CAROLA AL “CORRIERE”: “TEMEVO SUICIDI A BORDO, HO AVVERTITO IL PORTO, NESSUNO PARLAVA INGLESE”
“NON VOLEVO CERTO COLPIRE LA GDF”… L’ATTESA CRIMINALE DI 36 ORE NONOSTANTE CI FOSSE L’ACCORDO PER LA RIDISTRIBUZIONE MENTRE LA GENTE A BORDO SOFFRIVA… NESSUN PROFUGO SAPEVA NUOTARE, CI SAREBBERO STATI DEI MORTI
“Non è stato un atto di violenza. Solo di disobbedienza. Ma ho sbagliato la manovra”. Carola Rackete, comandante della nave Sea Watch 3, è ai domiciliari dopo l’arresto in flagranza di reato per violazione delle norme sul blocco navale.
Attraverso i suoi avvocati chiarisce al Corriere della Sera che lo scontro con la motovedetta della Guardia di Finanza sulla banchina del porto ”è stato un errore”.
“Non volevo certo colpire la motovedetta della Guardia di Finanza. Non era mia intenzione mettere in pericolo nessuno. Per questo ho già chiesto scusa e lo rifaccio: sono molto addolorata che sia andata in questo modo”.
Carola spiega che sulla Sea Watch la situazione stava precipitando e doveva agire.
“La situazione era disperata. E il mio obiettivo era solo quello di portare a terra persone stremate e ridotte alla disperazione. Avevo paura. Da giorni facevamo i turni, anche di notte, per paura che qualcuno si potesse gettare in mare. E per loro, che non sanno nuotare, significa: suicidio. Temevo il peggio. C’erano stati atti di autolesionismo”.
La decisione è stata presa venerdì notte.
“Quando sono stata convocata per l’interrogatorio fuori della nave ho capito che non saremmo sbarcati. Ho rischiato la libertà . Lo sapevo. Ma non potevo continuare a rischiare che continuassero gli atti autolesionistici. Però ho tentato di avvertire” … “Ho chiamato più volte il porto, ma nessuno parlava inglese. Però ho comunicato che noi stavamo arrivando”… “Per me era vietato obbedire. Mi chiedevano di riportarli in Libia. Ma per la legge sono persone che fuggono da un Paese in guerra, la legge vieta che io le possa riportare là ”.
(da agenzie)
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