato denuncia contro il premier Sébastien Lecornu, accusato di avere vantato nel curriculum un master in diritto pubblico senza aver completato il secondo anno di studi.
Anche stavolta la vicenda comincia con un’inchiesta del giornale online Mediapart (lo stesso che ha originato la condanna di Nicolas Sarkozy).
Due settimane fa la testata fondata da Edwy Plenel ha rivelato che il premier Lecornu non è in possesso del diploma di master (che si ottiene in due anni), a differenza di quel che si legge nei ritratti a lui dedicati nella pagina del ministero della Difesa o sul suo profilo LinkedIn.
La discrepanza è favorita dal fatto che la denominazione dei diplomi è cambiata da quando Lecornu ha terminato gli studi. Lui stesso lo ha spiegato nel corso dell’intervista apparsa sabato sul Parisien : «Ho una maîtrise in legge, dunque un master 1 (quattro anni di studi in totale dopo il liceo, ndr )» all’università Panthéon-Assas di Parigi. Dopo la riforma intervenuta negli anni 2000, per avere un master, gli anni di studi necessari sono cinque. «Ho percepito in questa falsa polemica una forma di disprezzo sociale», dice Lecornu sempre nell’intervista al Parisien .
Il sindacato però nella denuncia sostiene che il premier abbia voluto «far credere di essere titolare di un master in diritto pubblico» e abbia «usato consapevolmente un diploma di cui non era titolare».
(da Corriere della Sera)
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Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
NETANYAHU, TRUMP D’ACCORDO SU NO A STATO PALESTINESE
In un video pubblicato sul suo profilo X, il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu
ha elogiato il piano presentato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per la fine della guerra a Gaza.
Quando la persona dietro la telecamera gli chiede se avesse acconsentito alla creazione di uno Stato palestinese, Netanyahu nega subito. “Assolutamente no”, risponde, “non è scritto nell’accordo”.
“Abbiamo detto che ci saremmo fermamente opposti a uno stato palestinese”, aggiunge, sostenendo che Trump è d’accordo con lui sul fatto che sarebbe una “massiccia ricompensa per il terrore”.
Benyamin Netanyahu rimane “molto chiaro nella sua opposizione a uno Stato palestinese”: lo ha detto Donald Trump nella conferenza stampa congiunta alla Casa Bianca con Benjamin Netanyahu.
Ancora una volta, Benjamin Netanyahu fa sì che il pallino sia nel campo di Hamas. Ha fatto dire a Donald Trump di aver accettato il piano che ha avuto il sostegno dei Paesi arabi. È uscito dall’angolo, a livello internazionale, anche con le scuse al Qatar e vi ha messo il gruppo palestinesi.
Ci è arrivato in extremis, dopo che la prima versione del piano, quella in ventun punti sembrava fatta apposta per metterlo in difficoltà
L’azione del Qatar, e poi del presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante il suo incontro alla Casa Bianca del 25 settembre, aveva convinto Donald Trump che era arrivato il momento di ricucire con i Paesi del Golfo e chiedere sacrifici all’amico Bibi.
Il raid su Doha del 9 settembre aveva fatto traballare le alleanze storiche degli Stati Uniti nel Golfo. Il sacrificio principale richiesto era la rinuncia all’annessione. Non solo quella della Striscia, chiesta a gran voce dai ministri dell’ultradestra Ben Gvir e Smotrich, ma anche della Cisgiordania.
Un’inversione a U per il leader Usa [ Invece, questa volta, era un no secco all’annessione e, in prospettiva, la nascita di uno Stato palestinese, che proprio quell’espansione della sovranità israeliana voleva seppellire
Per Netanyahu annacquare quel punto era fondamentale. Non solo per evitare una rottura definitiva con gli stessi Ben Gvir e Smotrich, ma anche per evitare di rinnegare una linea fatta ormai propria dal Likud, di rifiuto degli Accordi di Oslo.
Nella conferenza stampa dei due leader, Netanyahu ha fatto in modo di sottolineare che il nuovo piano in venti punti riprende in pieno i cinque che il premier aveva annunciato dopo che a luglio Hamas aveva rifiutato l’ennesima proposta, dando un’altra vittoria a Bibi.
Incentrati sul disarmo dei militanti palestinesi. Per farlo ha in parte sacrificato sull’altare del consenso interno e internazionale, la sua alleanza con i messianici e i coloni.
Bibi è tranquillo, sa che comunque l’anno prossimo ci saranno le elezioni e, nel caso i messianici Ben Gvir e Smotrich dovessero mollare il governo per le concessioni ad Hamas e ai palestinesi, come la creazione dello Stato e la sovranità sulla Striscia da parte araba, è pronta la stampella dei centristi capeggiati dall’ex premier a rotazione e ministro della difesa Benny Gantz, per portare avanti un esecutivo che porti a termine i punti dell’accordo, in particolare il rilascio degli ostaggi e la fine della guerra.
In vista delle elezioni, Netanyahu sa di potersi liberare dall’abbraccio mortale dei messianici. Una ciambella di salvataggio che, però, non lo convinceva fino in fondo. Nei giochi bizantini dei palazzi, sa benissimo che Gantz vorrebbe tanto il suo posto. Per farla lui la pace definitiva e mettere in sicurezza lo Stato ebraico.
La promessa di un’alleanza non bastava. Ha chiesto di più. E lo
ha ottenuto. È arriva la promessa del presidente Herzog di concedergli la grazia nei tre procedimenti nei quali il premier è accusato di frode, abuso di fiducia e corruzione.
«Il caso Netanyahu grava pesantemente sulla società israeliana. Se ci sarà una richiesta o un procedimento, lo divulgherò al pubblico in piena trasparenza», ha dichiarato ieri Herzog alla Radio dell’Esercito. Questo e l’accordo sulla fine della guerra, potrebbero rimettere Bibi in pista alle prossime elezioni politiche a ottobre dell’anno prossimo. Che vinca, perda o pareggia adesso sa che la massima istituzione non lo vuole vedere in galera e lo ha detto. E alla fine, resta la garanzia dell’amico Donald.
Gli ha chiesto sacrifici, non lo lascerà affondare.
(da La Stampa)
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Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
“LA GUERRA A GAZA? SPERIAMO IN UN ACCORDO TRA ISRAELE E HAMAS” – D’ALTRONDE TUTTO QUESTO CONFIDARE IN QUALCUNO CHE RISOLVA I DISASTRI NON FA CHE CERTIFICARE L’IMPOTENZA DAVANTI AGLI EVENTI: CHI SI PASCE DI SPERANZA, MUORE DI FAME
“Speriamo che non succeda nulla. Anche stamane ho parlato con il ministro degli Esteri di Israele raccomandandomi che, anche in caso di intervento, non venga usata violenza nei confronti degli italiani e degli altri, rivelando poi che ci sono anche dei parlamentari a bordo”.
Così il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, a Ciampino per
l’arrivo del volo umanitario con un gruppo di sette bambini di Gaza bisognosi di cure. “Ho ribadito in tutti i modi, anche alla portavoce della Flotilla – ha aggiunto -, che è rischioso tentare di forzare il blocco navale. Abbiamo detto che eravamo pronti a fare tutto ciò che era necessario per fare arrivare i beni alimentari che hanno a bordo, per farli arrivare alla popolazione civile palestinese con la garanzia nostra, di Israele, della Chiesa, di Cipro.
Noi sconsigliamo fin dall’inizio di andare oltre lo sbarramento israeliano, perché è rischioso. Abbiamo detto, abbiamo ribadito che la Marina militare non può seguire la Flotilla oltre il blocco israeliano. Non possiamo mettere a repentaglio la vita dei nostri marinai. Fin dal giorno in cui si parlava della partenza della Flotilla, abbiamo allertato la nostra ambasciata e il nostro consolato a Tel Aviv e Gerusalemme. Qualora dovessero essere fermati o arrestati, saranno tutti assistiti e faremo in modo che possano rientrare il prima possibile in Italia. Hanno ancora tempo per cambiare idea e depositari i beni alimentari in altre parti del Mediterraneo”.
(da agenzie)
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Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
SORGI: “SI STA CON LA RUSSIA O NO? CON I ‘VOLENTEROSI’ DI MACRON E STARMER O CON LA GERMANIA DI MERZ? E QUESTO PER DIRE DELLA GUERRA. MA C’È IL PROBLEMA DI CHI GUIDERÀ LA COALIZIONE ALLE PROSSIME POLITICHE: SCHLEIN O NO? UN TERZO UOMO (O DONNA), COME HA IN MENTE CONTE? … A DESTRA NON È CHE MANCHINO CONTRADDIZIONI, TRA UNA MELONI TRUMPIANA E UN SALVINI PUTINIANO. MA SI SA CHE ALLA FINE TROVANO SEMPRE UN ACCORDO: QUESTO PER GLI ELETTORI È FONDAMENTALE, ANCHE PER QUELLI INDECISI”
La conferma di Acquaroli (FdI) come governatore delle Marche e la corrispondente
sconfitta di Ricci, ex sindaco di Pesaro ed europarlamentare Pd (compito per il quale era stato eletto solo a giugno 2024 e che molto probabilmente tornerà a svolgere), dicono sostanzialmente due cose: il centrodestra, anche nelle sue espressioni meno brillanti, vedi Acquaroli, è ancora abbastanza forte da non essere battuto da un’opposizione che finalmente si presenta competitiva, unita, ma non in grado di vincere
Un antico proverbio diceva: «Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova». Più o meno questo dev’essere accaduto a molti elettori di centrosinistra che alla fine sono rimasti a casa. Perché […] non hanno visto lo straccio di un programma
Ad esempio: si sta con la Russia o no? Con i “Volenterosi” di Macron e Starmer o con la Germania di Merz? E questo per dire della questione più urgente, la guerra […] Ma c’è il problema di chi guiderà la coalizione alle prossime politiche: Schlein o no?
O un terzo uomo (o donna), come ha in mente Conte?
Dall’altra parte non è che manchino contraddizioni, specie sugli stessi punti, ad esempio tra una Meloni trumpiana e un Salvini putiniano. Ma almeno l’alleanza è collaudata, si sa che alla fine trovano sempre un accordo: questo per gli elettori è fondamentale, anche per quelli indecisi, una categoria di cui si continua a parlare in Italia (ne parlano soprattutto i sondaggisti)
ma che nessuno materialmente ha mai visto.
Vi ricordate di un vostro amico/a che abbia mai detto: basta quest’anno sono stufo e passo dal centrodestra al centrosinistra (o viceversa)? Piuttosto non vanno a votare, come dimostra il calo di affluenza anche nelle piccole Marche. Le regionali finiranno con un pareggio.
Marcello Sorgi
per “la Stampa”
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Settembre 30th, 2025 Riccardo Fucile
IL MINISTRO CROSETTO: “SIAMO PREOCCUPATI, VISTO ANCHE L’INCIDENTE AVVENUTO NEL 2010 IN QUELLA ZONA, IN CUI SONO MORTI DIECI TURCHI. LE BARCHE SONO TROPPE. E IL GRAN NUMERO DI NAVI AUMENTA ANCHE IL RISCHIO DI INCIDENTI”
Gli attivisti continuano verso Gaza, nonostante gli appelli, nonostante l’annuncio dell’accordo tra Donald Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, e nonostante la minaccia sempre
più concreta che un altro attacco per dissuaderli possa avvenire in queste ore, prima che si avvicinino alla zona rossa militarizzata da Israele.
Il punto di contatto lungo il blocco navale imposto da Israele di fronte alla Striscia è previsto tra domani notte e giovedì. Una volta lì, può succedere di tutto.
Nelle triangolazioni tra l’intelligence israeliana e gli 007 di alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, emerge il timore che negli abbordaggi ci scappi il morto con effetti disastrosi.
Questo è l’incubo dei servizi segreti dello Stato ebraico, rimbalzato da Bruxelles. Troppe le navi che compongono la Flotilla, una cinquantina, molte di più di tutte le altre missioni umanitarie sabotate da Israele in questi anni.
In quella parola poi, «abbordaggio», risuona tutto il terrore di rivivere la tragedia della nave Mavi Marmara, avvenuta nel 2010. Un’altra Freedom Flotilla diretta a Gaza, un altro stop israeliano inascoltato, un altro tentativo di forzare il blocco, un epilogo drammatico con dieci attivisti morti.
Il ministro della Difesa Guido Crosetto sa che nel timore espresso da Israele è nascosto un avvertimento, e così è ancora lui ad assumersi la responsabilità di rilanciarlo su Raiuno: «Siamo preoccupati, visto anche l’incidente avvenuto anni fa in quella zona, in cui sono morti dieci turchi.
Quello che sto dicendo alle persone sulle barche: non conta la volontà o il sentimento ma i rischi che si possono trovare davanti». Crosetto naturalmente auspica che non ci siano conseguenze fatali, anche alla luce del fatto che il presidente della Repubblica di Israele Isaac Herzog ha assicurato che l’ordine è di «non usare la forza letale». Ma questo non basta ad avere la certezza che il peggio verrà scongiurato: «La cosa che mi preoccupa di più è che le imbarcazioni saranno intercettate e il gran numero di navi porta anche il rischio di incidenti».
Anche quel giorno di quindici anni fa i soldati dello Stato ebraico avrebbero dovuto solo affiancare le imbarcazioni della missione umanitaria, e portare a terra gli attivisti. Gli israeliani sono addestrati a non fidarsi e, come riportano fonti diplomatiche, nessuno può dare loro la certezza che a bordo non ci siano armi o malintenzionati. Anche questa è una preoccupazione trasmessa al governo italiano, che lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani ha implicitamente tradotto ai microfoni di fronte a Palazzo Chigi: «Non sappiamo chi c’è a bordo».
Il governo ammette la propria impotenza e confida nella nave Alpino, della Marina Militare, che ha ricevuto il mandato solo di soccorrere e salvare i passeggeri se finiranno in mare. È però fuorviante la voce che il governo italiano avrebbe dato ordine alla fregata di fermarsi a 100-120 miglia marine da Gaza.
Ambienti vicini alla Difesa chiariscono meglio le indiscrezioni: è vero che ci si interroga su quando la nave debba fermarsi. Ma non è a 100-120 miglia. Semmai lì si moltiplicheranno le invocazioni dirette alla Flotilla da parte dell’equipaggio militare, perché ci si starà avvicinando al punto di non ritorno.
Il blocco navale è indicato nei documenti ufficiali del governo israeliano: la zona interdetta inizia a 50 miglia nautiche dalla linea delle 12 miglia delle acque territoriali. Acque che secondo molti attivisti e anche molti governi dovrebbero essere
considerate di sovranità palestinese, ma anche queste Israele le contesta in mancanza di uno Stato di Palestina.
La vera “linea rossa”, insomma, che Israele ha tracciato sul mare, che la si consideri legittima oppure no, scatterebbe a 62 miglia dalla costa.
Nel 2010, nella tragedia della Mavi Marmara, gli israeliani abbordarono 5 delle 6 navi della Flotilla a 72 miglia dalla costa.
Su quell’abbordaggio ci sono state due commissioni d’inchiesta, una in Israele e una in Turchia, totalmente in disaccordo, e due Report delle Nazioni Unite.
(da agenzie)
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