FELICITA’, PAROLA PROBITA DA NON PRONUNCIARE MAI
GLI STUDI STATISTICI PER DETERMINARE IL QUANTUM DI FELICITA’ SI BASANO SOLO SU CRITERI ECONOMICI
Sono in gran rispolvero gli studi a livello statistico per determinare il quantum di felicità o infelicità che c’è fra i popoli del mondo. Si basano quasi tutti su criteri economici a indirizzo statistico, anche se non solo. Il risultato è all’apparenza paradossale: i popoli più ricchi, che appartengono in genere all’area occidentale, sono più infelici di quelli poveri.
Ma non è una sorpresa. I popoli più ricchi sono inseriti in quello che ho chiamato il “modello paranoico” basato sulle crescite esponenziali che esistono in matematica (tu puoi sempre aggiungere un numero) non in natura: raggiunto un obiettivo devi immediatamente inseguirne un altro ancora, più ambizioso,
salito un gradino devi farne un altro, e così all’infinito per cui non puoi mai raggiungere un momento di riposo, di quiete, di serenità.
I primi a occuparsi di felicità sono stati gli americani che nella loro Costituzione, cioè nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776 hanno proclamato, prudentemente, un diritto alla ricerca della felicità che però l’edonismo straccione contemporaneo ha trasformato in un vero e proprio diritto alla felicità. Sono i diritti impossibili postulati dal razionalismo irrazionale dell’Illuminismo. Dichiarare che esiste un diritto alla felicità significa rendere l’uomo per ciò stesso e ipso facto infelice. Diritti di questo genere, come quello alla salute, non esistono. “Esiste, in rari momenti della vita di un uomo, un rapido lampo, un attimo fuggente e sempre rimpianto, che chiamiamo felicità, non il suo diritto” (Cyrano, giugno 2005). Così come non esiste un diritto alla salute. Il fortunato che ce l’ha se la tiene ma nemmeno Domineiddio può dargliela. Esiste semmai un diritto alla sanità, cioè alle cure mediche. Tra l’altro nessuno può essere sottoposto contro la sua volontà a un trattamento sanitario obbligatorio (Tso). Il problema si pose all’epoca del Covid e del lockdown. Ma per raggirarlo si misero i cittadini in una situazioni così complessa che non avrebbero più potuto lavorare. I movimenti “no vax”, cioè delle persone che rifiutavano i vaccini, furono oppressi in tutto il mondo senza tener conto che i vaccini possono avere anche pesanti effetti collaterali, collaterali per modo di dire perché possono portare alla morte come accadde a una ragazza di Genova. Io, naturalmente, non faccio statistica, ma ho almeno tre conoscenti che sono rimasti
paralizzati in modo irrimediabile. In quanto al lockdown noi comuni mortali non avremmo potuto allontanarci più di duecento metri dalla nostra abitazione, ma intanto Matteo Renzi trasvolava continenti e oceani per andare a trovare in Arabia Saudita il suo amico Bin Salman e a farsi pagare da lui cospicue somme per cosiddette conferenze (il “rinascimento arabo” secondo l’ineffabile statista di Rignano). A Novak Djokovic, che era un convinto no-vax fu proibito di partecipare agli Australian Open e successivamente agli Us Open. Ma Novak è uno dei pochissimi che porta fino in fondo le proprie convinzioni, dice ciò che pensa e pensa ciò che dice (“Il Kosovo è serbo e rimarrà sempre serbo”, dichiarazione che gli è costata la condanna di tutta la cosiddetta comunità internazionale).
Io, la felicità l’ho trovata solo presso alcuni popoli aborigeni, in Sudafrica e in Australia. Per essere felici mancava loro solo la consapevolezza di esserlo. Ma se l’avessero raggiunta, la loro felicità si sarebbe sciolta come neve al sole.
Massimo Fini
(da ilfattoquotidiano.it)
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