Ottobre 2nd, 2025 Riccardo Fucile
CERTO IL GOVERNO LO PAGA SOLO PER I VIOLENTATORI DI BAMBINI
Il governo Meloni non vuole pagare per i rimpatri degli italiani arrestati sulla Global
Sumud Flotilla. L’Italia ha intenzione di offrire l’assistenza consolare necessaria a chi si trova in stato di fermo. E continuerà a garantire la loro sicurezza. Ma non ha intenzione di pagare il conto. Non ci saranno charter a carico di Roma. E se Israele presenterà la fattura dei voli in partenza dalla base aerea di Ramon, «dovranno farsene carico gli attivisti».
Gli arresti e i rimpatri
A raccontare il dettaglio sul volo sono oggi La Repubblica e La Stampa. Che parlano di una premier che durante il Consiglio europeo informale di ieri a Copenhagen controllava sul suo iPhone il tracking della Flotilla. In attesa dell’abbordaggio di Israele. Intanto Antonio Tajani e Guido Crosetto hanno seguito l’emergenza dalla sala della Farnesina. Un primo successo diplomatico riguarda gli attivisti già espulsi in passato. Che non dovranno passare per le carceri israeliane prima di essere rimpatriati. Per il ritorno a casa il calendario è stato già fissato. Prima gli arresti, poi il trasferimento ad Ashdod e l’identificazione. I rimpatri volontari potranno partire dal venerdì 3 ottobre. Quelli forzati forse da domenica 5.
Assistenza consolare ma niente soldi
Però, come spiegato, il governo non vuole pagare per i rimpatri. «Non è una vendetta», sostengono con i quotidiani fonti della maggioranza. È invece un messaggio. Ma rimane un atteggiamento curioso per chi ha prestato il fianco alle polemiche sui voli di Stato in occasione del ritorno a casa del ricercato per crimini contro l’umanità Almasri. A cui il viaggio con un aereo della presidenza del Consiglio è stato invece pagato.
Un rientro rapido
La Farnesina ha chiesto a Israele di evitare di far scattare le procedure di arresto. Perché per imputazioni di tipo terroristico o per l’ingresso illegale in Israele gli attivisti dovrebbero sostenere un processo davanti a un tribunale speciale. Composto da funzionari del ministero dell’Interno israeliano. Tutti gli attivisti hanno incaricato avvocati di Ong di rappresentarli in vista dei problemi legali. Tajani ha dato mandato all’ambasciata a Tel Aviv e ai consolati di Gerusalemme e Tel Aviv di assistere gli italiani. Ai fermati sarà sottoposto un foglio in cui dovranno affermare di avere tentato l’ingresso illegale in Israele. Chi firma sarà espulso immediatamente (e non potrà entrare nel paese per almeno 10 anni). Gli altri rischiano il processo. Poi gli attivisti dovrebbero essere portati verso Eilat e, tramite lo scalo internazionale di Ramon, fare ritorno verso Roma. Ma pagando il biglietto.
(da Open)
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Ottobre 2nd, 2025 Riccardo Fucile
NON TUTTO E’ NEGOZIABILE, NON SEMPRE E’ POSSIBILE CHIUDERE GLI OCCHI
Il tempo dell’analisi è arrivato. A partire da una considerazione. Non c’è da stupirsi del fatto che l’azione della Global Sumud Flotilla abbia generato un dibattito così acceso e provocato reazioni così sgangherate. Lo spirito profondo dell’iniziativa, al di là delle sue declinazioni pratiche, era essenzialmente quello di trovare una risposta a una questione che da mesi interroga le coscienze di milioni di persone comuni. Una domanda che ognuno di noi avrà fatto o si sarà sentito fare decine di volte: cosa fare di fronte al massacro che si sta consumando a Gaza? Le risposte, diciamoci la verità, erano sempre le stesse: avere consapevolezza di cosa sta accadendo, fare pressione sul proprio governo, non rassegnarsi all’orrore. Tutto giusto, per carità. Ma anche così vano, velleitario, generico.
La Flotilla e le centinaia di migliaia di persone che nelle ultime settimane sono scese in piazza, invece, hanno mostrato che un altro modo, prima ancora che un altro mondo, è possibile. Che i popoli possono fare la storia
o, almeno, prendersi la scena, avere un ruolo importante. E che c’è una strada diversa a quella della lenta assuefazione, che poi porta alla normalizzazione dell’orrore. Con una parola chiave, di cui tanti storici si sono occupati in passato: mobilitazione, intesa come capacità di mettere in movimento energie e pulsioni diverse, per il tramite di iniziative più o meno piccole ma che funzionano esattamente come un faro. Luci che indirizzano, simboli che stimolano altre lotte.
Non è semplice e non sempre ciò accade. Tante iniziative finiscono per diventare velleitarie, alcune risultano anche controproducenti. Così non è stato per la Global Sumud Flotilla, probabilmente anche in virtù della natura complessa e articolata dell’operazione. In effetti, non si può guardare alla vicenda senza tenere conto dei diversi piani in cui si è articolata la scommessa della Flotilla: quello pratico, la consegna degli aiuti umanitari a una popolazione stremata da due anni di guerra asimmetrica; quello politico, che ha contribuito a influenzare le scelte dei governi europei, probabilmente accelerando processi già in atto; quello per così dire “ideologico”, che ha determinato la radicalizzazione della coscienza collettiva intorno a concetti semplici, l’apertura di canali umanitari, la fine della guerra, l’autodeterminazione del popolo palestinese.
Si sta discutendo molto in queste ore sul “successo” della missione. Ecco, sebbene sia evidente che si tratta di un dibattito che risente proprio della polarizzazione di cui parlavamo prima, ci sono diversi punti fermi, indiscutibili. L’attenzione mediatica, lungi dall’essere fine a sé stessa, ha evidenziato l’urgenza, la tremenda urgenza, dell’apertura di veri canali umanitari. La distribuzione del cibo nella Striscia non solo è insufficiente, ma risponde anche a logiche punitive e aberranti (come il tragico gioco delle calorie giornaliere da non superare). La stessa scelta di andare avanti, malgrado il blocco navale e le minacce del governo di Tel Aviv, va letta in un contesto più ampio: la necessità di “rompere l’assedio” non come prova di forza (del resto, come potrebbero farlo poche decine di barche a vela?), ma come atto di ribellione a una deriva irreversibile, a una pressione costante sulla pelle di centinaia di migliaia di persone.
È in questo senso che la Flotilla non è mai stata “solo” una missione
umanitaria, bensì intrinsecamente politica.
L’epilogo della missione ha mostrato poi il modo in cui il governo israeliano agisce. Brutalmente, fregandosene del diritto internazionale, dei rapporti diplomatici, di prassi e regolamenti. L’abbordaggio è avvenuto in acque internazionali, in violazione dei trattati e malgrado si trattasse di cittadini stranieri. Il senso di impunità che guida le mosse di Netanyahu e dei suoi sodali è apparso in tutta la sua evidenza: una missione umanitaria è stata dapprima diffamata con l’accusa di prendere soldi da Hamas, poi minacciata, infine colpita da “azioni dimostrative” in acque di altri Stati o internazionali. Di fronte a tali atti di prepotenza i governi europei hanno sostanzialmente fatto spallucce, limitandosi a qualche dichiarazione di facciata. Del resto, cosa aspettarsi da chi ancora si interroga sulle sanzioni dopo decine di migliaia di morti e una distruzione che ha pochi precedenti nella storia recente.
Per carità di patria non indugerò sull’indecente gestione della vicenda da parte della nostra presidente del Consiglio, che è riuscita ad andare oltre i falchi israeliani, attribuendo a una missione umanitaria disarmata e non-violenta responsabilità su un eventuale fallimento delle trattative sul piano presentato da Donald Trump e chiedendo provocatoriamente se gli attivisti della Flotilla non avessero come scopo quello di “provocare un’escalation” (capito, dopo due anni di distruzioni e massacri…). Spingendosi ben oltre il ridicolo nel dichiarare che l’azione di oltre cento barche e di un migliaio di attivisti da tutto il mondo fosse stata pensata per mettere in difficoltà il suo governo.
Al di là delle italiche miserie, il cortocircuito che ha determinato la Flotilla è evidente. Perché ha agito da catalizzatore dell’enorme dissenso dell’opinione pubblica nei confronti dell’inazione dei governi europei, diventando una bandiera per milioni di persone e impedendo che la “fatigue” da overload di informazioni si trasformasse in assuefazione o, peggio ancora, indifferenza. Ponendo i governi di fronte alla realtà dei fatti: quando si ha paura di una missione umanitaria di attivisti disarmati su barche cariche solo di cibo, evidentemente c’è qualcosa di profondamente sbagliato. E ci sono equilibri che si reggono sull’ipocrisia o sulla connivenza, piuttosto che su principi di diritto.
La reazione spontanea all’abbordaggio illegale è un manifesto: migliaia di persone nelle piazze, blocchi stradali e proteste. Quella organizzata, lo sciopero generale, è un tentativo di cristallizzare un momento che può rappresentare un punto di svolta non solo nella “narrazione” del conflitto. In tal senso, il sacrificio dei militanti della Flotilla, che hanno passato giorni di grande incertezza e paura, finendo con l’essere arrestati in acque internazionali in un blitz illegale delle forze israeliane, è un insegnamento importante. Soprattutto perché arriva consapevolmente, con una scelta che si può giudicare controversa e discutibile e sulla quale si era espresso addirittura il presidente della Repubblica italiana. Ma che è stata certamente legittima e coerente: un grande gesto di ribellione contro le plurime violazioni del diritto internazionale da parte israeliana, ma anche contro chi pensa che tutto sia sempre negoziabile, tutto svendibile. Contro quelli che ci dicono che, in fondo, possiamo girarci dall’altra parte finché le cose non ci riguardano.
(da Fanpage)
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Ottobre 2nd, 2025 Riccardo Fucile
IL PREMIER GUASTAVO PETRO HA ESPULSO TUTTI I DIPLOMATICI ISRAELIANI E CHIESTO L’ARRESTO DEL CRIMINALE NETANYAHU
Il presidente colombiano Gustavo Petro ha ordinato l’espulsione dell’intera delegazione
diplomatica israeliana dal territorio nazionale, segnando una rottura totale delle relazioni tra i due Paesi. La decisione è arrivata nelle scorse ore, subito dopo il fermo di due cittadine colombiane, Manuela Bedoya e Luna Barreto, membri dell’equipaggio della Global Sumud Flotilla, che stava tentando di rompere l’assedio israeliano a Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione. Le due attiviste sono state fermate e rapite dall’esercito dello stato ebraico, con un atto di pirateria illegale, mentre si stavano lentamente avvicinando alla Striscia.
Petro ha reagito duramente su X, definendo l’episodio “un nuovo crimine internazionale da parte di Benjamin Netanyahu” e annunciando che “l’accordo di libero scambio con Israele viene immediatamente sospeso”. La mossa va ben oltre la sospensione delle relazioni diplomatiche già avvenuta nel maggio 2024, imponendo ora l’uscita forzata di tutti i rappresentanti israeliani ancora presenti in Colombia, incluso l’ambasciatore. Il presidente ha inoltre annunciato che il Ministero degli Esteri avvierà azioni legali, anche presso i tribunali israeliani, invitando gli avvocati internazionali a unirsi al team legale colombiano. Petro inoltre ha dichiarato che Netanyahu “è un criminale internazionale che deve essere catturato”, come d’altro canto certificato da un pronunciamento della Corte Penale Internazionale.
Petro ha proseguito il suo duro attacco a Benjamin Netanyahu: “Hannah Arendt, la filosofa (ebrea) che ha studiato il totalitarismo, ha sottolineato negli anni ’50 che i nazisti erano ancora vivi. Hitler è vivo nella politica mondiale; Arendt aveva ragione. Spero che la gente non venga anestetizzata”, ha scritto, riferendosi ai crimini contro il popolo palestinese commessi da Israele.
In un comunicato ufficiale, il governo colombiano ha chiesto “la liberazione immediata delle cittadine, così come la liberazione di tutti gli altri membri della Flotillia” sollecitando i governi di Spagna, Bangladesh, Brasile, Slovenia, Indonesia, Irlanda, Libia, Malesia, Maldive, Messico, Oman, Pakistan, Qatar, Tailandia, Turchia e Sudafrica ad “agire prontamente e congiuntamente per proteggere la vita e l’integrità dei rispettivi connazionali”. Il ministero degli esteri colombiano ha ricordato che la Global Sumud Flotilla navigava nel Mediterraneo con tre obiettivi: consegnare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, sensibilizzare sulle necessità umanitarie urgenti del popolo palestinese e allertare sulla necessità di fermare la guerra a Gaza.
Le conseguenze dell’espulsione di un ambasciatore da uno stato
L’espulsione di un’intera delegazione diplomatica rappresenta uno degli atti più gravi nel diritto internazionale e segna la rottura quasi totale delle relazioni tra due Stati. Questa mossa, definita tecnicamente “dichiarazione di persona non grata”, comporta conseguenze profonde e durature.
Dal punto di vista pratico, l’espulsione impedisce qualsiasi canale ufficiale di dialogo tra i governi, rendendo impossibile la negoziazione diretta su questioni bilaterali. I cittadini colombiani in Israele perdono l’assistenza consolare della loro ambasciata, così come gli israeliani in Colombia. Le relazioni commerciali subiscono un duro colpo: senza rappresentanza diplomatica, diventa estremamente complesso gestire accordi economici, rilasciare visti o risolvere controversie tra imprese.
Sul piano simbolico, l’espulsione è un messaggio inequivocabile alla comunità internazionale: segnala un livello di ostilità che va oltre il semplice disaccordo politico. Storicamente, tali misure precedono sanzioni economiche più ampie o isolamento diplomatico multilaterale. Il ripristino delle relazioni, quando avviene, richiede anni di negoziati complessi e spesso l’intervento di paesi mediatori.
Nel caso specifico Colombia-Israele, questa escalation chiude definitivamente un capitolo di cooperazione che includeva scambi commerciali, accordi di sicurezza e relazioni culturali consolidate nel tempo.
(da Fanpage)
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