L’ITALIA FRENA LE SANZIONI A ISRAELE E FA IL GIOCO DELLE TRE CARTE SUL RICONOSCIMENTO DELLA PALESTINA
SULLA PALESTINA IL GOVERNO ITALIANO È PRONTO ALLA PARACULATA GRAZIE A UNA CLAUSOLA PREVISTA NEL DOCUMENTO CHE SARÀ VOTATO A NEW YORK: ANCHE SE SI VOTA SÌ AL RICONOSCIMENTO FORMALE, QUELLO SOSTANZIALE NON SARÀ AUTOMATICO
Le sanzioni che la Commissione europea ha adottato contro Israele vengono giudicate da tutti, compresi i vertici della burocrazia di Bruxelles, come misure all’acqua di rose.
Dopo mesi di incertezza, la notizia non è il merito, ma il passo in avanti, che però resta tutto politico, visto che probabilmente le due misure più incisive, sul piano commerciale e della collaborazione in materia di ricerca scientifica, potrebbero non vedere mai la luce.
Uno dei tasselli che depotenzia al momento un set di misure che sono già blande porta da Bruxelles sino a Palazzo Chigi. Da quello che sembra di capire da fonti di governo, la prima indicazione che è arrivata in materia di sanzioni da parte dell’esecutivo di Giorgia Meloni è quella di non essere determinanti.
Sia che lo sforzo della commissiona fallisca, sia che abbia successo, l’Italia non vuole stare sotto i riflettori.
Se le sanzioni contro i ministri dell’ultra-destra israeliana prevedono l’adozione all’unanimità (che resta quasi impossibile), quelle commerciali e in materia di ricerca scientifica, che introducono di fatto dei dazi sull’export di Israele, hanno bisogno di una maggioranza qualificata per passare e possono essere stoppate da una minoranza di blocco.
A discapito del desiderio di non avere pubblicità al momento attuale, questa minoranza di blocco esiste e l’Italia ne è il perno fondamentale: per bloccare tutto bastano infatti due Paesi grandi, e uno è la Germania, e due piccoli (al momento sono anche di più: Austria, Ungheria, Bulgaria e Repubblica Ceca).
Insomma, l’Italia finora ha fatto sapere di non essere disposta a cambiare approccio, di essere nettamente contraria alle sanzioni commerciali e sulla ricerca e di voler restare allineata con Berlino. A meno che la Germania del Cancelliere Merz non cambi idea.
In ogni caso l’Italia rischia di essere determinante come un ago della bilancia, costituendo un elemento necessario di quella minoranza di blocco che può mandare tutto in fumo. E viste le regole dell’Unione, in questo caso, dei tre moduli di sanzioni adottate dalla Commissione (blocco dei pagamenti, sanzioni personali contro ministri del governo israeliano, interruzioni di progetti commerciali e di ricerca scientifica) solo il primo diverrebbe operativo
Due giorni fa il commissario europeo per la politica regionale, l’italiano Raffaele Fitto, non ha partecipato al voto sulla stretta contro Israele. Era presente alla riunione ma è uscito quando la discussione è arrivata a toccare il tema delle sanzioni. Se fosse rimasto al tavolo, avrebbe dovuto esprimere il suo dissenso perché non condivide in pieno le proposte. Uscendo, però, ha
consentito che le proposte passassero perché il Collegio dei commissari decide per consenso. Anche altri commissari erano assenti, ma da prima.
Intanto, ieri, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha fatto sapere che la prossima settimana, a margine dell’assemblea delle Nazioni Unite, alla quale parteciperà anche Giorgia Meloni, l’Italia aderirà a una dichiarazione dell’Onu con l’obiettivo «di costruire uno Stato Palestinese e far cessare le ostilità». Tutto questo mentre le opposizioni fanno notare che le dichiarazioni dell’Onu sul tema sono iniziate nel 1948. E Matteo Salvini dice che «Israele ha tutto il diritto di garantirsi un futuro sereno».
L’appuntamento è per lunedì. Emmanuel Macron arriverà all’Assemblea generale dell’Onu a New York e ufficializzerà insieme ad altri paesi il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Quando il leader francese aveva annunciato la decisione a giugno, sembrava un gesto isolato. Poi si sono aggiunti Canada, Australia, qualche giorno fa il Lussemburgo. Altri paesi, come Regno Unito e Belgio, hanno condizionato il riconoscimento ma ora sarebbero pronti a compiere il passo
Se è ormai certo che Germania e Italia non seguiranno, a Parigi ripetono che potrebbero esserci «sorprese» nelle prossime ore. E che alla fine ci saranno una decina di Stati insieme alla Francia. Una nuova coalizione di volenterosi che Macron ha costruito con un lavoro discreto ma intenso in tandem con l’Arabia Saudita.
La Francia prevede un riconoscimento “a tappe”, legato all’evoluzione della situazione sul terreno. L’apertura di un’ambasciata francese a Ramallah fa parte delle misure previste, ma più avanti. Una delle condizioni centrali poste è una riforma profonda dell’Autorità nazionale palestinese, che dovrà dimostrare la capacità di esercitare un potere legittimo e un impegno visibile sul rinnovamento democratico delle istituzioni. Questo punto, viene fatto notare, è anche ciò che i governi
ancora esitanti pongono come condizione per unirsi all’iniziativa.
L’altra grande sfida, per Parigi, riguarda la battaglia dell’opinione pubblica, in particolare in Israele. I diplomatici francesi spiegano che la campagna ostile lanciata dal governo Netanyahu e seguita in parte dagli Usa, ha distorto il senso dell’iniziativa, facendola passare come un gesto unilaterale pro-palestinese o peggio ancora come un “regalo a Hamas”. «Uno Stato palestinese credibile, sostenuto e riconosciuto rappresenta la morte politica di Hamas», martella il ministro degli Esteri, Jean-Noel Barrot. Non a caso Macron ha scelto di fare un’intervista con una tv israeliana alla vigilia dell’assemblea dell’Onu.
Il documento approvato alla conferenza di New York – co-presieduta da Francia e Arabia Saudita – chiede esplicitamente ad Hamas di consegnare le armi e cedere la governance di Gaza all’Autorità palestinese.
L’Anp non dispone dei mezzi per gestire da sola un’operazione di disarmo di Hamas. La soluzione prefigurata dalla Francia è la creazione di una missione internazionale di stabilizzazione, ispirata a un piano arabo già delineato nei mesi scorsi e inserita nella dichiarazione di New York. Un primo incontro tra partner europei e mediorientali si è già svolto a Parigi per discutere la fattibilità della missione.
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