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A MOSCA HANNO STAPPATO LE BOTTIGLIE DI VODKA PER LA VITTORIA DI TRUMP

LA SODDISFAZIONE DELL’ÉLITE RUSSA DI FRONTE ALLE ELEZIONI AMERICANE: “ABBIAMO VINTO”

Il campo di calcio della monumentale Puskás Arena è vuoto, ma i padiglioni del nuovo stadio di Budapest, dove ieri si sono riuniti i 42 capi di stato e di governo della Comunità politica europea e oggi si rivedranno solo i 27 dell’Ue, assomigliano per un giorno a un drammatico ring.
Quasi un match a due. Da una parte Viktor Orbán. Il padrone di casa, accusato di essere la quinta colonna di Vladimir Putin a Bruxelles e che ora può contare sulla ritrovata sponda di Donald Trump negli Usa.
Il premier magiaro dichiara subito che va chiusa rapidamente la guerra in Ucraina, chiede un cessate il fuoco a stretto giro, dichiara che va ridiscusso il prestito da 50 miliardi deciso solo pochi mesi fa, al G7 in Puglia, perché se gli Usa non saranno più disposti a finanziarlo, chi paga? Dall’altra c’è Volodymyr Zelensky: il presidente ucraino chiede ai partner europei di continuare a sostenere Kiev militarmente.
«Non ci servono parole per i negoziati, ma armi». Fermare la guerra adesso sarebbe «una sconfitta». Un cessate il fuoco è «totalmente sbagliato», in queste condizioni, perché «ci abbiamo già provato nel 2014: abbiamo perso la Crimea e nel 2022 abbiamo subito un’invasione».
Si batte ancora, Zelensky, per «una pace giusta secondo un piano deciso dall’Ucraina ». E risponde duramente alle parole del leader magiaro. L’Ungheria «non ha diritto di critica», perché non ha mai fornito armi.
Non solo: «Alcuni di voi – accusa nel suo intervento – abbracciano Putin da vent’anni e le cose stanno solo peggiorando ». Per Zelensky ogni concessione a Mosca è «inaccettabile». Di più: un «suicidio per l’Europa». Ma per primo ammette di non sapere quale sarà la strategia di Washington: «Nessuno può prevedere cosa farà Trump».
Per questo chiede sostegno all’Ue. Per il primo ministro ungherese, però, anche fra i 27 «cresce il numero di Paesi a favore della pace ». Per Zelensky, invece, «non è così », replica in conferenza stampa.
Sono al lavoro i consiglieri di Donald Trump per consentirgli di mantenere la prima e forse più difficile promessa elettorale, quella di metter fine alla guerra in Ucraina entro l’Inauguration Day, il prossimo 25 gennaio. Come ci riuscirà, resta un gigantesco punto interrogativo.
A chi glielo chiedeva, Trump ha risposto di non poter rivelare «i miei piani, perché se ve li dico non sarò più in grado di usarli».
Eppure, qualcosa è trapelato nelle ultime settimane. Il dato fondamentale, che lo stesso Zelensky ha sottolineato a commento dell’elezione di Trump, è che «nessuno può prevedere che cosa farà» il presidente eletto.
Quanto agli scenari, si scontrano diverse visioni tra i “suggeritori” del tycoon. Mike Pompeo, già segretario di Stato e in lizza per il Pentagono, ha un approccio tradizionale e ritiene che non si debba darla vinta a Putin.
Al momento, quindi, non dovrebbero interrompersi gli aiuti militari, semmai bisognerebbe imbastire un’azione diplomatica di Trump per portare allo stesso tavolo lo Zar e Zelensky
Al contrario, secondo uno dei candidati alla Segreteria di Stato, Richard Grenell, la guerra dev’essere fermata al più presto, costringendo Kiev a fare concessioni in termini di territorio accogliendo l’idea di un congelamento della linea del fronte (la Russia occupa circa un quinto dell’Ucraina).
Il terzo scenario, riportato dal Wall Street Journal citando tre consiglieri anonimi di Trump, aggiunge alla cessazione delle ostilità in base allo status quo anche un impegno di Kiev a non aderire alla Nato per almeno vent’anni.
In cambio, però, gli Stati Uniti continuerebbero ad armare l’Ucraina come deterrenza verso la tentazione di Putin di affondare il coltello e invaderla nuovamente. Si dovrebbe poi definire una zona cuscinetto demilitarizzata lunga circa 1200 chilometri, presidiata non da americani (Trump ha detto che non ha alcuna intenzione di mandare altri soldati Usa a combattere le guerre degli altri, per di più a caro prezzo).
Semmai dagli europei, perché è venuta l’ora che l’Europa si assuma le proprie responsabilità. Un quarto possibile “piano”, tratteggiato da Keith Kellogg e Fred Fleitz, collaboratori di Trump durante il primo mandato alla Casa Bianca, ipotizza che venga sospeso l’invio di armi a Kiev finché Zelensky non si persuaderà ad avviare un negoziato serio.
Ma questa opzione è considerata da molti poco commestibile per un macho come Trump, perché renderebbe la posizione negoziale ucraina troppo debole al cospetto della Russia (che continua ad avanzare sul campo di battaglia, a martellare con droni la capitale Kiev e ieri anche a bombardare Zaporizhzhia, la città della centrale nucleare).
Nei corridoi del potere di Mosca, la vittoria dell’argomentazione populista di Trump, secondo cui l’America dovrebbe concentrarsi sui problemi interni piuttosto che aiutare Paesi come l’Ucraina, è stata salutata come una potenziale vittoria per gli sforzi della Russia di ritagliarsi una propria sfera di influenza nel mondo.
In termini ancora più ampi, è stata vista come una vittoria delle forze conservatrici e isolazioniste sostenute dalla Russia contro un ordine globale liberale e dominato dall’Occidente che il Cremlino (e i suoi alleati) hanno cercato di minare.
Nelle sue prime dichiarazioni dopo le elezioni, il Presidente Vladimir Putin ha affermato giovedì che il monopolio del potere globale dell’Occidente dopo la Guerra Fredda sta “irrevocabilmente scomparendo”, prima di elogiare Trump per essersi comportato “coraggiosamente” durante un attentato alla sua vita quest’estate.
“Le sue parole sul desiderio di ripristinare le relazioni con la Federazione Russa e di aiutare a risolvere la crisi ucraina, a mio avviso, meritano attenzione”, ha detto durante il suo discorso annuale al Valdai Forum di Sochi
I membri dell’élite russa sono stati più schietti nella loro risposta alla vittoria di Trump. “Abbiamo vinto”, ha detto Alexander Dugin, l’ideologo russo che da tempo promuove un’agenda imperialista per Mosca e ha sostenuto gli sforzi di disinformazione contro la campagna di Kamala Harris. “Il mondo non sarà mai più come prima. I globalisti hanno perso la loro battaglia finale”, ha scritto su X.
Il vicepresidente della Camera alta del Parlamento russo, Konstantin Kosachev, ha dichiarato sul suo canale Telegram: “La vittoria della destra nel cosiddetto ‘mondo libero’ sarà un colpo per le forze di sinistra-liberali che lo dominano. Non è un caso che l’Europa abbia “tifato” così apertamente per Harris, che in realtà avrebbe preservato il dominio del “clan” Obama-Clinton”.
Konstantin Malofeyev, il miliardario russo ortodosso che ha finanziato un’agenda conservatrice che promuove i valori cristiani tradizionali all’estrema destra e all’estrema sinistra in tutto l’Occidente, ha affermato su Telegram che sarebbe possibile negoziare con Trump, “sia sulla divisione dell’Europa che sulla divisione del mondo. Dopo la nostra vittoria sul campo di battaglia”.
In termini più immediati, ci si aspettava che la vittoria di Trump avesse un impatto drammatico sulla guerra della Russia in Ucraina, secondo Leonid Slutsky, capo della commissione affari esteri del Parlamento.
“A giudicare dalla retorica pre-elettorale… la squadra repubblicana non ha intenzione di inviare sempre più denaro dei contribuenti americani nella fornace della guerra per procura contro la Russia”, ha dichiarato. “Una volta che l’Occidente smetterà di sostenere il regime neonazista del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la sua caduta avverrà nel giro di pochi mesi, se non di giorni”.
Le azioni della borsa di Mosca hanno registrato un’impennata di quasi il 3% nelle prime contrattazioni dopo i risultati delle elezioni, tra le diffuse speculazioni sul fatto che Trump potrebbe revocare le sanzioni contro la Russia in cambio della fine delle sue azioni militari
“Trump è una persona abituata a fare accordi”, ha detto un uomo d’affari di Mosca, parlando a condizione di anonimato per paura di essere punito. “L’aspettativa è che sotto Trump si arrivi più rapidamente a decisioni per porre fine al conflitto e alleggerire le sanzioni”. “Per le grandi imprese, l’elezione di Trump è un fattore di speranza”, ha aggiunto. “Le sanzioni stanno strangolando l’economia e i costi sono in aumento”.
In seguito, però, i prezzi delle azioni si sono stabilizzati e alcuni analisti hanno affermato che rimane alto il rischio che le relazioni si arenino e che lo stallo possa peggiorare sotto Trump. Alexei Venediktov, l’editore di lunga data dell’emittente radiofonica Echo of Moscow, ha affermato che la possibile conquista da parte dei repubblicani di entrambe le camere del Congresso romperebbe l’annosa situazione di stallo del sistema politico statunitense, consentendo al governo di prendere decisioni con una velocità molto maggiore e creando nuovi rischi.
(da agenzie)

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