È ARRIVATO “IL TEMPO” DI PAGARE I GIORNALISTI – IL QUOTIDIANO SOVRANISTA DI ANTONIO ANGELUCCI È STATO CONDANNATO A VERSARE 266MILA EURO DI ARRETRATI A UNA COLLABORATRICE, GIADA ORICCHIO, CHE PER 17 ANNI HA GUADAGNATO 3 EURO LORDI AD ARTICOLO
LA GIORNALISTA SCRIVEVA FINO A 220 PEZZI AL MESE, SU QUALSIASI ARGOMENTO, ANCHE NEI FESTIVI E, NONOSTANTE LE PROMESSE, NON ERA MAI STATA ASSUNTA
Articoli pagati anche meno di tre euro lordi, scritti a ritmi da fabbrica tessile cinese. Sport, tv, costume, ma anche politica, pandemia e guerra, una produzione massiccia – fino a 220 pezzi al mese – e contratti rinnovati ogni sei mesi: nel 2016 appena
370 euro mensili lordi, diventati 1.000 nel 2023.
È così che ha lavorato per anni Giada Oricchio, collabotrice del quotidiano “Il Tempo” dal 2006. Nonostante le promesse mai mantenute di assunzione, ha resistito per 17 anni, finché ha deciso di fare causa. E ha vinto. A raccontare la vicenda è Alessandro Mantovano, con un articolo pubblicato sul “Fatto quotidiano”
Il 18 giugno scorso il Tribunale del lavoro di Roma ha condannato l’editore, “Il Tempo Srl”, ad assumerla come collaboratrice fissa, applicando l’articolo 2 del Contratto nazionale giornalistico, e a versarle 266 mila euro di retribuzioni arretrate dal 2016, più 88 mila euro di contributi previdenziali, oltre a interessi e rivalutazioni.
Una cifra calcolata al ribasso rispetto ai 595 mila euro inizialmente richiesti, ma comunque significativa. La sentenza, provvisoriamente esecutiva, non ha però cambiato l’atteggiamento del giornale, diretto da Tommaso Cerno: nessuna assunzione e ricorso in appello.
L’editore, il gruppo Tosinvest della famiglia Angelucci si difende affermando che la vicenda risale a un’epoca precedente all’attuale gestione. Ma la giudice Tiziana Orrù ha condannato la società a partire dal 2016, anno dell’acquisizione da parte degli Angelucci. Per i dieci anni precedenti, sotto la proprietà di Domenico Bonifaci, Oricchio ha perso tutto nel concordato preventivo. Anche allora, i compensi erano irrisori: prima un contratto cococo, poi la cessione dei diritti d’autore.
La giudice aveva suggerito una transazione ragionevole, ma l’editore ha scelto la linea dura, per evitare di creare un
precedente, visto che ci sono molte altre collaborazioni simili (il sistema si regge sui bassi costi dei collaboratori, sorta di rider della notizia). Eppure la sentenza è chiara: il punto non è il tipo di contratto, ma “l’inserimento continuativo ed organico” nell’organizzazione aziendale. In sette anni (più dieci col precedente editore), Oricchio ha lavorato anche nei festivi, scrivendo su ogni argomento richiesto dalla redazione.
A difenderla, l’avvocata Giuliana Quattromini dell’associazione Comma 2: “È sempre più difficile far comprendere certe situazioni ai giudici, ma questa volta c’è stata attenzione”.
(da agenzie)
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