FARE A BOTTE CON LA POLIZIA È SOLO UN REGALO A GIORGIA MELONI E AI SUOI AMICI TRUMP E NETANYAHU: IN TUTTA ITALIA, DA ROMA A PALERMO, E’ SCESA IN PIAZZA UNA MAREA PRO-PAL PACIFICA: STUDENTI E PROFESSORI, GENITORI INSIEME AI FIGLI
SOLIDARIETA’ DEGLI AUTOMOBILISTI, BLOCCATI NEL TRAFFICO, CHE HANNO SALUTATO I MANIFESTANTI APPLAUDENDO E SUONANDO I CLACSON PER GAZA
Il grido «free free Palestine» è risuonato ieri in cinquecentomila voci per sessantacinque piazze da Trieste a Palermo, maree infinite di giovani, anziani, bambini, studenti e professori, mamme e figlie, padri e figli, ma anche preti e suore, tra un fiume di kefiah e arcobaleni della pace.
Italia chiamata a raccolta dal frastagliato mondo dei sindacati di base si è fermata per Gaza, contro il genocidio a Gaza, contro la strage infinita di civili, contro l’eccidio dell’infanzia, contro il governo italiano «complice di Netanyahu».
«Bloccheremo tutto». E così è successo.
Una gigantesca mobilitazione popolare, arrabbiata sì, dura sì, ma anche solidale e non violenta, sulla quale gli scontri di Milano e Bologna hanno gettato una luce tetra e di guerriglia che rischia di obliare la forza delle piazze di ieri.
Perché in gran parte d’Italia invece la protesta organizzata dall’Usb, con l’obiettivo di dichiarato di fermare le stazioni e di fare più rumore possibile, è stata in realtà pacifica, colorata, trasversale alle età. A cominciare da Roma, dove in centomila, con un corteo aperto dal servizio d’ordine dei pompieri in sciopero, hanno manifestato per l’intera giornata, con un presidio monstre a piazza dei Cinquecento che si è trasformato in una gigantesca “invasione” della Capitale e concluso con l’occupazione di Lettere alla Sapienza.
Ci sono i collettivi universitari, ci sono gli studenti medi, gli slogan sono duri, «antisionisti sempre, antisemiti mai, free free Palestine», «Israele assassina», o anche il discusso «from the river to the sea Palestine free», rispuntano le bandiere di «Autonomia contropotere» ma anche cartelli con «restiamo umani» e «pace in terra santa».
Alcuni slogan sono vergognosi: «Mia nonna me l’ha insegnato, uccidere un sionista non è reato», ma per fortuna buona parte del corteo fischia.
E allora mentre in altre città il grido contro il genocidio a Gaza si è trasformato in guerriglia, è nel magmatico fiume di persone che affollano la stazione Termini, piena all’inverosimile di sigle alternative alla sinistra tradizionale e ai sindacati confederali che bisogna camminare, accanto a Emergency, all’Arci, a Non Una di Meno, a Medici Senza Frontiere, ai comitati di quartiere, ai collettivi di ogni ordine e tipo, agli Scout, allo striscione «docenti del liceo Cavour per Gaza», con gli studenti un po’ stupiti di camminare fianco a fianco dei propri prof, perché, affermano: «La scuola non tace».
«Prestare il fianco alle violenze, fare a botte con la polizia è soltanto un regalo a Giorgia Meloni e ai suoi amici Trump e Netanyahu, non c’entra niente con noi, quei compagni sbagliano», ragiona Mirko, 22 anni, dietro lo striscione degli universitari che dice «blocchiamo la Sapienza, fermiamo la macchina bellica». «Ma non sarà la polizia che ha iniziato a provocare per farci passare da criminali?».
Domanda sospesa, si attenderanno le inchieste. Intanto il fiume del corteo romano sorpassa piazza Vittorio, tracima per il quartiere San Lorenzo e invade la tangenziale Est, il già mostruoso traffico romano impazzisce ma tanti clacson sono di solidarietà ai manifestanti. E c’è chi dalle auto irrimediabilmente ferme fa il segno di vittoria verso i giovanissimi che passano sventolando le bandiere della Palestina. Miranda, quindici anni: «La guerra fa schifo, non possiamo restare a guardare, basta morti innocenti». Via marciando allora sotto nuvole nere che in poco diventano pioggia e impastano ogni cosa in un ingorgo senza fine.
Il movimento pro-Pal ha cambiato forma, bastava guardare il corteo di Roma, c’erano tutti e tutte, età, classe, professioni, famiglie. «Siamo complici di un genocidio, vendiamo armi agli israeliani», scandisce affranto Antonio, settant’anni, nipotino a cavalcioni, «la mia generazione ha avuto il Vietnam, ma lì
c’erano due eserciti, la cancellazione di Gaza è qualcosa di innominabile». E se sfilano universitari e teenager, al centro di tutto ci sono loro, i bambini. Tanti, con le maestre e i genitori.
Tanti i loro coetanei palestinesi nelle gigantografie esposte ovunque, gli occhi della fame e del dolore e sotto la scritta: «Definisci bambino», la frase ormai nota del presidente degli Amici di Israele, Eyal Mizrahi, rivolto al Enzo Iacchetti che gli chiedeva conto dei ventimila bambini uccisi a Gaza.
Laura Antonelli è con sua figlia Miriam, 18 anni. «Io sono pacifista della prima ora. Danilo Dolci, ha presente? Ma quella frase mi fa ribollire il sangue. Come si definisce un bambino? È una vita da proteggere e da amare, non da far saltare in aria. Sotto qualunque cielo quel bimbo sia venuto al mondo».
(da La Repubblica)
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