“GLI USA DI TRUMP STANNO DIVENTANDO UN REGIME AUTORITARIO”
INTERVISTA AL PROF. MARIO DEL PERO, DOCENTE DI STORIA INTERNAZIONALE PRESSO IL SCIENCESPO DI PARIGI
L’emittente statunitense ABC ha deciso di sospendere per un tempo indefinito il programma di Jimmy Kimmel, conduttore spesso critico di Donald Trump, per i suoi commenti sul caso di Charlie Kirk. Nello stesso giorno, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato di aver inserito Antifa – una sigla che indica un movimento di sinistra diffuso – tra le organizzazioni terroristiche.
Fanpage.it ha intervistato Mario Del Pero, professore di Storia Internazionale e Storia della Politica Estera Statunitense presso il SciencesPo di Parigi e Senior Research Fellow dell’ISPI.
Del Pero ha spiegato che questi sono solo due segnali di un processo più ampio: lo slittamento degli Stati Uniti verso l’autoritarismo, una crisi della democrazia che sarà difficile fermare anche alle prossime elezioni.
Professore, oggi la sospensione di Jimmy Kimmel. Poche settimane fa, CBS ha cancellato il Late Show di Stephen Colbert, altro conduttore critico di Trump. Le grandi emittenti si stanno ‘piegando’ alla pressione politica del presidente?
In parte sì, alcuni media si stanno piegando. Non tutti, ma alcuni. Soprattutto quelle emittenti e quelle testate che hanno obiettivi imprenditoriali condizionati dalle decisioni delle autorità federali, quindi della politica. È il caso anche di ABC: si trova in mezzo a un’espansione che deve essere autorizzata dalla FCC, l’autorità federale competente.
Il presidente della FCC (Brendan Carr, nominato da Trump, ndr) ha espresso la sua posizione e ha pubblicamente esercitato delle pressioni: ha chiarito quale sarebbe stata la preferenza del governo federale. E non è il primo caso. In campagna elettorale il Washington Post rifiutò di pubblicare l’endorsement a Kamala Harris deciso dal suo comitato editoriale. È un segnale preoccupante?
Nei rapporti con i media, così come su su tante altre questioni – penso alla posizione assunta verso gli studenti che manifestavano, gli studi legali, le università – l’ amministrazione usa l’intimidazione come strumento di governo. E se questa
intimidazione può servire anche per attuare forme di coercizione economica, è ancora più efficace. Serve per silenziare il dissenso, per prevenire l’emergere di dissenso. Questo è il manuale di qualsiasi regime autoritario.
Gli Stati Uniti sono diventati un Paese autoritario?
Lo stanno diventando. È in atto uno slittamento autoritario, dall’esito non certo, ma che ogni giorno in modo diverso si manifesta sotto i nostri occhi. Questo è un altro esempio.
In particolare, la sospensione di Jimmy Kimmel è legata alle sue parole sull’assassinio di Charlie Kirk. Il suo omicidio è stata un punto di non ritorno, nell’escalation di violenza politica che gli USA hanno visto negli ultimi anni?
È stato sicuramente un evento tragico. Ma succede talmente spesso, c’è una tale accelerazione del processo storico negli USA, che non credo esistano più momenti spartiacque. Né punti di non ritorno, perché nella storia il ritorno c’è sempre. Negli Stati Uniti di Trump, ogni giorno sembra esserci uno spartiacque cruciale che poi si rivela solo un altro passaggio di un percorso che io trovo spaventevole. L’assassinio di Kirk e la risposta della politica sono un altro tassello di un clima che legittima la violenza politica e concorre a produrre violenza politica. Trump e il movimento MAGA cercano di sfruttare questa violenza per perseguire degli obiettivi che non esito a definire autoritari.
Trump ha anche annunciato che inserirà il movimento Antifa tra le organizzazioni terroristiche (annuncio che aveva già fatto alcuni anni fa), ‘consigliando’ di indagare a fondo su tutti coloro che lo finanziano in qualche modo. Quali conseguenze concrete ci si può aspettare da questa decisione?
Bisogna ricordare che Antifa non è un’organizzazione: non ha uno statuto, né una struttura. È una sigla che definisce un movimento, quasi un brand, che viene usato dai manifestanti di Portland un giorno e da quelli di Cleveland il giorno dopo.
Denominarla “organizzazione terroristica” pone un problema enorme: dato che non si tratta di un’organizzazione, si lascia infinita discrezionalità al potere esecutivo su come utilizzare questa definizione. Se domani un gruppo di universitari a Austin, in Texas, fa una manifestazione con le bandiere di Antifa, sono terroristi. Un altro modo di rivelare il volto autoritario di questa di questa amministrazione.
I Democratici per fermare Trump devono puntare sulle prossime elezioni di metà mandato, o di midterm, che si terranno nel 2026?
Solitamente il partito del presidente neo-eletto perde consenso al primo midterm successivo. È il ciclo elettorale in cui tendenzialmente un’amministrazione e un presidente sono più vulnerabili: perché nei primi due anni di governo non hanno realizzato le promesse della campagna elettorale, perché c’è una certa disillusione, perché l’avversario tende a essere più motivato e può portare più facilmente i suoi elettori alle urne.
Il tasso di impopolarità di Trump è elevato, e una sconfitta elettorale al midterm del 2026 non è certa, ma è molto probabile. Questo porterebbe a un governo diviso: la Camera dei rappresentanti, dove oggi i Repubblicani hanno una maggioranza risicatissima, tornerebbe sotto il controllo dei Democratici.
In questi primi mesi, però, Trump è andato avanti soprattutto con decreti e atti presidenziali. Un Congresso diviso lo ostacolerebbe?
Sì, il Congresso finora è stato totalmente marginalizzato. È uno dei Congressi con la più bassa produttività legislativa dell’ultimo secolo. Anche questo evidenzia la torsione autoritaria: si governa per via esecutiva, con decreti presidenziali. Ma c’è una norma fondamentale che non può essere approvata per via esecutiva: la legge di bilancio, con cui un’amministrazione governa il Paese. Quindi, un Congresso controllato in parte dei democratici metterebbe degli ostacoli significativi.
Il Texas ha ridisegnato le mappe elettorali per guadagnare più seggi. Intanto, il governo federale ha inviato militari a Los Angeles – con il pretesto che ci fossero manifestanti e criminali violenti – e minacciato di mandarli anche in altre città guidate dai Democratici. Possiamo essere certi che le prossime elezioni si svolgeranno i condizioni di piena democrazia?
Ridisegnare i collegi elettorali per massimizzare il ritorno del voto e per limitare il numero di seggi che cadranno nelle mani della controparte, il famoso “gerrymandering”, è partito con il Texas, ma ora lo stanno seguendo la Florida, l’Indiana, il Missouri. In Texas, dovrebbe portare i repubblicani ad avere cinque e seggi in più l’anno prossimo (sui 38 totali che il Texas assegna).
Intendiamoci, in passato l’hanno fatto anche i Democratici – basta guardare le mappe del Maryland o del l’Illinois. Il problema è che avvenga così strumentalmente, per un ciclo elettorale specifico. E in parallelo ci sono direttive federali e iniziative statali per rendere più difficile l’accesso al voto.
Trump ha invitato più volte gli Stati a eliminare il voto per posta.
Perché?
Negli USA si vota il martedì, giorno feriale, con pochi seggi. Negli anni sono state introdotte delle facilitazioni, a partire dal voto postale. Ora le stanno togliendo, e questo penalizza soprattutto le minoranze, in particolare la minoranza nera che vota di più per i Democratici. Credo che ci sia uno sforzo deliberato, da parte di questa amministrazione, per rendere più difficile l’esercizio del voto l’anno prossimo. Anche questo rimanda alla crisi della democrazia statunitense.
Se gli Stati Uniti stanno diventando uno Stato autoritario, cosa può invertire la rotta?
Lo slittamento non è inevitabile. Finora il potere giudiziario è quello che ha messo più ostacoli al dispiegamento di questo disegno autoritario, bloccando numerosi ordini esecutivi per la loro patente incostituzionalità o illegalità. Il potere giudiziario può fare molto, ma sul lungo periodo non può fermare il “bulldozer” esecutivo, anche perché poi la Corte Suprema è intervenuta a più riprese modificando le decisioni delle corti distrettuali e delle corti d’appello.
È una Corte Suprema che talvolta si dissocia dagli estremi di Trump, però molto spesso avalla la posizione di questa amministrazione. Anche perché su nove giudici, almeno tre o quattro votano sempre e comunque con Trump. Quindi tutto dipende dalla giudice Barrett e dal giudice Roberts, il presidente della Corte, per compensare questo fortissimo sbilanciamento che c’è oggi nella Corte. Forse la il contrappeso più significativo che si sta manifestando è il federalismo.
In che senso?
L’azione degli Stati, e anche delle municipalità, che stanno cercando di frapporsi a questo “bulldozer”. Lì si gioca una partita fondamentale. La metafora degli “anticorpi democratici” è un po’ abusata, ma forse l’anticorpo più forte è proprio la natura federale del sistema statunitense.
(da Fanpage)
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