APARTHEID E PULIZIA ETNICA: NETANYAHU NON HA PIU’ VERGOGNA
QUESTA E’ UNA GUERRA A OLTRANZA RIVENDICATA DA UN GOVERNO RAZZISTA
Non è solo il termine “genocidio” ad essere contestato sia dal governo israeliano sia da molta parte del mondo ebraico della diaspora a proposito di quanto accade in Israele e in Palestina. Ce ne sono altri, ugualmente contestati e accusati da Netanyahu di antisemitismo. Uno è “apartheid”, l’altro “pulizia etnica”. Le ultime notizie da Israele, con i progetti dichiarati dal governo su Gaza e Cisgiordania, li riportano all’attenzione del mondo.
Apartheid, è noto, è un termine nato per definire la situazione del Sudafrica tra il 1948 e il 1994 e indicare un regime di
segregazione razziale basato sulla supremazia dei bianchi sui neri. Era un regime di segregazione molto netta, in cui tutto, scuole, trasporti, ospedali, era separato al punto che un nero in pericolo di vita non poteva essere curato in un ospedale destinato ai bianchi. Anche la segregazione razziale negli Stati Uniti del Sud, abolita nel 1964, aveva caratteristiche molto simili.
Ricordiamo le foto dei primi bambini neri ammessi in una scuola per bianchi, e dei primi neri che salivano su un autobus per bianchi, protetti dalla polizia. Il termine ha cominciato ad essere usato in Israele all’inizio di questo secolo con la costruzione del muro che separa Israele dalla Cisgiordania. «Ecco la nostra apartheid», dicevano gli israeliani contrari a questa costruzione mostrandolo.
È evidente che non è questa la situazione dei palestinesi cittadini di Israele entro i confini dello Stato. E quando ci si oppone all’uso di questa parola sottolineando che gli arabi israeliani possono essere eletti al Parlamento e laurearsi nelle università israeliane, in realtà si finge di non sapere che con il termine apartheid ci si riferisce non a Israele ma ai territori occupati. Qui la situazione è diversa e sempre più lo sta diventando.
E con il progetto di costruire insediamenti che taglino in due la Cisgiordania non solo si pianta, come ha detto il ministro della Difesa Katz, chiodi nella bara di un futuro Stato palestinese, ma si incrementa l’apartheid, si aumenta il numero delle strade, già numerose, destinate alla circolazione delle macchine israeliane. E si moltiplicano i check point, dove i soldati fanno passare rapidamente le vetture israeliane e, in nome della sicurezza, possono bloccare per ore quella di un palestinese che porta i
bambini a scuola. Due gradini importanti nella scala della discriminazione, verso una segregazione sempre maggiore. Per ora la distinzione maggiore è fra cittadino di Israele e palestinese dei territori occupati, ma quella tra ebreo e palestinese è sempre più visibile.
Il termine pulizia etnica, che l’opposizione al governo israeliano usa per definire il previsto trasferimento dei palestinesi di Gaza City in seguito all’inasprimento delle operazioni militari a Gaza e che ha usato finora sia a proposito delle continue evacuazioni dei palestinesi a Gaza sia a proposito della distruzione di tanti villaggi in Cisgiordania, ha un’altra origine, che nulla c’entra con la Shoah, anche se i sostenitori di Netanyahu sembrano non saperlo: essa indica gli spostamenti forzati di una minoranza per determinare una situazione di omogeneità etnica in un determinato territorio.
Esso è entrato nell’uso negli anni Novanta del Novecento durante la guerra di Bosnia. Solo retrospettivamente è stato applicato a episodi simili di omogeneizzazione etnica, quale ad esempio, per restare in Israele, la Naqba, cioè l’espulsione nel 1948 di oltre 700.000 palestinesi dal nuovo Stato di Israele. I progetti di espulsione dei palestinesi da Gaza, con le trattative in corso con molti Paesi – attualmente con Paesi africani – per trovare loro uno spazio, insieme con quello che succede in Cisgiordania, dove gli attacchi dei coloni ai villaggi palestinesi e la distruzione sistematica delle loro case, scuole, oliveti da parte dell’esercito si accompagna alla loro espulsione per far posto ai nuovi insediamenti ebraici, mi sembra ben possa ricadere entro questa definizione.
Annunciando una guerra ad oltranza a Gaza e ai palestinesi che ancora vi vivono e, al tempo stesso, programmando nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania che taglino in due il territorio in cui avrebbe dovuto nascere lo Stato palestinese, mi sembra che nei giorni scorsi il governo razzista di Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir abbia rivendicato a sé senza vergogna progetti di apartheid e di pulizia etnica. Sarà difficile da ora in poi dire che di altro si tratta.
(da La Stampa)
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