GLI ETERNI PROBLEMI DI FIUMICINO: PALUDI, SPRECHI, POCHI INVESTIMENTI
QUINDICI ANNI FA LA PRIVATIZZAZIONE DELL’AEROPORTO, MA SENZA CAPITALI FRESCHI
Mercoledì l’incendio della pineta, ieri il blackout elettrico. L’aeroporto di Fiumicino forse non è nato sotto una buona stella.
Lo dice la storia: per il nuovo scalo della Capitale, era il 1949, si scelsero i paludosi (e inadatti) terreni della duchessa Torlonia nella bonifica di Porto.
Si partì nel 1950, ma dopo otto anni e 24 miliardi di lire spesi, a Fiumicino non c’era nulla. Dopo, per asciugare l’acqua si presero tonnellate di terra scavate da una valle vicina: la futura discarica di Malagrotta.
I primi aeroplani decollarono finalmente il 15 gennaio del 1961. Ma neanche tre mesi dopo l’inaugurazione il fondo della pista cominciò a sgretolarsi.
Nulla trovarono nè una Commissione d’inchiesta parlamentare nè la Procura di Roma.
Sul «Corriere» Indro Montanelli commentò così: «Il caso dell’aeroporto di Fiumicino è molto peggio di un furto, di una rapina a mano armata o di una incursione di briganti. Chissà quanti altri Fiumicini ci aspettano». Aveva ragione.
Quel che Montanelli non poteva prevedere è che dopo la privatizzazione (partita nel 1997 e chiusa nel 2000) per tre lustri sull’aeroporto non è stato investito un euro da parte degli azionisti principali della società di gestione, Adr: Cesare Romiti con Gemina (tra il 2002 e il 2007 in cogestione con il fondo australiano Macquarie), e poi, dal 2007 Benetton, oggi presente attraverso la holding Atlantia.
Fino al 2012 a Fiumicino, dicono i numeri, i proprietari hanno investito un terzo di quanto in media si investiva negli altri aeroporti europei. 60, 70 milioni l’anno: il minimo per garantire la manutenzione ordinaria.
Ecco le prove. L’ultima grande realizzazione a Fiumicino, il Terminale 1 fu inaugurato da Adr privata, ma i soldi ce li aveva messi l’Adr pubblica, dell’Iri.
Il riscatto di Fiumicino doveva passare dal nuovo molo C, 78 mila metri quadri di strutture e 16 «finger» per lavorare 5 milioni di passeggeri l’anno.
La prima pietra fu posta nel marzo del 2008, dovevano finire nel 2011. Ma i soldi finirono, i lavori si bloccarono.
E il molo C verrà aperto (forse) solo nel 2016.
Adesso la situazione è cambiata: a fine 2012, la nuova gestione di Adr a guida Benetton – presidente Fabrizio Palenzona, ad Lorenzo Lo Presti, nelle scorse settimane impegnati in trattative per la cessione di una quota del 30% a investitori di Abu Dhabi – ha ottenuto dal governo Monti il quasi raddoppio delle tariffe pagate dalle compagnie e prelevate dalle tasche dei passeggeri.
Prima ogni passeggero valeva 16 euro, con il nuovo Contratto di Programma Adr ne incassa 26,50. «Sempre troppo poco rispetto ai concorrenti», dicono in Adr.
Fatto sta che con i nuovi incassi i ricavi sono saliti nel 2014 del 10%, e l’azienda ha sbloccato un vasto piano di investimenti.
Nel 2014 sono stati spesi 170 milioni, 350 quest’anno. Sono state rifatte le piste, tutti i bagni, tutti i controsoffitti, tutte le illuminazioni a Led, tutti i «finger». E c’è persino il wifi gratuito.
Sullo sfondo, c’è il grande progetto (sempre presentato nel 2012) di «Fiumicino Nord»: una mega espansione con nuove piste e una nuova aerostazione per poter arrivare a gestire 100 milioni di passeggeri l’anno.
Peccato che bisognerebbe cementificare 1.300 ettari, tra riserva naturale e terreni coltivati. Campi della «Maccarese» di proprietà Benetton, e dunque da espropriare a caro prezzo.
Per adesso è tutto fermo: manca il via libera ambientale.
Il nuovo piano di investimenti sarà anche importante. Ma secondo molti addetti ai lavori non basterà per rimediare presto ai problemi di un aeroporto rimasto fermo agli Anni ’80.
Ha una struttura dilatata, che tiene insieme tanti edifici disparati, con un fronte di ben cinque chilometri. È pieno di scale, e dunque scomodo per i passeggeri.
Non è molto efficiente dal punto di vista del turnaround, il tempo impiegato per rimettere un aereo appena atterrato in grado di decollare con un nuovo carico.
Ha una pista, quella verso il mare, limitata dalla presenza di 300 alberi. Tante strutture sono decrepite, dopo anni di politica della lesina.
La dimostrazione di questa fragilità è stata l’incendio del 7 maggio 2015, che ha costretto per settimane Fiumicino a funzionare a regime ridotto (e forse anche ad operare con rischi per la salute di personale e passeggeri).
Le fiamme, pare, si sarebbero sprigionate in un vano cavi dove, per raffreddare un quadro elettrico, era stato astutamente posto un condizionatore.
Prove certe non ce ne sono. Ma di sicuro tutto l’aeroporto funziona con mille deroghe alle norme di sicurezza.
Deroghe concesse dai Vigili del Fuoco, senza le quali Fiumicino non potrebbe operare.
Roberto Giovannini
(da “La Stampa”)
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