CHE FIGURA DI MERDA COLOSSALE PER DONALD TRUMP: A UNA SETTIMANA DALL’INTRODUZIONE DEI DAZI RECIPROCI CONTRO TUTTI I PAESI DEL MONDO, È COSTRETTO A RINCULARE E ANNUNCIA UNO STOP DI 90 GIORNI ALLE TARIFFE, “TRANNE CHE PER LA CINA”
IL COWBOY COATTO DELLA CASA BIANCA, DOPO ESSERSI VANTATO CHE GLI ALTRI LEADER LO STESSERO CHIAMANDO PER “BACIARGLI IL CULO”, SE L’È FATTA SOTTO DI FRONTE AL TRACOLLO DEI MERCATI, CHE HANNO BRUCIATO 10MILA MILIARDI DI DOLLARI. SOPRATTUTTO, SI È TERRORIZZATO QUANDO HA VISTO I TITOLI DI STATO AMERICANI DIVENTARE SPAZZATURA (IERI UN’ASTA DA 58 MILIARDI DI DOLLARI DI BOND TRENTENNALI È ANDATA QUASI DESERTA) … PECHINO NON ABBOCCA ALLE MINACCE DEL TYCOON PERCHÉ HA LA FORZA DI RISPONDERE: GRAZIE AL PETROLIO IRANIANO E AL GAS RUSSO, POTREBBE PERSINO TRASFORMARE IN “AUTARCHICA” LA SUA ECONOMIA. E HA IN MANO L’ARMA DA FINE DEL MONDO: HA IN TASCA 759 MILIARDI DI DEBITO PUBBLICO AMERICANO
A una settimana esatta dall’annuncio dei dazi reciproci contro tutti i Paesi del mondo, il Caligola di Mar-a-Lago ci ha già ripensato: stop alle tariffe per 90 giorni per tutti, tranne che per la Cina, a cui Washington aumenta ancora le barriere doganali al 125%.
Una mossa per certi aspetti prevedibile di fronte al caos scatenato dal “dazismo” del cowboy coatto che siede alla Casa bianca. Il presidente americano si è evidentemente cagato sotto di fronte alla reazione dei mercati, che hanno bruciato qualcosa come 10mila miliardi di dollari. Persino i suoi più stretti alleati, come Elon Musk, gli hanno consigliato di fare un passo indietro. E così è stato.
A essere fatale, e decisiva, è stata la tensione sui titoli di Stato a stelle e strisce. Se l’asta di oggi dei 39 miliardi di titoli a 10 anni è “andata bene”, dicono dalla Casa Bianca, pur con rendimenti oltre il 4%, quella di ieri a 30 anni è stata un mezzo fallimento, al punto che il “Wall Street Journal” ha parlato di accoglienza “tiepida”
E con nuove aste all’orizzonte, se lo scetticismo degli investitori avesse trovato ancora linfa per le mattane protezioniste di Trump, la situazione potrebbe precipitare.
Tra tutti gli acquirenti, chi può far saltare il banco davvero è la Cina.
Pechino, che con i suoi 759 miliardi di dollari in bond statunitensi in pancia è il secondo detentore di debito americano dopo il Giappone (Tokyo ha in portafoglio mille miliardi di dollari), può esercitare una pressione finanziare ben più rilevante del gioco al rialzo sulle tariffe e contro-tariffe (oggi ha innalzato le barriere doganali all’84%, in risposta al 104 americano).
È anche per questo che il regime comunista, in questi giorni, sta mostrando totale fermezza e inusitata calma davanti alla guerra commerciale dichiarata dal Caligola di Mar-a-Lago. Ed è anche per questo che Trump ha deciso di alzare le tariffe a Pechino. Le autorità cinesi, che non perdono occasione per tendere a Trump un ramoscello d’ulivo chiedendogli di rivedere le sue politiche commerciali, mostrano i muscoli: “No ai ricatti, combatteremo fino alla fine”.
Il Dragone, è il messaggio tra le righe, ha la forza per esercitare una vera “ritorsione”. Altro che dazi sulle Harley Davidson.
Soprattutto perché, secondo gli analisti, la Cina ha tutte le capacità industriali per trasformarsi in un’economia autarchica. A differenza dell’Occidente, ha una capacità
produttiva smisurata, un crescento mercato interno da alimentare e il vantaggio di un’opinione pubblica “sotto controllo”.
Le occorrono solo importanti rifornimenti di petrolio e gas, ben garantiti dai suoi alleati Iran e Russia. I gasdotti di Putin, infatti, hanno pompato risorse naturali a basso costo verso la Cina nel corso degli ultimi tre anni: gli acquisti realizzati da Xi Jinping hanno depotenziato le sanzioni occidentali a Mosca.
Pechino, come al solito, riesce a interpretare più ruoli in commedia: da una parte rinsalda l’amicizia “senza limiti” con la Russia, dall’altra flirta con l’Unione europea, a cui propone affari, investimenti e partnership in vari campi.
Il pensiero strategico cinese ha chiaro l’orizzonte da perseguire sul lungo periodo (diventare la potenza egemone a livello mondiale) e i metodi per realizzarlo (usando il soft power). Ieri una lunga telefonata tra Ursula von der Leyen e il premier cinese, Li Qiang, ha di fatto riaperto la “via della Seta” per le imprese europee. Un avvicinamento confermato dall’incontro di oggi tra la presidente della Bce, Christine Lagarde, e un alto funzionario della Banca centrale cinese.
La Kaiser Ursula ha capito di dover diversificare gli sbocchi commerciali dell’Unione dopo l’armageddon dazista di Trump. A settembre-ottobre del 2025, potrebbe definitivamente andare in porto anche l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e l’India, che ha già ricevuto l’ok del Consiglio europeo. Destino simile avrà l’accordo Ue-Mercosur, con i paesi dell’America latina, che non avendo bisogno di un voto all’unanimità andrà presto in porto.
Con queste mosse la presidente della Commissione europea è convinta di potersi gradualmente sganciare dal mercato americano: tra Cina, India e America latina, le imprese europee dovrebbero poter continuare a esportare senza troppi drammi (in fondo, l’export negli Stati Uniti conta solo il 27% del totale per l’Ue).
(da Dagoreport)
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