SALVINI- DI MAIO, SALTA L’IDILLIO
SI APRONO LE OSTILITA’ E AL QUIRINALE SI ASPETTANO TEMPI BIBLICI
I tempi che prevedono al Quirinale, a sentire chi ha una certa consuetudine col Colle più alto sono metafora delle difficoltà .
Da lunghi sono diventati biblici, perchè è come se questo negoziato sul governo fosse tornato al punto di partenza.
Il metodo utilizzato per elezione dei presidenti delle Camere pare essere già franato. E con esso l’idillio, quantomeno quello pubblico, tra i due ambiziosi runner della Terza Repubblica, almeno a giudicare dalle dichiarazioni ufficiali, certo molto tattiche, ma che rivelano una grande difficoltà a comporre il quadro.
Quel metodo scricchiola ben prima dell’intervista di Salvini a Porta a Porta, perchè la verità è che Salvini lo ripropone tout court, ponendosi come leader dell’intero centrodestra, proprio come avvenuto nell’elezione dei presidenti che non ha reso necessario il contatto diretto tra Di Maio e Berlusconi.
Ovvero quel riconoscimento come interlocutore che il Cavaliere aveva in un primo momento chiesto, per poi rinunciare nei fatti.
È chiaro che un leader di un’intera coalizione dica che senza Forza Italia, suo alleato, “allora arrivederci”.
Ed è altrettanto evidente che un’alleanza di questo tipo, centrodestra e Cinque Stelle, proprio come sulle Camere dove i primi nomi sono stati bruciati, anche sul governo abbia come presupposto il passo indietro dei leader sulla via di palazzo Chigi per convergere su un nome terzo: “Se Di Maio dice ‘o io o nessuno’ sbaglia perchè ad oggi è nessuno”.
Ecco il punto. Se c’è un momento in cui quell’impianto, considerato prodromico del governo che verrà , entra in crisi, sono le dichiarazioni di Alfonso Bonafede piuttosto tranchant: “Non siamo disponibili a nessun esecutivo senza Di Maio premier. Se noi ai cittadini presentiamo un altro candidato premier, non eletto dai cittadini determiniamo il definitivo allontanamento dalla politica”.
E c’è un motivo se il leader pentastellato, dopo averle ripetute in serata, annuncia un giro di “incontri” con tutte le forze politiche prima delle consultazioni.
Il che significa un incontro anche con il forno democratico. C’è, al tempo stesso, un punto fermo e una difficoltà di fondo di Luigi Di Maio. Detta in modo un po’ gergale, con le parole più fonti politiche: “Se a palazzo Chigi non va lui, l’intera operazione non la regge”.
Non la regge perchè c’è un grande pressione di una parte di opinione pubblica, giornali, intellettuali di riferimento che già ha mal digerito l’accordo sulle presidenze con la Lega e l’elezione di una berlusconiana doc come la Casellati alla presidenza del Senato.
E solo la presenza di Di Maio a palazzo Chigi potrebbe rappresentare un elemento rassicurante. Per la serie: “Ci sono qui io, fidatevi di me”.
Il punto davvero critico si chiama Silvio Berlusconi. Per quanto possa nascondersi, camuffarsi, farsi rappresentare da Salvini in nome del realismo pur di stare al governo per tutelare gli interessi aziendali, il Cavaliere è figura ingombrante.
Un voto allo stesso governo rappresenterebbe una “legittimazione” eccessiva e, con essa, la perdita della propria diversità . Insomma il “Grillusconi” formidabile strumento di resurrezione anche di avversati piuttosto moribondi.
E qui si torna al punto di partenza.
Salvini non può permettersi una rottura del centrodestra, e non solo perchè ci sono le elezioni in Friuli a fine aprile, ma per una ragione più di fondo che i suoi spiegano con una certa chiarezza: “Forza Italia sta franando e verranno con noi, soprattutto al Nord. Se noi facciamo un governo con Di Maio senza Forza Italia questo processo lo arrestiamo, noi invece dobbiamo facilitarlo, per questo Matteo non romperà il centrodestra”.
E l’ambizioso leader del Cinque stelle non può permettersi di cedere sul suo incarico e su Berlusconi di cui ricorda “l’infedeltà ” a proposito dell’elezione di Fico dove sono mancati 60 voti. E come strumento di pressione cerca anche una interlocuzione col Pd.
È vero che, in questa storia di difficile lettura fatta di simulazioni di intesa sui programmi e repentine dissimulazioni, la comprensione dei tempi è cruciale.
Quasi sincopati per l’elezione dei presidenti, lunghi per il governo, che consentono un processo di decantazione e, come si diceva una volta, la maturazione di fatti nuovi. Per cui Di Maio potrebbe, sul lungo periodo, far cadere il tabù della sua presenza a palazzo Chigi. Chissà .
Però i fondamentali, ad oggi, configurano il più classico degli stalli, con i due runner della Terza Repubblica che si posizionano in vista di una trattativa lunga, tenendo alta l’asticella negoziale.
E fanno precipitare nell’incertezza molte ipotesi che si sono consumate nel chiacchiericcio della politica, a proposito degli “schemi” messi a punto sul Colle su come gestire questo complicato negoziato dai tempi lunghi, a proposito del quale già si evocano i mitici precedenti del passato, come quel 1976 in cui servirono più di quattro mesi per arrivare al governo delle astensioni.
Cade anche lo schema dato per scontato e che scontato non è.
La vulgata recita, secondo il ricordo del 2013, che Mattarella possa dare prima un “pre-incarico” a Salvini, leader della coalizione arrivata prima, poi a Di Maio, leader del primo partito, per poi arrivare al dunque con i tentativi veri, quando sarà consumata la ritualità iniziale.
Pre-incarichi che, a leggere le dichiarazioni di oggi, sono diventati, a vederla con gli occhi del Colle, solo una perdita di tempo, perchè per affidarli ci vorrebbe una ragionevole possibilità che ci fossero i numeri e una disponibilità al confronto per trovarli.
La verità , molto indicativa, è che non c’è nessuno schema. Anche perchè di ciò che accade nell’ombra, lontano da taccuini e microfoni, tra Salvini e Di Maio si sa davvero poco.
È venuta meno, nel nuovo quadro quel sistema di consuetudini, ambasciatori, colloqui informali, conoscenza reciproca che con Pd e Forza Italia dura da diversi lustri.
È come se, improvvisamente, si fosse entrati in una terra ignota di soggetti che parlano linguaggi diversi e seguono logiche irrituali.
L’unico modo per gestire l’ignoto sono le solide certezze proprie di una antica sapienza costituzionale. Per avere l’incarico, occorre una maggioranza.
Che, al momento, nessuno ha.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply