ETTORE SEQUI: “L’UCRAINA? IN GEOPOLITICA VALE UNA REGOLA: SE NON SEI AL TAVOLO, SEI NEL MENÙ. IL VERTICE TRA TRUMP E PUTIN E’ UN PASSAGGIO DELLA RISTRUTTURAZIONE DELL’ORDINE GLOBALE”
TRUMP HA BISOGNO DI UN SUCCESSO IMMEDIATO, DA ESIBIRE COME TROFEO POLITICO INTERNO. PUTIN PUÒ USARE IL VERTICE PER GUADAGNARE TEMPO, CONSOLIDARE CONQUISTE, L’OBIETTIVO IMMEDIATO È CONVINCERE TRUMP A SPINGERE ZELENSKI AD ACCETTARE SACRIFICI TERRITORIALI… MOSCA MIRA A QUATTRO DIVIDENDI: USCIRE DALL’ISOLAMENTO; NEGOZIARE ALLA PARI CON WASHINGTON; SPOSTARE LA PRESSIONE SU KIEV, PRESENTATA COME OSTACOLO ALLA PACE; SPACCARE IL FRONTE OCCIDENTALE”
In geopolitica vale una regola: se non sei al tavolo, sei nel menù. Né Trump né Putin vogliono Zelenski –e tantomeno gli europei– al vertice di venerdì in Alaska. Non intendono parlare con Zelenski, ma “su” Zelenski: decidere il futuro dell’Ucraina senza che Kiev possa intervenire, trasformando l’assente nel piatto forte del banchetto. Il vertice non è una normale mediazione di guerra, ma un passaggio di ristrutturazione dell’ordine globale, Trump ha bisogno di un successo immediato, da esibire come trofeo politico interno, anche a costo di svuotarne la sostanza: un cessate il fuoco anche a prezzo esoso. Putin […] sa di dover fare qualche concessione limitata per salvaguardare il rapporto con lui, ma ragiona su orizzonti medio-lunghi. Il suo obiettivo resta riportare l’Ucraina nel “mondo russo”, una Bielorussia de facto: formalmente indipendente, sostanzialmente controllata.
Per questo Putin può usare il vertice per guadagnare tempo, consolidare conquiste e creare condizioni per riprendere l’iniziativa. L’obiettivo immediato è convincere Trump a spingere Zelenski ad accettare sacrifici territoriali: ottenere senza combattere ciò che le armi non hanno ancora dato. Mosca mira a quattro dividendi: uscire dall’isolamento; negoziare alla pari con Washington; spostare la pressione su Kiev, presentata come ostacolo alla pace; spaccare il fronte occidentale.
D’altra parte, per Trump l’Ucraina è solo un tassello di un rapporto più ampio con la Russia, che tocca Medio Oriente, energia, Artico, Iran, Cina. Kiev è parte di un mosaico in cui altre tessere contano di più.
Le varie affermazioni di Trump su possibili “scambi di territori” hanno fatto scattare campanelli d’allarme in Ucraina e in tutta Europa. Gli obiettivi di Putin sono invariati: allentamento delle sanzioni, rinuncia dell’Ucraina alla Nato, smilitarizzazione, “denazificazione”, cioè la testa di Zelenski, ritiro da quattro regioni annesse.
Per ora Mosca ha già vinto un round: essere l’unico interlocutore di Washington equivale a un riconoscimento implicito del suo status, spendibile con Cina, India e altri attori del “Sud globale” che vedono nella Russia un contrappeso all’Occidente.
Il problema va oltre l’Ucraina: se passa il principio che i confini si cambiano con la forza, il segnale alle potenze revisioniste è un incoraggiamento. Del resto, gli Stati Uniti di Trump mostrano già tratti revisionisti: dalle rivendicazioni su Groenlandia e Canada, fino alle mire verso il canale di Panama.
Con queste premesse, per l’Ucraina e l’Europa il tema delle garanzie di sicurezza è cruciale. Kiev deve evitare che Putin, dopo una tregua, riprenda la guerra. garantire Kiev significa dunque garantire il continente.
L’esclusione di Zelenski è dunque un allarme: sicurezza e sovranità rischiano di essere decise da altri. il messaggio globale è che la forza paga. È un colpo alla sicurezza europea e alla stabilità internazionale. Per questo Kiev, sostenuta dai Paesi europei, propone un cessate il fuoco incondizionato, basato su tre pilastri: verifica indipendente, applicazione automatica delle sanzioni in caso di violazione e aiuti militari non negoziabili.
In Alaska Mosca vuole cristallizzare vantaggi senza costi eccessivi, Washington un risultato annunciabile. Questa tensione
può produrre compromessi sbilanciati. Il vertice rischia di produrre solo un cessate il fuoco fragile, con clausole vaghe e promesse generiche
Ettore Sequi
per “la Stampa”
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