ELEZIONI A MILANO, LA SCOMMESSA DI FINI: DETERMINANTI AL BALLOTTAGGIO
LA PARTITA E’ TUTTA TRA MORATTI E PISAPIA, MA IL CANDIDATO DI FLI E UDC, MANFREDO PALMERI, POTREBBE DECIDERE IL BALLOTTAGGIO…E IL TERZO POLO RISULTEREBBE INDISPENSABILE ANCHE A ROMA
Manfredo Palmeri, chi era costui?
Meglio imparare a conoscerlo questo ragazzo con famiglia numerosa, due figli suoi e tre della sua convivente nati da un precedente matrimonio, che si definisce nè falco nè colomba ma gabbiano, un Ogm della politica, un prodotto da laboratorio.
Perchè se le cose andranno male il suo nome potrà essere rapidamente dimenticato, il 16 maggio, quando si conteranno i voti per le amministrative di Milano.
Ma in caso di ballottaggio combattuto toccherà a lui, il candidato misterioso, 37 anni, palermitano di padre e ambrosiano di madre, armato di coccarda tricolore, poco pratico di sport, interista, capello lungo e pizzetto nero, fare da ago della bilancia tra Letizia Moratti e Giuliano Pisapia.
E’ lui il Signor Nessuno che può terremotare gli equilibri sotto il Duomo e dunque nel resto d’Italia, fino al governo nazionale.
Dove l’asse del Nord, il patto Berlusconi-Bossi, è più che mai in crisi, a due settimane dal voto, tra nuove diffidenze e accuse di prese in giro.
I sondaggi, per ora, danno basso il terzo incomodo: l’ultimo (Swg per “Il Sole 24 Ore” del 23 aprile) lo quota al 6 per cento, un ben più lusinghiero Ipsos di fine marzo lo piazzava tra il 6,5 e il 9.
Alessandra Ghisleri, la sondaggista più ascoltata dal Cavaliere, lo colloca ai blocchi di partenza tra il 4 e il 5, dopo aver ponderato le serie storiche dei partiti che lo appoggiano, l’Udc che a Milano non ha mai superato il 3 per cento, Fli che non si è mai misurato: “Ma resta un’incognita. La lista che lo sostiene, Nuovo polo, che raggruppa i finiani e i rutelliani, è un marchio sconosciuto agli elettori, può disorientare o attirare qualche deluso, presto per dirlo”.
Il candidato è un puledro della politica milanese, “la mia candidatura è nata tutta qui, mai stato a una riunione a Roma”, assicura, ma il progetto è ambizioso e viene da lontano: un polo da far nascere sulle macerie di Pdl e Pd.
Il Terzo polo nasce ufficialmente in un albergo romano il 15 dicembre, all’indomani del fallimentare voto di sfiducia alla Camera con la sconfitta di Gianfranco Fini contro Berlusconi.
Era già evidente in quel momento che il capoluogo lombardo sarebbe stato decisivo, con tre condizioni favorevoli difficilmente replicabili altrove.
A destra, la candidatura del sindaco uscente Letizia Moratti, al punto più basso della popolarità .
A sinistra, le primarie che avevano consegnato il titolo di sfidante all’avvocato Giuliano Pisapia, stranoto e stimato in città ma con il peccato originale della sua appartenenza ieri comunista e oggi vendoliana.
Infine, il Terzo polo poteva contare sul dialogo tra Massimo Cacciari e l’ex sindaco Gabriele Albertini, a lungo tentato di scendere in campo oltre gli attuali schieramenti.
Albertini si ritira, dopo la sconfitta di Fini a Montecitorio.
Resta alla finestra, fa il battitore libero, atteggiamento condiviso da una buona parte dell’elettorato moderato che non apprezza i manifesti del candidato Pdl Roberto Lassini, quello che parifica i giudici alle Br, nè i comizi del premier sulle scale del Tribunale e che è in cerca di una nuova rappresentanza.
“Vedo crescere un’area di astensione, di indecisione.C’è una parte della borghesia di questa città che si è riconosciuta in Berlusconi e nella Moratti e che ora si ritrova con l’Expo mai avviato, con le aree ancora da assegnare, e con le tifoserie mobilitate”, prova a decifrare l’aria Bruno Tabacci.
Proprio lui, storica figura della sinistra Dc lombarda, ben inserito nei salotti buoni economico-finanziari, infaticabile spina nel fianco del governo Berlusconi, stando ai sondaggi tra i partiti del Terzo polo, sarebbe stato il nome più forte per sfidare la Moratti e Pisapia.
Con un handicap invalicabile, però: lo scarso entusiasmo sul suo nome del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini.
Si arriva così sul candidato Palmeri tra veti incrociati e l’incertezza sulla partita da giocare, per ripiego: “In Publitalia ne selezionavano a decine come lui”, spiega Luigi Crespi, il regista della campagna elettorale berlusconiana del 2001, quella del contratto con gli italiani nello studio di Vespa: “Carini, pettinati, inutili”.
In consiglio comunale confermano: “Piaceva alla Moratti perchè non si è mai presentato senza cravatta”.
Uno stakanovista, il culo di pietra di palazzo Marino.
Mai una seduta consiliare mancata in cinque anni, 437 su 437, roba da Guinness, presiedendo oltre 3.400 votazioni.
Una costanza da fachiro, anche nell’ardua fase di discussione del Pgt, il Piano di governo del territorio, dov’era la maggioranza di centrodestra a latitare.
Tra una seduta e l’altra, anni prima, ha conosciuto la compagna, consigliera comunale del Pdl come lui, la barese Maddalena Di Mauro: non si ricandida, questa volta, e il suo voto è top secret, anche in famiglia.
Poca sostanza, malignano gli avversari e gli ex amici del suo partito, Forza Italia prima e Pdl poi.
Che ricordano un paio di mosse furbette: gli studi alla Bocconi, per esempio, sempre vantati ma con l’omissione della laurea mai raggiunta.
Più utile, ai fini della carriera politica, la frequentazione del cenacolo di via Marina, dove si riuniscono i Circoli di Marcello Dell’Utri.
Un rapporto durato fino a un anno fa, quando il palermitano-milanese Palmeri prova a fare senza successo il gran salto verso il Pirellone, il consiglio regionale.
La svolta arriva in autunno, con la fondazione di Fli.
Palmeri è tra i primi ad aderire, in mezzo a una gran confusione, un parto complicato, arrivi e partenze.
“Raccolgono tutti quelli che in An erano contro Ignazio La Russa. Tanti, ma non abbastanza per vincere le elezioni”, raccontano nel Pdl.
Ma ora che il voto è vicino il Nuovo Polo guidato dal gabbiano Manfredi, che nel frattempo si è trasformato in un leone anti-Moratti, è costretto a combattere.
E provare a costruire a Milano, dove il premier gioca in casa, quella coalizione moderata e post-berlusconiana che Casini e Fini vorrebbero lanciare nel resto d’Italia.
Per il presidente della Camera il 15 maggio è un banco di prova, per vedere se la destra “senza la bava alla bocca”, alternativa all’estremismo del Cavaliere, esiste davvero o è un miraggio.
Per il leader dell’Udc un successo centrista confermerebbe che senza di lui nessuno può vincere, ottima notizia in vista delle prossime elezioni politiche. Per entrambi essere determinanti sotto il Duomo significa dare un colpo mortale alla coppia Berlusconi-Bossi che ha dominato la politica italiana per 15 anni.
Il Polo milanese come anticipo del Polo nazionale che verrà .
Un mosaico difficile da mettere insieme.
Ci sono i pezzi del Pdl che non hanno accettato la progressiva trasformazione del partito nella corte di Arcore: nelle liste di Manfredi ci sono le due pasionarie, la ex An finiana Barbara Ciabò e la ex forzista Sara Giudice, l’unica collega di partito ad essersi esposta promuovendo una raccolta di firme contro la candidatura in consiglio regionale di Nicole Minetti.
Lui guarda agli under 50, ai liberali, ai moderati, “ai delusi della Moratti e agli illusi da Pisapia”, parole sue, e anche a quei leghisti stufi di donna Letizia. Con lui c’è Lucio Nisi, il proprietario del Plastic, un tempio della notte.
Ha appoggi tra i costruttori della media impresa, Assimpredil e Ance (mentre Moratti è più gradita ai big players come Ligresti, Cabassi, Hines Italia, Impregilo, Torno, impegnati in grandi appalti infrastrutturali), nel mondo universitario della Bocconi e dello Iulm, nella comunità ebraica di Roberto Jarach e Daniele Nahum; in lista c’è Iardina Laras, figlia dell’ex rabbino capo di Milano.
Una certa attenzione arriva dal “Corriere della Sera” e dal “Sole 24 Ore”, col neo direttore Roberto Napoletano vicino a Casini.
Palmeri piace anche al banchiere Fabrizio Palenzona.
E un po’ più a sinistra? Entra in lista con Manfredi il consigliere ex Pd Carlo Montalbetti, c’è la simpatia di Sergio Scalpelli, dell’ex prefetto Bruno Ferrante, di una vecchia conoscenza migliorista del presidente della Repubblica, Luigi Corbani, direttore generale dell’Orchestra Verdi.
Nel mondo cattolico c’è la divisione tra il mondo ciellino, schierato con la Moratti, e l’ala del cattolicesimo sociale in sintonia con il cardinale Dionigi Tettamanzi che può contare sulla direttrice della fondazione Casa della Carità Maria Grazia Guida, con Stefano Boeri in testa di lista per il Pd.
Ma pezzi di antico mondo democristiano sono in movimento, se è vero che una figura storica come Piero Bassetti, il primo presidente della Regione Lombardia nel 1970, ha dichiarato il suo appoggio per Pisapia e fondato il comitato Cinquantuno per cento, con intellettuali e professionisti, dall’ex commissario della Consob Salvatore Bragantini al vicepresidente della Banca Popolare di Milano Mario Artali.
Un altro influente economista, Marco Vitale, parteciperà al Teatro Parenti a un’iniziativa elettorale pro Palmeri, accanto a Cacciari e al banchiere ex dc Roberto Mazzotta.
A due settimane dal voto Palmeri, tenacia a parte e a prescindere dalle sue qualità , resta in corsa.
A testimoniarlo, più che l’appoggio dei suoi sostenitori, c’è lo sforzo messo in campo da Berlusconi, candidato in prima persona per il consiglio comunale, ora a rischio sorpasso dell’ultrà Lassini nella gara per le preferenze.
Effetto Berlusconi, difficile da calcolare: la Moratti è oggi sotto quota 50 per cento e sotto la somma dei partiti della sua coalizione.
“Berlusconi ha sempre fatto i miracoli, ma se è arrivato il momento di cambiare il suo appoggio può trasformarsi in un boomerang”, si fa coraggio Tabacci.
Per il Cavaliere un tracollo a Milano sarebbe ben più che una sconfitta elettorale: la fine di un’epoca laddove è cominciata.
Per questo il premier gioca la carta che gli è sempre riuscita meglio: trasformare il voto in un referendum sulla sua persona, la scelta di campo. Questa volta, però, il suo campo è diviso.
La Lega è sempre più insofferente.
I moderati si sono messi in proprio.
Ed è curioso che uno scontro di questa portata sia in mano allo sconosciuto Palmeri: ma nella politica, come nel cinema, capita spesso che all’ultima scena arrivi la comparsa sottovalutata da tutti.
E scriva la parola fine.
Enrico Arosio e Marco Damilano
(da “L’Espresso“)
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