“ERA LA LUCE IN UN BUIO DI CODARDIA”
LA DELEGAZIONE DI MEDITERRANEA CON SAVIANO AI FUNERALI DEL PAPA : “GRATITUDINE PER LA SUA COSTANTE LOTTA CONTRO LE BUGIE SULLE NAVI DELLE ONG”
“Quando ho incontrato il Papa gli ho detto subito che sono musulmano e lui mi ha risposto semplicemente «siamo tutti fratelli»”. Serio abito nero, i grandi occhiali sul viso, Ibrahima Lo – il giovane rifugiato a cui Matteo Garrone si è ispirato per il suo Io capitano – ha appena lasciato il sagrato di San Pietro, dove ha assistito al funerale del Pontefice con la delegazione di Mediterranea.
Davanti alla bara del Papa, quasi dirimpetto ai cosiddetti grandi del mondo che spesso sfidano, c’erano anche loro. “Insieme per salutare Francesco, insieme a portare gratitudine per la sua costante lotta contro le menzogne sui migranti, contro le bugie sulle navi delle Ong”, scrive su Facebook dopo le esequie Roberto Saviano, postando un selfie con la crew di Mediterranea, “luce di misericordia e solidarietà politica in un buio di codardia”.
“Ci sono voluti quasi venti minuti per uscire, da dentro non si immaginava che ci fosse tanta gente”, racconta Lo. Quando lui e gli altri arrivano a piazza Risorgimento, i maxischermi rimandano le immagini del lento corteo funebre che attraversa Roma. Don Mattia Ferrari, il giovane cappellano di bordo di Mediterranea, si paralizza, gli occhi incollati alle immagini fin quando il feretro non entra in Santa Maria Maggiore.
“Papa Francesco lo chiamava l’enfant terrible. E io ero «il pirata». Ci salutava sempre così e poi rideva. A Mattia chiedeva sempre: Hai mangiato? Ti vedo
sciupato”, racconta Luca Casarini, capomissione di Mediterranea. “E ti ricordi di quando a Pato ha detto che ogni sera pregava davanti alla foto di sua moglie Fati e della piccola Marie, morte abbracciate nel deserto?”.
Quando raccontano del Papa sembrano quasi parlare di uno di famiglia, don Mattia, suor Adriana, anima di Spin Time, Ibrahima, invitati alla funzione insieme all’altro cofondatore dell’ong, Beppe Caccia, e Lam Magok, anche lui sopravvissuto a quel “cimitero Mediterraneo” che, come ricordato nell’omelia, papa Francesco tante volte ha condannato.
“Perché per me, per noi, era un padre, un fratello maggiore”, dice il giovane cappellano di bordo di Mediterranea, che quando solleva gli occhiali neri mostra occhi rossi e gonfi. E non è colpa dell’allergia. “Non sono preoccupato per il futuro, la Chiesa in questi anni ha camminato, è impossibile che torni indietro. A livello personale, è una cosa dolorosa. Il lutto c’è. Ti manca la sua voce, i gesti – mormora – nella stessa piazza in cui lo abbiamo visto tante volte, oggi c’era la sua bara”.
C’è la fede che aiuta, spiega, “io so che questo non è un addio ma un arrivederci”. Ma la quotidianità – dice – manca. Quella dei messaggi che lo stesso Francesco ha raccontato in diretta tv, delle riunioni di lavoro e di preghiera che a volte chiedeva al giovane sacerdote di guidare “perché per noi era un padre ma ci teneva a ricordarti che eravamo tutti fratelli”. La mancanza si riempie con aneddoti e ricordi, i “no balconear”, non stare a guardare, esortazione che faceva spesso, nello strano e particolarissimo italo-argentino che colorava le sue frasi lontano dalle occasioni ufficiali.
“Ricordava tutto e tutti. Ogni migrante, ogni studente, chiedeva e si interessava di ogni attività, ogni persona”, racconta don Mattia. “Era lui che ci spronava – confida Casarini – spesso chiedeva «come va la nave? Siete in mare? Vi hanno multato?». Quando noi esitavamo, lui ci spingeva: «Andate avanti, siete nel posto in cui dovete stare»”. E poi voleva capire, sapere.
Uno degli ultimi incontri, prima della malattia e del lungo ricovero al Gemelli, è stato con le vittime di Al Masri, come Lam Magok, rifugiato sudanese che con il supporto di Baobab ha denunciato alla Corte penale internazionale il colonnello libico – che la Corte penale avrebbe voluto in manette e Roma ha riportato a Tripoli. “Era un alleato per noi. Uno che davvero si interessava degli ultimi, non come fenomeno, ma ogni singola persona”, dice Magok, anche lui
oggi presente a San Pietro. “Un omaggio voluto e dovuto come Refugees in Libya, sabato invece come comunità sudanese siamo andati a porgere un ultimo saluto”. Le agenzie battono la notizia dell’incontro fra Trump e Zelensky all’interno della basilica di San Pietro, sui cellulari inizia rapida a circolare la foto. “Lo vedi, eccola l’eredità di Francesco”.
(da agenzie)
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