Ottobre 1st, 2025 Riccardo Fucile
ANCHE ZAIA E’ PERMALOSO?
Quando ho letto che Zaia si era lamentato per una battuta di Enrico Brignano a Domenica
In sui veneti «massa de ‘mbriaconi», ho pensato a un caso di omonimia. Sarà uno Zaia radical chic, mi son detto. Uno Zaia-tl, paladino delle cause ipersensibili e difensore di tutte le minoranze. Non immaginavo che l’offeso fosse proprio lui, lo Zaia presidente del Veneto. Un po’ perché è un uomo di mondo. Ma soprattutto perché è un uomo della Lega, cioè di un partito che ha fatto della lotta al
politicamente corretto la sua bandiera. Fin dalle origini, quando i giovani leghisti capitanati da Salvini saltellavano al ritmo dei cori sulle proprietà igieniche del Vesuvio.
E quelli erano politici: gente seria, come sappiamo. Brignano invece è un comico. Il suo lavoro consiste nel far ridere il maggior numero di persone e, dai tempi di Aristofane e Plauto, il meccanismo che scatena la risata del grande pubblico è l’esasperazione degli stereotipi. I milanesi trafelati che pensano solo a laurà (mentre tutti ne conosciamo di riflessivi e di pigrissimi), i romani che dormono fino a mezzogiorno (mentre il raccordo anulare è intasato già all’alba).
Ma è inutile che io spieghi queste cose a Zaia. Le sa benissimo, non foss’altro perché i tanti Vannacci che ha intorno gli ricordano di continuo che è la sinistra permalosa e woke a scandalizzarsi per battute innocue come quella sui veneti che bevono troppo. Non ci resta che confidare nella mediazione del veneziano Nordio, il ministro spritz. In alto i calici e prosit!
(da corriere.it)
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Ottobre 1st, 2025 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DEL CORRIERE DELLA SERA
Il dato è di Unioncamere: nel 2025 per coprire il fabbisogno di manodopera in edilizia, agricoltura, trasporti, turismo, colf e badanti, servono circa 600 mila lavoratori stranieri. Un andamento che va avanti oramai da tempo. Per questo ogni anno il governo stabilisce con il decreto flussi quanti stranieri possono entrare in Italia con un visto regolare. Il meccanismo funziona così: il datore di lavoro che ha necessità fa richiesta attraverso il click day. Vuol dire che in date prestabilite – l’ultima del 2025 è il primo ottobre – chi ha bisogno di un lavoratore straniero fa richiesta su una piattaforma informatica.
In attesa di conoscere i risultati sul 2025, vediamo come ha funzionato il meccanismo fino a dicembre 2024 con i numeri che arrivano dai ministeri dell’Interno, Affari esteri e Lavoro, tramite una richiesta di accesso agli atti presentata dalla campagna Ero straniero, promossa da otto associazioni che si occupano di politiche sull’immigrazione.
Meccanismo infernale e contratti precari
A marzo 2024 i datori di lavoro inviano 679.953 domande in cui viene indicato il nome di chi vogliono assumere. Gli stranieri che possono entrare secondo il decreto flussi sono 151 mila.
A gestire le domande dei click day sono gli Sportelli Unici Immigrazione delle Prefetture. Qui lavorano circa 570 interinali, assunti con contratti di 7 mesi, prorogati prima ogni tre mesi e poi mese per mese.
Gli Sportelli devono inoltrare le pratiche all’Ispettorato territoriale del Lavoro e alla Questura per i controlli. La norma prevede che, se entro 60 giorni non arriva una risposta negativa – 20 giorni per il lavoro stagionale – scatta il silenzio-assenso. A quel punto si mette in moto la trafila per il visto.
Ma ci sono eccezioni importanti. Per Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka, che da soli rappresentano oltre la metà delle domande, il silenzio-assenso non vale. Di recente viene escluso anche il Marocco. Il decreto legge 145/2024 li esclude perché il governo li considera «Paesi a elevato rischio di domande corredate da documentazione contraffatta o presentate in assenza dei presupposti di legge».
Le pratiche vengono lavorate in ordine cronologico fino al raggiungimento della quota. Ma quasi la metà delle istanze viene poi archiviata, revocata o rigettata. E non è che a quel punto si torna a scorrere subito la lista delle 679.953 domande di assunzione, perché le Prefetture non hanno organici sufficienti per riassegnare i posti rimasti liberi.
Nulla osta e visti mancati
Il risultato è che i nulla osta effettivamente rilasciati sono solo 83.570. Questo significa che 67.430 posti autorizzati dal governo
rimangono scoperti, e gli imprenditori che avrebbero voluto assumerli sono tagliati fuori.
Il lavoratore con il nulla osta in mano invece deve ottenere il visto d’ingresso presso le rappresentanze consolari italiane nel suo Paese d’origine. L’appuntamento non si prende direttamente, ma attraverso fornitori di servizi esterni autorizzati, introdotti per evitare lunghe code davanti ai consolati. L’attesa, però, può durare mesi: il rischio è che il visto arrivi quando il nulla osta (che ha una validità di 6 mesi) è già in scadenza. In altri casi, chi si affida a sedicenti faccendieri che millantano di poter fissare l’appuntamento rischia di non ottenerlo mai.
Solo una volta presa in carico la domanda, i tempi medi di lavorazione del visto da parte dei consolati sono di 12-13 giorni, nel rispetto del termine massimo di 20 giorni (art. 42, comma 3, del decreto legge 73/2022 qui). Per ridurre i ritardi, l’organico delle rappresentanze consolari viene potenziato: da 206 addetti in 45 sedi nel 2023 a 459 addetti in 94 sedi nel secondo semestre 2024. Eppure i ritardi restano significativi in Paesi chiave come il Pakistan: a fine 2024 a Karachi servono ancora 65 giorni, e 24 giorni a Islamabad, dove lavorano appena 3 addetti.
L’esito finale a dicembre 2024: su 83.570 nulla osta concessi, ci sono 3.631 richieste di visto respinte, 10.869 persone ancora in attesa, e 44.919 domande di lavoro che non si sa che fine abbiano fatto. Totale visti rilasciati: 24.151, di cui 35 in Bangladesh, 41 in Pakistan e 1.866 in Sri Lanka.
Il miraggio del permesso di soggiorno
A questo punto per il lavoratore straniero che ha ottenuto il visto si presentano due scenari:
1) arriva in Italia, ma l’assunzione non c’è perché il datore di lavoro, che ha fatto richiesta mesi prima, nel frattempo ha già risolto. E qui si può aprire l’area grigia del reclutamento in nero;
2) il lavoratore viene assunto ed inizia a lavorare, ma deve rapidamente chiedere il permesso di soggiorno alla Questura.
A dicembre 2024 gli immigrati entrati regolarmente in Italia che ottengono il permesso di soggiorno sono solo 9.331, mentre gli appuntamenti pendenti risultano 1.324.
Il motivo è sempre lo stesso: anche in Questura gli addetti sono pochi e precari. A novembre 2023 erano stati assunti 550 interinali, con contratti fino a giugno 2024, poi prorogati di sei mesi (dicembre 2024), poi di altri tre (marzo 2025), e poi ancora un mese. Ad aprile 2025 il Ministero dell’Interno ha disposto una nuova proroga tecnica di altri nove mesi, portando la scadenza a gennaio 2026. Per ottenere il permesso di soggiorno questi immigrati si ritrovano dunque nel collo di bottiglia delle Questure, che devono anche registrare ed esaminare le domande di protezione internazionale. E pure queste pratiche risentono di notevoli ritardi e disservizi a causa della carenza di organico. Nel 2023 – ultimi dati disponibili – il tempo che passa tra la registrazione della domanda di protezione internazionale (foto-segnalamento e impronte) e la sua formalizzazione (compilazione del modulo che incardina la procedura) è inferiore a 6 mesi in 24 Questure, supera i sei mesi in 18 Questure, e arriva oltre l’anno in 3. A dicembre 2024, le domande pendenti dei richiedenti asilo sono 207.285 (Fonte Aida).
L’autocritica
I click day 2025 si effettuano il 5, il 7 e il 12 febbraio: arrivano
113.534 domande per il lavoro non stagionale a fronte di 70.720 quote disponibili. Solo per l’assistenza familiare e socio-sanitaria, le domande sono quasi cinque volte le quote.
Per il lavoro stagionale invece le domande sono 72.238 a fronte di 110.000 quote disponibili. È un paradosso: per il lavoro non stagionale c’è il 60% in più delle domande rispetto ai posti, mentre per il lavoro stagionale accade esattamente l’opposto, ossia più posti che domande.
Cosa sta succedendo? La spiegazione si legge nella Relazione illustrativa sul decreto flussi di fine luglio (qui) – e che è stata oggetto di un esposto alla Procura Nazionale Antimafia da parte della Presidente del Consiglio dei ministri: «Questo ridimensionamento è da porsi in relazione con le misure adottate per porre rimedio alle rilevanti irregolarità registrate, specie nel settore del lavoro stagionale, nella fase di presentazione delle richieste di nulla osta». In sostanza l’intervento normativo dell’ottobre 2024 (qui) – è un provvedimento che, nei fatti, è diretto più a bloccare le false domande di ingresso per lavoro, che ad accelerare la procedura per quelle regolari. È lo stesso sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ad ammettere: «Vi è una critica che a mio avviso coglie nel segno: quella che chiede di fare un passo in avanti rispetto al meccanismo di ingresso basato sul sistema delle quote e sui click day, i cui limiti sono evidenti. Ora, è chiaro quel che dovremmo evitare in futuro: non altrettanto chiaro è come individuare il nuovo sistema, che dovrebbe prendere il posto del vecchio» (qui l’intervento integrale).
Dunque il sistema delle quote e del click day non funziona, ma
evidentemente pensare ad un’alternativa richiede tempi lunghi, anzi lunghissimi, visto che lo stesso meccanismo è previsto anche per il triennio 2026-2028. Per quel che riguarda invece la difficoltà a trasformare le quote disponibili in reali opportunità di lavoro, il sottosegretario Mantovano spiega: «Questo dipende da varie ragioni: alcune riconducibili a strumentalizzazioni di questo canale di ingresso, altre da ricercare all’interno delle pubbliche amministrazioni competenti in materia. Stiamo lavorando per incrementare forze e capacità, che al momento non sono ancora sufficienti». Ebbene, è da ottobre 2024 che nelle Prefetture e Questure devono arrivare 200 persone di rinforzo, ma a 10 mesi di distanza le procedure non si sono ancora concluse.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)
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Ottobre 1st, 2025 Riccardo Fucile
IN 3.000 COMUNI LE PRIMARIE RISCHIANO LA CHIUSURA
Il calo demografico impatta pesantemente sul sistema scolastico italiano e l’allarme sulla
scarsità di offerta per i giovani italiani determina un quadro a tinte ancora più fosche, mentre gli italiani del Sud emigrano verso il nord Italia e il Paese resta agli ultimi posti in Europa per l’occupazione femminile. Tutti elementi che sottolineano come l’opportunità dei fondi Pnrr sia da cogliere per dare slancio e opportunità.
La previsione a dieci anni emerge dai dati del convegno “Spopolamento, migrazioni e genere” promosso da Svimez e Fondazione Brodolini, con il supporto di Save the Children e la partecipazione del W20. Al 2035, risulta uno scenario critico: la scuola primaria perderà oltre mezzo milione di alunni, di cui quasi 200mila solo al Sud. Sardegna (-35%), Abruzzo (-25,8%), Molise (-23,6%), Basilicata (-23,5%) e Puglia (-23,3%) sono tra le regioni più colpite. Già oggi circa 3mila comuni, quasi la metà nel Mezzogiorno, rischiano la chiusura della loro unica scuola primaria. Nel periodo 2014-2024 l’Italia ha perso 1,4 milioni di abitanti, con un calo demografico che colpisce soprattutto il Mezzogiorno (-918 mila persone). A pesare è il saldo naturale negativo, solo in parte compensato dai flussi migratori. A crescere restano poche eccezioni come Bolzano, Trento, Emilia-Romagna e Lombardia.
Al Sud il quadro demografico peggiora ulteriormente per effetto dei saldi negativi della mobilità interna: solo nel 2024, dei circa 52mila meridionali trasferiti al Centro-Nord, oltre il 55% ha tra i 25 e i 34 anni. Una tendenza aggravata da un mercato del lavoro che offre poche prospettive ai giovani e da un minore afflusso di migranti, con conseguente indebolimento del ricambio
generazionale.
Il Pnrr – hanno rilevato i relatori – rappresenta un’occasione cruciale: con investimenti in infrastrutture sociali, come gli asili nido, può contribuire a riequilibrare l’offerta pubblica di servizi essenziali, sostenere, direttamente e indirettamente, l’occupazione giovanile e femminile e rendere più attrattivi i territori. Già nel 2024, la spesa per investimenti dei Comuni destinata agli asili nido è cresciuta di dieci volte rispetto al periodo pre-PNRR, che ha destinato a questa missione oltre 4 mld di euro.
Ad oggi, dal monitoraggio dei progetti in avanzato stato di attuazione, la Svimez stima che si è avviato un percorso di convergenza grazie al Pnrr: dal 6,8 al 13,8 % nel Sud, mentre il Centro-Nord è passato dal 17, al 21,8%. Solo portando a termine tutti progetti si riuscirebbe a riequilibrare da Nord a Sud l’offerta pubblica di posti nido fino a una copertura del 25%. “È necessario un cambio di rotta deciso: senza interventi strutturali e una visione lungimirante che rimetta al centro i giovani, il rischio è quello di un Paese privo di prospettive per loro. Occorre restituire fiducia, opportunità concrete e un orizzonte ai giovani, alle ragazze, a chi è nato in Italia e a chi vi è giunto da altri Paesi” ha osservato Raffaela Milano, Direttrice Ricerca di Save the Children. Per quanto riguarda invece la condizione femminile, Linda Laura Sabbadini, delegata del Women20 sottolinea che “il nostro Paese sta pagando la debolezza storica delle politiche che non hanno mai avuto tra le priorità la situazione delle donne. Non solo siamo ultimi in Europa come tasso di occupazione femminile. Le giovani sono molto più
indietro delle coetanee europee come livello di istruzione e competenze”.
(dailfattoquotidiano.it)
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Ottobre 1st, 2025 Riccardo Fucile
IL PIANO CONCORDATO SOLO CON UNA DELLE PARTI E’ UNA PRESA PER IL CULO
Per comprendere bene una cosa sia fondamentale chiamarla con il suo nome. E per questo motivo non chiamerò il piano di Trump, il piano per la pace a Gaza. Perché è un piano per la capitolazione e la colonizzazione, è un piano che non tiene conto del diritto dei palestinesi ad autodeterminarsi e ad avere un loro Stato, è un piano che non pretende giustizia. Dimentica quello che è successo negli ultimi due anni, dimentica le decine di migliaia di morti, i civili uccisi, gli ospedali bombardati.
I venti punti proposti da Trump e subito accettati, chiaramente, da Netanyahu non prevedono in alcun modo la fine dell’occupazione illegale, non aprono la strada alla costituzione di uno Stato palestinese. Di fatto raccontano la consegna di Gaza a Trump, che ne diventerebbe il gestore supremo affiancato da figure come quella dell’ex premier britannico Tony Blair. A quasi ottant’anni dalla fine del mandato britannico, la Palestina si troverebbe di nuovo a essere di fatto, un protettorato, senza prospettive di autonomia, di autogoverno.
Trump parla di un nuovo Medio Oriente ma non descrive nulla di diverso da quello che abbiamo già visto il secolo scorso, con un progetto coloniale che nega ad un popolo il diritto di decidere per sé stesso, e lo fa in nome della pace. Ma nella dominazione non c’è nulla di pacifico.
Trump ha presentato i venti punti di questo suo piano durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, al fianco del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Che ha detto di sostenerlo e di accettarne le condizioni. Ovviamente, visto che sono condizioni
tutte favorevoli al suo governo. Ora si attende la risposta di Hamas a questo ultimatum. Se non accetteranno, Trump e Netanyahu hanno detto, testualmente, che “finiranno il lavoro” a Gaza. Porteranno a termine il genocidio quindi, la distruzione totale della Striscia.
Ma cosa prevede nello specifico questo piano?
Per prima cosa, se entrambe le parti lo accettassero, dovrebbe scattare un cessate il fuoco immediato. E a quel punto Hamas avrebbe 72 ore di tempo per restituire gli ostaggi, sia quelli ancora in vita che i corpi di quelli deceduti. Una volta liberati gli ostaggi Israele dovrebbe liberare a sua volta 250 detenuti palestinesi e 1.700 gazawi arrestati dopo il 7 ottobre.
Terminata questa fase di scambio di prigionieri, si dovrebbe procedere con la consegna delle armi, da parte di Hamas, e con un graduale ritiro dell’esercito israeliano. Ma non è affatto chiaro con che tempistiche le IDF, le Forze di difesa israeliane, dovrebbero lasciare Gaza. E chiaramente il timore è che non lo facciano a breve e che si continui, di fatto, con un’occupazione militare. Tra l’altro il piano comunque prevede esplicitamente delle zone cuscinetto lungo il perimetro della Striscia: insomma, ci sarebbe comunque una sorveglianza militare continua, l’assedio di fatto non terminerebbe.
C’è poi la questione dell’amministrazione, del governo di Gaza. Che è forse uno degli aspetti più controversi di questo piano. Nel testo si legge che Gaza sarà amministrata da una commissione palestinese tecnocratica e apolitica, supervisionata da un Consiglio della Pace controllato dallo stesso Trump. Nel cosiddetto Board of Peace, che di fatto sarebbe il reale organo di
governo della Striscia, ci sarebbe anche l’ex premier britannico, Tony Blair, che – vale la pena ricordarlo – è l’uomo che insieme a George Bush diede il via all’invasione dell’Iraq, dicendo che il regime di Saddam Hussein stesse fabbricando armi di distruzione di massa. Alla fine non era vero, ma in quella guerra morirono oltre un milione di persone tra la popolazione civile.
Chi ci sarà nel Board of Peace per Gaza e quali compiti avrà
Il compito di questo Consiglio sarebbe quello di governare Gaza fino a quanto non sarà completata la riforma dell’Autorità Nazionale Palestinese. Anche qui i tempi non sono chiari e il rischio è quello che di fatto la Striscia di Gaza rimanga permanentemente una colonia, assediata e controllata dall’esterno. Una colonia nella quale chiaramente Hamas non avrebbe alcun tipo di ruolo, ma a quanto pare nemmeno il popolo palestinese. Il territorio verrebbe demilitarizzato e contestualmente si andrebbe a creare un altro organismo, la Forza di stabilizzazione internazionale che dovrebbe garantire la sicurezza nella Striscia collaborando con gli israeliani e con i Paesi arabi.
Il piano prevede anche un programma di sviluppo economico, sulla linea di quel disegno di Trump per costruire la riviera del Medio Oriente. In questa fase di ricostruzione e di forti investimenti immobiliari – perché chiaramente bisognerebbe disfarsi delle macerie di questi due anni di bombardamenti continui e ricostruire tutto – ai palestinesi verrebbe data l’opzione di andarsene, ma non sarebbero obbligati. La paura, visto che è già successo in passato, è che dietro questi trasferimenti volontari ci sia in realtà la deportazione, senza
alcuna possibilità di fare un giorno ritorno alle proprie case.
Che fine farà lo Stato palestinese?
In tutto questo, che fine fa lo Stato palestinese? Nel penultimo punto del piano si dice che forse, in futuro, potrebbero crearsi le condizioni per un percorso credibile. Ma è chiaro che la linea, di fatto, coloniale attuale non fa che allontanarne qualsiasi prospettiva: come si potrebbe mai parlare di uno Stato se non si lascia margine all’autodeterminazione, se non si coinvolgono le autorità politiche palestinesi, se non si rende il popolo palestinese e i suoi alleati partecipi di questo processo?
La verità è che questo piano è una resa, una capitolazione. Un arrendersi al volere di Netanyahu e del governo israeliano, alle loro condizioni, senza parlare invece di giustizia per un popolo massacrato e della fine dell’occupazione illegale. È un piano di sottomissione a delle potenze coloniali. In un negoziato reale sarebbe difficile da accettare, ma ora anche i Paesi arabi spingono Hamas ad accettare. Perché alla fine è l’unico modo per fermare i bombardamenti, l’unico modo per far entrare gli aiuti umanitari.
(da Fanpage)
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Ottobre 1st, 2025 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO CIDA: “NON È CREDIBILE CHE QUASI METÀ DEGLI ITALIANI VIVA CON 10MILA EURO LORDI L’ANNO. È UN DATO GONFIATO DA EVASIONE ED ECONOMIA SOMMERSA” – INTANTO LA SPESA ASSISTENZIALE CRESCE AL DOPPIO DEL RITMO DELLE PENSIONI, METTENDO A RISCHIO LA TENUTA DEL WELFARE
Quasi un italiano su due non versa nemmeno un euro di Irpef. E oltre l’80% del gettito
pesa tutto sulle spalle del ceto medio, il più colpito da uno squilibrio che logora chi lavora e produce.
Ancora più sbilanciata la fotografia se si guarda al 13% dei contribuenti: da soli garantiscono il 60% delle entrate. Intanto la spesa assistenziale cresce al doppio del ritmo delle pensioni, mettendo a rischio la tenuta del welfare.
È quanto emerge dall’Osservatorio sulle dichiarazioni Irpef 2024 (relative ai redditi prodotti nel 2023) curato da Itinerari Previdenziali con il sostegno della Cida
Su 59 milioni di residenti, i dichiaranti sono 42,6 milioni, ma i contribuenti effettivi, cioè coloro che versano almeno un euro di Irpef, scendono a 33,5 milioni. Questo significa che un italiano su due vive a carico di qualcun altro.
Il 43,15% degli italiani non ha redditi e oltre 1,18 milioni di soggetti dichiarano un reddito nullo o negativo, in aumento di 170mila rispetto all’anno precedente.
Il 72,59% dei contribuenti si colloca sotto i 29mila euro e contribuisce appena al 23,13% del gettito Irpef. Il restante 27,41%, con redditi medio-alti, sostiene il 76,87% dell’imposta. Ancora più impressionante il dato dei redditi sopra i 55mila euro: appena il 5,82% del totale, ma con un gettito pari al 40,31% dell’Irpef.
“Il problema non è che tutti paghino troppo, ma che pochi paghino per tutti”, denuncia Stefano Cuzzilla, presidente di Cida. “È come in una squadra di calcio: se solo tre giocatori corrono e gli altri guardano, non si vince nessuna partita. Questo squilibrio logora il ceto medio, scoraggia i giovani e mette a rischio il
futuro del Paese”.
Il presidente di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, fotografa un Paese che cresce ma resta squilibrato. “Il totale dei redditi prodotti nel 2023 è stato di 1.028 miliardi, per un gettito Irpef di 207,15 miliardi (+9,4% rispetto al 2022). Crescono i contribuenti con redditi medio-alti, ma calano quelli sotto i 20mila. Eppure il 43,15% degli italiani non ha redditi e vive a carico di qualcuno”.
Il vero nodo è la spesa. Solo nel 2023 sono stati spesi 131 miliardi per la sanità, oltre 164 miliardi per l’assistenza e circa 13,4 miliardi per il welfare degli enti locali: più di 300 miliardi in totale. Negli ultimi 16 anni i redditi dichiarati sono cresciuti del 28,5%, la spesa welfare del 45%, trainata dall’assistenza che ormai si avvicina al gettito dell’Irpef ordinaria.
“Giusto aiutare chi ha bisogno e garantire diritti primari – precisa Brambilla – ma non è credibile che quasi metà degli italiani viva con 10mila euro lordi l’anno. È un dato gonfiato da evasione ed economia sommersa. Senza un’anagrafe unica dell’assistenza, si stratificano bonus e agevolazioni che complicano il sistema e incentivano il lavoro nero”.
(da La Repubblica)
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