NUOVI TAGLI ALLA SCUOLA, GIORGETTI VUOLE RIDURRE LA SPESA PER L’ISTRUZIONE
SONO IN ARRIVO NUOVI TAGLI AL PERSONALE
Non sono bastati i tagli alla scuola apportati con la manovra 2025. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che potrebbe essere opportuno “ripensare” la spesa pubblica per l’istruzione. Lo ha detto ieri parlando nel corso di un’audizione alla commissione parlamentare del problema del calo demografico e della denatalità.
In particolare il titolare del Mef, ha detto che il calo degli studenti, soprattutto nelle scuole dell’infanzia e primaria, legato alle dinamiche demografiche “ci induce a un ripensamento in chiave prospettica delle strutture, del personale e della spesa che nel futuro sarà assegnata all’istruzione”. Tradotto: il governo si prepara a una nuova sforbiciata alla scuola.
“Secondo quanto recentemente riportato dall’Istat, il declino demografico ha determinato già una rilevante perdita di studenti: tra l’anno scolastico 2018/2019 e 2022/2023 si conta una riduzione del 5,2 per cento degli studenti” ha sottolineato Giorgetti. “Il calo riguarda in particolare, la scuola dell’infanzia e la scuola primaria e viene parzialmente per ora compensato dal progressivo incremento degli iscritti con cittadinanza
straniera e del tasso di scolarità nella fascia dei 15-19enni – ha proseguito – La fotografia attuale, unita alla considerazione che il calo sulle scuole primarie si estenderà via via agli altri gradi, ci induce a un ripensamento in chiave prospettiva delle strutture, del personale e della spesa che nel futuro sarà assegnata all’istruzione. Per tutte queste tre variabili, considerando il loro ridimensionamento quantitativo, sarà necessario puntare a una migliore qualità”.
§Ora, è sicuramente un fatto che il prossimo anno scolastico, il 2025/26, si aprirà con oltre 134mila studenti in meno. Si passerà dai 6,9 milioni di alunni di quest’anno (dall’infanzia alle superiori) a poco meno di 6,8 milioni a settembre 2025. Di questo passo, in meno di dieci anni, la popolazione scolastica scenderà sotto la soglia di 6 milioni di unità.
Ma davanti a tutto questo, la ricetta per gestire il calo demografico dunque è tagliare le risorse destinate alla scuola. Il governo in pratica sta dicendo che invece di investire nella scuola, magari trasformando il calo di studenti in un’occasione per migliorare l’offerta didattica, per superare finalmente il sovraffollamento delle aule, le cosiddette ‘classi pollaio’, per offrire un’insegnamento più personalizzato e mirato a partire dai reali bisogni formativi dei singoli studenti, e valorizzare i docenti con stipendi più alti, si pensa di abbassare la qualità del servizio, prospettando sostanzialmente un altro taglio del personale, come quello che si è già verificato con l’ultima legge di Bilancio.
Nella manovra infatti il governo ha fatto già un’operazione penalizzante per la scuola, prevedendo una riduzione di 5660 posti di insegnanti e 2174 unità di personale ATA, come effetto
del blocco del 25% del turn over, per il prossimo triennio. Significa che in base alla misura, il personale che andrà in pensione e che non verrà sostituito, già dall’anno scolastico 2025/2026. Un intervento che il ministro Valditara ha provato a minimizzare, spiegando che si tratta di una “misura transitoria di riduzione del turn over che non intacca la dotazione complessiva dell’organico”. Una dichiarazione che non è sostenuta da nessun documento.
La spesa per l’Istruzione in Italia è tra le più basse d’Europa
Mentre stabilisce questi tagli, però, il governo non tiene conto del fatto che la spesa pubblica per l’istruzione in Italia, rispetto al Pil, è già al di sotto della media Ue. Se infatti tra i 27 la spesa in istruzione nel 2022 è stata pari al 4,7% del prodotto interno lordo (dati diffusi da Openpolis a inizio dicembre), in Italia siamo al di sotto di questa soglia, con solo il 4,1% del Pil investito in istruzione. Peggio di noi solo Bulgaria (3,9%), Grecia (3,8%), Romania (3,2%) e Irlanda (2,7%).
Come ha fatto notare la scorsa estate governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, l’Italia “è l’unico paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione”. Se infatti la spesa dell’Italia per l’istruzione nel 2022 è stata di circa 79 miliardi di euro, la spesa per interessi passivi delle pubbliche amministrazioni nello stesso anno è stata 82,9 miliardi di euro (ultimi dati disponibili Istat). Giorgetti però, e lo ha detto molto chiaramente, vuole rimodulare le risorse da destinare al settore, invece di cercare di capire come impiegarle al meglio e invertire la rotta. Ma cosa significa esattamente?
“In parole povere: tagli, tagli e ancora tagli. Tagli alle ore di
lezione, al numero di insegnanti, alla durata dei percorsi negli istituti professionali, e tagli agli investimenti che dovrebbero costruire il futuro delle nuove generazioni”, ha commentato Elisabetta Piccolotti di Alleanza Verdi Sinistra. Un primo indizio per capire dove voglia andare a recuperare risorse il governo, lo possiamo rintracciare in una proposta della Lega che proprio la parlamentare di Avs aveva denunciato a settembre. I parlamentari del Carroccio in commissione Cultura avevano chiesto infatti di avviare l’iter di una proposta di legge, a prima firma di Giovanna Miele, per ridurre di un anno la durata delle scuole superiori.
“Noi di Alleanza Verdi e Sinistra – sottolineava la parlamentare Avs della commissione cultura di Montecitorio – abbiamo il fondato sospetto che questa operazione, che si allinea benissimo con l’idea di scuola di Valditara, sia concordata con il Ministro stesso. Il Ministro e tutta la destra hanno infatti confuso la scuola della Costituzione rivolta agli studenti con la formazione professionale rivolta ai lavoratori. In quest’ottica ritengono positivo inserire il prima possibile i giovani in un mercato del lavoro che li assorbe a fatica e in cui oltre il 40% degli occupati è precario”. Della proposta non si è più parlato, almeno fino ad ora, ma il progetto è chiaro: un anno in meno significa un recupero di risorse, perché comporta meno insegnanti e meno assunzioni.
C’è un disegno, che la Lega, il partito anche di Giorgetti, abbraccia, che vorrebbe trasformare il prima possibile lo studente in lavoratore. E lo dimostra plasticamente la norma del decreto Scuola, caldeggiata dal leghista Valditara, che anticipa per i 15enni che frequentano gli istituti tecnici, i Percorsi per l
Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO), precedentemente noti come alternanza scuola-lavoro, al secondo anno delle scuole superiori, coinvolgendo quindi anche ragazzi che ricadono ancora nella scuola dell’obbligo.
In questo schema rientra anche una delle riforme spot di Valditara, il 4+2 della filiera tecnico professionale, per la quale nella manovra sono stati stanziati i 15 milioni di euro. La sperimentazione è stata già avviata l’anno scorso, con scarsi risultati. Il nocciolo della riforma è una riduzione a 4 anni del percorso degli istituti tecnici e professionali, a cui dovrebbe seguire l’eventuale biennio in ITS Academy.
§Naturalmente, come hanno fatto subito notare i sindacati della scuola, la riforma sul lungo periodo comporta, inevitabilmente, una perdita di posti di lavoro per gli insegnanti, anche se nell’immediato non si tocca l’organico docente a tempo indeterminato. L’eliminazione di un anno scolastico genera una perdita immediata di posti di lavoro a tempo determinato, di posti di sostegno, di posti per assistenti tecnici, personale ATA (il cui numero è legato al numero di studenti), blocco del turn over.
È facile dunque intuire a quale “ripensamento” per la scuola si riferisse Giorgetti. C’è un filo rosso che lega questi interventi normativi, e l’obiettivo non è offrire un’istruzione di qualità: dietro la scelta di avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro, accorciando il loro percorso di studio tra i banchi, c’è l’intenzione, nemmeno tanto mascherata, di ridurre la spesa pubblica in istruzione, proseguendo un trend già iniziato con il governo Berlusconi nel 2008, e che negli anni ha portato al taglio di oltre 130mila unità di personale tra docenti e personale Ata e una diminuzione della spesa di quasi 3 miliardi.
I sindacati in allarme per i nuovi tagli alla scuola
Per i sindacati la denatalità dovrebbe essere vista come un’opportunità. “Di fronte al calo demografico, il ministro Giorgetti propone un ‘ripensamento’ delle strutture, del personale e della spesa che nel futuro sarà assegnata all’istruzione. Qualsiasi intenzione che lascia intendere una riduzione degli investimenti nell’istruzione deve essere accolta con la massima preoccupazione”. È il commento del Segretario generale della Uil Scuola Rua, Giuseppe D’Aprile, alle dichiarazioni del ministro dell’Economia in audizione sulla transizione demografica.
“Meno alunni non significa meno bisogno di insegnanti, ma più possibilità di fare buona scuola – ha detto il segretario – Invece, si continua a tagliare, a comprimere, a intervenire solo sulla base della spesa, non dei bisogni educativi. Classi meno numerose, maggiore personalizzazione dell’insegnamento, miglioramento del clima educativo, maggiore attenzione agli alunni fragili, potenziamento del tempo scuola. Tutti obiettivi possibili, solo se si decidesse di ridurre il numero degli alunni per classe. Un’occasione anche per valorizzare ancora di più il lavoro dell’insegnante- Continuare a parlare di qualità mentre si riducono le risorse è una contraddizione evidente”.
Preoccupata anche Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil: “Da una dichiarazione del ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti , apprendiamo che il calo demografico, come ampiamente risaputo, si riverbererà sulle iscrizioni scolastiche dei prossimi anni. Per questo, secondo Giorgetti, occorre ripensare in chiave prospettica le strutture, il
personale, la spesa dell’istruzione che saranno ridimensionati quantitativamente. Noi la pensiamo in modo diverso”.
“Il decremento delle iscrizioni, che, come asserisce lo stesso ministro, è compensato parzialmente dal progressivo incremento degli iscritti con cittadinanza straniera e del tasso di scolarità della fascia dei 15-19enni è una buona occasione per fare altri ripensamenti. In una diversa chiave prospettica – ha detto Fracassi – si dovrebbe non ridimensionare le scuole che sono presidio di cultura e legalità in ogni angolo del Paese e aumentare la spesa in istruzione: l’Italia spende solo il 4% del suo Pil, mentre la media Ocse è pari al 4,9%”.
“Al contempo si dovrebbe pagare il dovuto al personale e smettere con aumenti di stipendio che non recuperano nemmeno l’inflazione; eliminare il precariato, vera piaga che pesa sulle vite delle persone e sulla qualità dell’offerta formativa; favorire l’accoglienza delle famiglie straniere in maniera regolata rimodulando l’acquisizione del diritto alla cittadinanza e aumentare in tutto il Paese il tempo scuola”. “Risulta ingannevole ogni altra prospettiva, come pare essere quella del ministro, nel tentativo di associare al ridimensionamento delle strutture, del personale e della spesa l’idea del miglioramento della qualità. La verità è una sola: meno spesa, meno qualità. E a questa prospettiva la Flc Cgil non ci sta”.
(da agenzie)
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