GAZA, LA VOCE DEGLI SFOLLATI: “PENSO TUTTO IL TEMPO SE LA MIA CASA E’ ANCORA IN PIEDI, SE CI STA ANCORA ASPETTANDO PER VIVERCI DENTRO”
700.000 PALESTINESI SONO FUGGITI DA GAZA CITY VERSO SUD, LA CRISI UMANITARIA PEGGIORA OGNI GIORNO
Mentre l’attenzione è puntata sulla missione della Global Sumud Flotilla, a Gaza la crisi umanitaria peggiora ogni giorno. Secondo l’Idf 700 mila palestinesi sono fuggiti da Gaza City verso sud. Altri, invece, esitano a partire per la fame e i raid israeliani. I racconti di alcuni di loro
Mentre l’attenzione del mondo è puntata sulla missione della Global Sumud Flotilla, che cerca di rompere l’assedio su Gaza, sul terreno la crisi umanitaria peggiora ogni giorno. Centinaia di migliaia di palestinesi sono in fuga, spinti verso sud sotto il fuoco dei bombardamenti israeliani. Tra loro c’è anche Sara Awad, costretta ad abbandonare la sua casa a Gaza City insieme alla sua famiglia. «Non riesco a credere che quello che sto dicendo sia reale, perché la mia mente rifiuta ancora l’idea di aver lasciato la mia casa. Ora sono fuori dalla tenda, perché l’atmosfera dentro è soffocante», ci racconta. Otto persone in pochissimi metri quadrati, circondate da effetti personali e necessità essenziali. «È la nostra casa – dice -, ma non è più la nostra casa. Non riesco a sopportare l’idea di vivere per strada».
700 mila palestinesi fuggiti da Gaza City verso sud
La realtà di Sara e dei suoi famigliari è quella di centinaia di migliaia di sfollati interni. Secondo le Forze di difesa israeliane, dal solo mese di agosto, quando Israele ha annunciato l’intenzione di occupare Gaza City, circa 700 mila persone hanno lasciato il principale centro urbano della Striscia per
cercare rifugio al sud. «Quello che vedo intorno a me sono volti sconvolti. Le persone qui vivono nella paura, perché non sanno cosa porterà il domani. Anche se dicono che il sud è più sicuro del nord, posso dirti che dal primo istante in cui sono arrivata, ho sentito delle forti esplosioni molto vicine», ci spiega.
Molti palestinesi esitano a partire per la fame e i raid dell’Idf, o semplicemente non possono farlo, nonostante i continui appelli a evacuare. È il caso di Huda, che via telefono ci fa sapere che si trova ancora a Gaza City, anche se il centro urbano è ormai sotto occupazione e l’esercito israeliano sta svuotando la città quartiere per quartiere. «Mi trovo nella parte ovest, nel quartiere di Al-Rimal – dice -. Non c’è connessione internet nella mia zona, ma c’è un segnale debole a est, quindi mi sono spostata lì per riuscire a connettermi un po’, poi proverò a tornare a casa». Abbas, invece, è riuscito a spostarsi oggi nella zona occidentale di Gaza City, vicino alla spiaggia, ma molte altre famiglie non hanno fatto in tempo. «I carri armati sono arrivati all’improvviso», racconta. «I mezzi israeliani hanno fatto irruzione nelle aree residenziali – continua -, mentre altri carri armati si sono posizionati nei pressi dell’ospedale al-Quds».
«Penso tutto il tempo se la mia casa è ancora in piedi, se ci sta ancora aspettando per viverci dentro»
I bombardamenti israeliani hanno ucciso all’alba di oggi 85 persone, mentre le Nazioni Unite affermano che l’esercito sta «infliggendo terrore alla popolazione palestinese della città di Gaza, costringendo decine di migliaia di persone alla fuga». Nonostante la situazione, Sara cerca di rimanere forte. Per i suoi parenti, e il ruolo che ricopre all’interno della famiglia. «Sto
cercando di sopravvivere a questa guerra giorno dopo giorno: provo a essere forte per la mia famiglia, perché sono la figlia maggiore e ho molte responsabilità sulle spalle». Ma anche la resilienza ha un limite, e il costo emotivo è evidente. «Non ho una buona connessione a internet – ci dice -. Non so quando questo messaggio vocale ti arriverà. Il mio telefono sta per scaricarsi, non posso ricaricarlo. Non c’è elettricità. Ho sete. Non c’è acqua».
La situazione è aggravata dalla mancanza di beni di prima necessità. L’acqua, se disponibile, è a prezzi proibitivi: 5 dollari al litro. E anche il cibo è diventato un lusso. «Tutto qui è un ostacolo. Mi chiedo continuamente qual è il senso, qual è il punto di vivere qui. È una vita senza senso, una vita di lotte, di morte, di disperazione, di mancanza di casa, e tutto è senza speranza. Odio la mia vita, e odio il fatto di odiare la mia vita – prosegue -. Non voglio odiare la mia vita. Amo la mia vita. Amo vivere. Ma questa guerra mi ha insegnato a essere molto pessimista. Vorrei solo tornare indietro nel tempo e vivere un solo altro giorno nella mia stanza. Penso tutto il tempo se la mia casa è ancora in piedi, se ci sta ancora aspettando per viverci dentro».
Trump ha un (altro) piano per Gaza
Sul piano diplomatico, Donald Trump avrebbe un (altro) piano per la pace. Secondo l’inviato speciale degli Stati Uniti, Steve Witkoff, il presidente americano avrebbe presentato un «piano in 21 punti» a un gruppo di leader arabi e musulmani, durante un incontro a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tenutasi martedì a New York. Witkoff non ha però fornito
dettagli sul piano, ma ha affermato che esso affronta «le preoccupazioni di Israele e di tutti i paesi vicini della regione». «Siamo fiduciosi – ha detto -, e potrei dire persino fiduciosi, che nei prossimi giorni saremo in grado di annunciare una sorta di svolta». Fonti presenti all’incontro, citati da Politico, riferiscono che Trump avrebbe chiarito la propria opposizione all’annessione della Cisgiordania da parte di Israele. Tuttavia, il premier israeliano Benjamin Netanyahu non sembrerebbe disposto a fare marcia indietro. Secondo il Times of Israel, l’avvertimento americano non è stato interpretato come «una chiusura definitiva del dibattito». Netanyahu intende, infatti, discuterne direttamente con Trump durante il loro incontro alla Casa Bianca, previsto per lunedì prossimo.
(da Fanpage)
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