GRILLO RINVIA IL VOTO SU ROUSSEAU E PROVOCA LA LEGA
“PER VOTARE BISOGNA PRIMA CONOSCERE IL PROGRAMMA CHE INTENDE ATTUARE” (E SU QUESTO HA RAGIONE, NON BASTA ASCOLTARE, NON SIAMO IN UN CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE, I VOTI SI PRENDONO SUL PROGRAMMA)
Beppe Grillo esce dal colloquio con Mario Draghi e ferma la fuga in avanti: per il voto si dovrà aspettare. Occorrono elementi in più, bisogna avere chiaro quale sarà il programma, e quale tipo di squadra il presidente incaricato metterà in piedi.
Per questo niente consultazione su Rousseau, almeno fin quando “Draghi non dirà in pubblico le stesse cose che ha detto a noi”, dice un esponente di governo, perchè, spiegano dal Movimento, “non si possono costringere gli attivisti a votare al buio”.
È insieme una frenata tattica per avere margini di trattativa e non cedere di schianto a un governo con Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, e una mossa di riguardo nei confronti del premier incaricato, il destino della cui maggioranza sarebbe stato legato alla consultazione sul blog.
“Mi aspettavo il banchiere di Dio, ma l’ho visto quasi grillino”, dice Grillo in un video pubblicato a tarda sera. Strizza l’occhio a Draghi, spiega che gli ha detto che “il Movimento 5 stelle ha cambiato la politica”, che il reddito di cittadinanza ci vuole. Poi la frenata: “È sincero? Finge o non finge? Io aspetterei che faccia le dichiarazioni che ha fatto a noi in modo pubblico. Aspettiamo un attimo a votare su ste robe, perchè ancora non ha le idee chiare, vi chiedo di aver pazienza”.
Dice poi di “non volere la Lega”, ma solo nel ministero della Transizione ecologica che ha proposto a Draghi, spiegano i suoi, mentre Salvini coglie la palla al balzo e attacca: “Incredibile Grilllo che vorrebbe imporre governo senza noi, ma andiamo avanti tranquilli nello spirito che ha chiesto Mattarella”.
In giornata era arrivata la smentita di un contrasto tra lo stesso Grillo e Davide Casaleggio. Pomo della discordia la tempistica di una consultazione sulla quale avrebbe spinto fortemente il figlio del fondatore, in asse con Vito Crimi, che ha fatto storcere a larga parte della truppa parlamentare.
Il rinvio certifica che il passo è stato più lungo della gamba. Si voterà probabilmente quando Draghi scioglierà la riserva, almeno con la lista dei ministri in mano, e pazienza se non è assolutamente chiaro su quale perimetro potrà essere costruito il governo con questa spada di Damocle puntata sul collo.
Una lettura delle parole di Grillo, di difficile interpretazione anche all’interno del Movimento, è che Draghi abbia spiegato al garante che il suo sarà un governo di soli tecnici: “Altrimenti non si capirebbe come fa a coinvolgerci prima ancora che noi gli diciamo sì o no”. Tra i 5 stelle è il caos.
“Io domani voto no, non dimentico quel che Mario Draghi ha fatto da direttore generale del Tesoro”. Alessandro Di Battista, prima che si sapesse del rinvio, aveva preso una posizione secca, inequivocabile. No al premier incaricato, no alla maggioranza che lo sostiene: “Siamo stati insultati e vilipesi, come facciamo a sederci insieme a chi ci ha trattato in questo modo”, ha detto in un’intervista ad Andrea Scanzi (“Iniziative destabilizzanti”, schiuma rabbia un deputato) mettendo in fila Renzi, Berlusconi e Salvini. Lo ha detto proprio negli stessi minuti in cui Grillo era entrato a colloquio con Draghi, una calata a Roma improvvisa e tenuta nascosta anche a gran parte dei vertici 5 stelle, “perchè di Vito [Crimi] non si fida”, come dice un parlamentare di lungo corso. Ma anche per dare un altro, ennesimo segnale che questo governo s’ha da fare, “è la soluzione migliore dopo il tradimento subito da Conte”, come ha ripetuto ancora una volta alla delegazione 5 stelle che ha riunito per qualche minuto al quarto piano di Montecitorio.
È una battaglia politica senza esclusione di colpi, uno psicodramma, come lo definiscono tanti onorevoli pentastellati. Alla riunione convocata su Facebook dal titolo inequivocabile, “V-Day, no governo Draghi”, partecipano una quindicina di portavoce, il dissenso è più ampio dell’iceberg che prende una posizione pubblica, “anche se lo stiamo contenendo”, spiegano dai vertici. Un senatore che appena lo scorso venerdì era schierato convintamente per il no oggi spiega: “Draghi ha già vinto, che stiamo a fare fuori con il rischio che facciano porcate?”.
Crimi aveva assicurato tutti quelli che lo avevano sollecitato sul punto: “Ho sentito ieri Draghi per informarlo che avremo dato la parola agli attivisti”, una telefonata definita serena, e come potrebbe essere altrimenti. Nel Movimento i vertici spingevano per il sì, buona parte della base è schierata sul no.
Nelle considerazioni del rinvio anche il timore concretissimo che l’esito non sarebbe stato quello sperato. “La votazione darà come esito, magicamente, sì a Draghi. Non serve mica per far decidere agli iscritti, ma solo per blindare ulteriormente i parlamentari”, era sicura Giulia Di Vita, in Parlamento per M5s la scorsa legislatura. “Ma se Beppe non fa il suo appello la vedo molto dura per il sì” confidava un ministro
Grillo si è defilato dopo l’incontro con Draghi, ha scelto di non metterci la faccia, non subito almeno, non davanti taccuini e telecamere che così poco gli vanno a genio. Si chiude a registrare un video, il sostegno a Draghi, la frenata su Rousseau, poi una lunga riunione con tutto lo stato maggiore. Il Movimento è una babele. Elio Lannutti usa la mano pesante: “Draghi è qui per completare il programma lacrime e sangue imposto dalla Troika”. Carlo Sibilia si sbilancia fino al punto di dire che “l’idea di futuro di Draghi coincide con la nostra”. Nel mondo alla rovescia Grillo e Silvio Berlusconi solcano i marmi dello stesso palazzo per andare a dire all’ex presidente della Bce un sì convinto. L’ex comico e lo “psiconano”, come veniva bollato il leader di Forza Italia appena qualche tempo fa non si incontrano.
Ad incrociare la delegazione M5s che entra per il colloquio è quella del Pd che esce, con tanto di scambio di saluti tra il fondatore e Nicola Zingaretti, poi Grillo prosegue verso un incontro che durerà quasi un’ora, parlando nel tragitto di “evoluzione delle batterie” con Andrea Cioffi, vicepresidente del gruppo al Senato.
“Mi darebbe molto fastidio vedere ministri del Movimento 5 Stelle sedersi accanto a ministri di Forza Italia”, contrattacca Di Battista. Che continua: “Mi auguro che questa scelta non si farà , in caso contrario rifletterò su quello che dovrò fare io”. Non parla apertamente di scissione, non la esclude ma non la alimenta. Il clima è incandescente.
A metà pomeriggio, per cercare di placare il dissenso interno, il Movimento dirama una lunghissima nota per definire “il perimetro politico e le priorità ” fondamentali per M5s, che si conclude così: “Ascolteremo con attenzione e senza pregiudizi, cercando di raccogliere ogni elemento utile per formarci un’opinione chiara e consapevole, basata su cose concrete, che ci consenta di comprendere se davvero possiamo prendere parte in modo incisivo a un nuovo governo”.
Di Battista si definisce “europeista”, spiega di aver “cambiato idea”, ma sul governo non fa marcia indietro: “Quando i miei colleghi hanno detto mai più con Renzi io l’ho condiviso. Non ho cambiato la mia linea”. Crimi dopo le consultazioni spiega di aver avuto rassicurazioni su un ministero dello Sviluppo sostenibile, sul reddito di cittadinanza, sugli investimenti del Recovery plan, sul Mes nemmeno menzionato nel colloquio. “Decideranno i nostri iscritti”, chiosa. O forse no.
(da “Huffingtonpost”)
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