LA GLOBAL SUMUD FLOTILLA, QUELLI CHE LASCIANO LA MISSIONE E QUELLI CHE RESTANO
I DISPOSTI ALLA MEDIAZIONE, L’IPOTESI DI SBARCO A CIPRO E QUELLA DELLA “ZONA CUSCINETTO”
La Global Sumud Flotilla perde pezzi. Venti persone, di cui la metà italiane, hanno abbandonato la missione. Qualcuno per stanchezza o impegni, qualcun altro per paura. Qualcuno anche in disaccordo con il direttivo e le sue decisioni. Come l’ultima, quella di rifiutare la proposta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sugli aiuti da consegnare al patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Intanto le Ong fanno sapere che dai pacchi umanitari per Gaza Israele impone di togliere i prodotti «ad alto contenuto energetico per donne e bambini».
Le liti sulla Flotilla
Nelle ultime missioni della Flotilla forzare il blocco navale israeliano era interpretata politicamente. Ovvero l’idea era di arrivare a ridosso delle acque internazionali e poi arrendersi all’esercito di Israele. Ora, spiega La Stampa, qualcuno vuole andare oltre. Rischiando una risposta violenta. C’è anche da considerare che ogni capitano della Flotilla ha la responsabilità della sua barca. E quindi il singolo potrebbe decidere di staccarsi lungo il percorso. Per un motivo o per un altro. Mancano cinque giorni all’arrivo davanti alla Striscia. Una dei due portavoce della delegazione italiana della Flotilla, Maria Elena Delia, oggi
torna in Italia. Proprio per cercare un punto di mediazione con le autorità. Si parla di un incontro alla Farnesina e di interlocuzioni con la Cei.
I parlamentari sulle navi
Arturo Scotto, Annalisa Corrado, Marco Croatti e Benedetta Scuderi, parlamentari di Pd, M5s e Avs, cercano una soluzione diplomatica. Voglio evitare lo scontro finale, con la sfida alle navi militari israeliane. Anche se dai leader dei partiti arrivano segnali contrastanti. E, sempre secondo il quotidiano, ci sarebbe per loro un piano B. Anche se nessuno lo ammette esplicitamente, potrebbero fermarsi all’ultima tappa prima del traguardo. Ovvero a Cipro. Anche se «ad oggi non c’è intenzione di sbarcare», dice Scuderi. Il rischio di disimpegno da una missione che ormai ha una dimensione mediatica superiore alle aspettative è alto.
Il governo e la Gsf
Intanto il governo valuta l’opzione estrema. Ovvero una zona cuscinetto in acque internazionali. Un intervento preventivo e non bellico che l’Italia potrebbe condividere con la Spagna e la Grecia. Per evitare che la Global Sumud Flotilla provi a sfondare il blocco di Gaza. Nella memoria c’è il 2010, quando dieci attivisti vennero uccisi durante l’assalto israeliano alla Freedom Flotilla. Giorgia Meloni e Antonio Tajani cercano un gesto anche simbolico per convincere gli attivisti a fermarsi. L’esecutivo ha anche paura delle possibili manifestazioni. Il Viminale è pronto a riunire il comitato di sicurezza. «C’è l’intenzione, da parte di alcuni, di trasformare questa causa in qualcosa che potrà riflettersi nelle nostre piazze», ha detto il
ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Il canale umanitario permanente
La posizione della Flotilla è sempre la stessa: gli attivisti chiedono la fine del blocco navale e l’apertura di un canale umanitario permanente. «È curioso che si chieda a noi di fare un passo indietro e si tratti con uno Stato genocida, che da anni viola ogni norma e convenzione. Noi sappiamo di avere dalla nostra il diritto internazionale», dice a Repubblica David Adler, ebreo americano, in passato consulente di Bernie Sanders e oggi coordinatore di Progressive international dal ponte della Alma.
Delia, docente di professione, era agli sgoccioli della sua aspettativa. Quindi dalle navi sarebbe dovuta scendere lo stesso. Ma secondo gli attivisti il suo arrivo in Italia vuole dire che una soluzione per la mediazione ancora c’è. Per esempio la strada egiziana. Che prevederebbe lo sbarco dei carichi di aiuti a Port Said e il trasferimento via terra a Rafah. Intanto nelle chat collettive iniziano ad arrivare messaggi sui droni: «Eccone un altro».
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