“CI METTONO I BASTONI TRA LE RUOTE”: LA DUCETTA DELLA GARBATELLA PENSA A UN DECRETO LEGGE PER RIDURRE LA DISCREZIONALITA’ DEI GIUDICI SUI MIGRANTI MA NON SERVIRA’ A NULLA
I RISCHI DI APRIRE UN CONFLITTO COL QUIRINALE… LA VOLONTÀ DI RIDIMENSIONARE IL RAGGIO D’AZIONE DEI GIUDICI POTREBBE PORTARE IL CASO FINO ALLA CONSULTA
Un decreto che stabilisca per legge la lista dei paesi sicuri. Sfidando la magistratura. Restringendo al massimo la possibilità delle toghe di interpretare la sentenza della Corte di giustizia europea, quella che ha smontato il “modello Albania” e messo in crisi le politiche migratorie di Giorgia Meloni.
Una forzatura che la presidente del Consiglio porterà lunedì prossimo in consiglio dei ministri. Accompagnata, forse, da nuove norme che attribuiscano maggiore potere alle commissioni del Viminale che valutano le richieste di asilo, riducendo invece la possibilità del migrante di ricorrere davanti a un giudice. È un piano azzardato. Che apre una nuova, pesante crepa tra poteri dello Stato.
er capirne la portata della sfida, bisogna partire dall’ira di Meloni.
Pubblica e privata. Incontenibile. La sentenza del Tribunale di Roma arriva nel giorno scelto per la missione in Libano. La premier si presenta davanti alle telecamere e si sfoga. Contro il pronunciamento dei giudici della sezione immigrazione della capitale, il suo primo bersaglio: «È molto difficile lavorare con l’opposizione di parte delle istituzioni. Così è impossibile difendere i confini. Non credo sia competenza della magistratura definire quali Paesi sono sicuri ». Tocca al governo, ribadisce.
La reazione è un consiglio dei ministri ad hoc che permetterà all’esecutivo di «chiarire meglio cosa si intende per Paese sicuro». E di farlo «per gli italiani, che mi chiedono di fermare l’immigrazione illegale».
Il piano, dunque. L’obiettivo è blindarsi con una legge di rango primario, irrobustendo l’impianto retto finora da un decreto interministeriale scritto da Interni, Giustizia ed Esteri. Esistono due opzioni al vaglio. La prima prevede un decreto legge che servirebbe a riproporre la lista dei ventidue Stati già indicati nel decreto interministeriale. La seconda immagina un intervento attraverso un disegno di legge governativo (non entrerebbe subito in vigore, ma dovrebbe attendere l’iter di approvazione parlamentare). In questo caso, l’elenco degli Stati in cui è consentito il rimpatrio verrebbe stilato da una commissione della Farnesina istituita per legge.
L’obiettivo politico e giuridico è vincolare i magistrati a queste indicazioni, limitando al massimo la possibilità interpretativa (e in attesa che un regolamento che entrerà in vigore nel 2026 — questa la tesi dell’esecutivo — superi i problemi sollevati dalla Corte di giustizia Ue).
I rischi di questa forzatura sono evidenti. La via del decreto legge potrebbe determinare una frizione con il Quirinale. E la volontà di ridimensionare il raggio d’azione dei giudici — nonostante la sentenza europea — potrebbe portare il caso fino alla Consulta.
Per il governo, però, l’obiettivo è molto più a breve termine: uscire dall’angolo, difendere il “modello Albania” — disintegrato in poche ore dai giudici romani — e lanciare un segnale alle toghe.
Ma non basta. Un altro colpo potrebbe arrivare da una serie di norme che potrebbero confluire nel nuovo pacchetto. L’idea è quella di affidare alle commissioni del Viminale le richieste di protezione internazionale, tutto verrebbe giustificato da ragioni di celerità. In questo modo, si proverebbe anche a limitare la possibilità di ricorrere in tribunale.
Da tempo, la destra di governo ha nel mirino proprio le sezioni immigrazione, considerate politicamente orientate, come non mancano di sostenere in queste ore i big dell’esecutivo. Un’idea allo studio è affidare la valutazione ai giudici di pace o alle corti d’Appello.
Per Meloni, non si tratta solo di un colpo contro l’hub in Albania: il tribunale, sostiene, fa collassare l’intera politica migratoria, rendendo impossibili i rimpatri. Tornano in privato le parole d’ordine del berlusconismo più aspro contro i magistrati «di sinistra» e le correnti «politicizzate », che tentano di «indebolire il governo». La reazione è un decreto legge contro le toghe. Una nuova battaglia è alle porte.
(da La Repubblica)
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