I DRONI NAVALI SONO L’ULTIMA SPINA NEL FIANCO DI PUTIN
PER L’ATTACCO KIEV HA USATO UNA SORTA DI CANOE SOTTOMARINE IMBOTTITE DI ESPLOSIVO, MENTRE I VELIVOLI IN CIELO “DISTRAEVANO” LE DIFESE RUSSE
Sono le sirene ripetute più volte a metà pomeriggio che costringono anche l’Opera di Kiev a interrompere «La Traviata» e invitare gli spettatori a scendere nei rifugi, a sottolineare che l’allarme è serio.
«Si temono missili russi di rappresaglia», avvisano i responsabili alla sicurezza. La spiegazione arriva dai comunicati del ministero della Difesa di Mosca: almeno 9 droni ucraini (ma alcune fonti parlano di 16) alle quattro e mezza di mattina hanno attaccato la flotta russa del Mar Nero ancorata nella sua base principale a Sebastopoli, sulla costa occidentale della penisola di Crimea.
La conseguenza è che il Cremlino blocca l’accordo per l’esportazione del grano ucraino, che era stato firmato a fine luglio grazie all’attiva mediazione del presidente turco Erdogan.
In un primo tempo comunque i russi minimizzano, affermano che la loro contraerea a Sebastopoli ha abbattuto tutti i droni. Poche ore dopo, però, si correggono e ammettono che è stato danneggiato il dragamine Ivan Golubets, oltre ad alcune infrastrutture portuali.
Nel pomeriggio dai circoli militari ucraini fanno trapelare che in realtà le navi danneggiate sarebbero quattro, tra loro anche la fregata Ammiraglio Makarov, che avrebbe perso il radar e buona parte delle attrezzature elettroniche sul ponte.
Il ministero degli Esteri russo rilascia un comunicato in cui accusa «addestratori militari britannici» di avere preparato e contribuito al blitz. Londra nega ogni addebito. E da Kiev si mantiene la tradizionale politica dell’ambiguità nel caso di azioni militari al di fuori dei propri confini. «Potrebbe trattarsi di un incidente nel maneggiare munizioni», sostengono. Lo stesso era avvenuto nel caso dell’affondamento ai primi di aprile della Moskva, l’ammiraglia russa del Mar Nero (i marinai morti potrebbero essere centinaia). Già il giorno dopo, tuttavia, i massimi commentatori attribuivano l’attacco a due missili di fabbricazione ucraina Neptune. Da allora i blitz contro la Crimea si sono moltiplicati.
A Kiev si sottolinea che la flotta del Mar Nero resta un obbiettivo legittimo, visto che dalle sue unità vengono sparati i missili a lunga gittata che colpiscono anche le città e infrastrutture civili ucraine, comprese quelle elettriche che stanno creando immensi problemi in vista dell’inverno.
Da metà estate si sono intensificati i bombardamenti russi su tutta l’Ucraina. E in seguito all’attentato dell’8 ottobre contro il ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea, i missili e i droni russi hanno colpito direttamente il centro di Kiev. Adesso, però, il Cremlino sceglie di internazionalizzare la crisi.
La mossa di bloccare l’export sul grano torna a puntare i riflettori sulla fame nel mondo, già aggravata dal riscaldamento globale. «Resta vitale che nessuna delle parti in causa si astenga da qualsiasi azione che possa danneggiare l’accordo sul grano, che tanto ha contribuito per aiutare milioni di persone sulla Terra», ha osservato Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’Onu, António Guterres.
I russi replicano che l’azione ha danneggiato quelle stesse navi impegnate nella creazione dei corridoi umanitari che avrebbero permesso la realizzazione dell’accordo. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ridicolizza la spiegazione di Mosca, che a suo parere rilancia invece «il ricatto russo della fame nel mondo».
Gli Usa, in serata, dicono che Mosca usa il «grano come arma». L’accordo avrebbe dovuto essere rinnovato il 19 novembre e già da alcune settimane sembrava non funzionare più. Il 21 ottobre lo stesso presidente Zelensky chiedeva l’aiuto della comunità internazionale per «sbloccare» le oltre 150 navi cargo che i russi avevano fermato sulla tratta tra Istanbul e Odessa.
L’ARMA UTILIZZATA PER L’ATTACCO
Pare un kayak di metallo nero, col pozzetto chiuso e la coperta rinforzata. Ha sensori e telecamere da ogni lato. Può cambiare direzione, fermarsi, aumentare o ridurre la velocità con il suo potente motore a scoppio. A deciderlo è un pilota umano seduto al caldo, lontano centinaia, anche migliaia, di chilometri. Il pilota stabilisce la rotta in base alle bussole, ai geolocalizzatori di bordo e ai video che il battello invia in tempo reale. Il suo compito è arrivare il più vicino possibile all’obbiettivo e farsi esplodere.
È uno dei droni navali usati nell’attacco di sabato mattina alla base navale russa di Sebastopoli nella penisola di Crimea. Alcune di queste canoe telecomandate e imbottite di esplosivo hanno zigzagato tra le raffiche di mitragliatrice pesante che gli elicotteri russi gli sparavano contro. E almeno due sono andati a segno. Il segnale video scompare proprio a ridosso delle pareti di una nave da guerra.
Secondo alcune ricostruzioni, le canoe sarebbero partite in piena notte dalla costa ucraina per arrivare nella baia di Sebastopoli in contemporanea ai droni aerei (molto più veloci) partiti molte ore dopo. I velivoli servivano a distrarre le difese russe e permettere ai droni acquatici di passare inosservati.
Sembra che il piano non abbia funzionato completamente, ma le informazioni sono tutte da verificare. I droni sono i grandi protagonisti di questa guerra d’Europa. Mosca ha denunciato la presenza di un gigantesco aereo senza pilota sul Mar Nero davanti alla Crimea proprio nelle ore dell’attacco. Era un RQ-4B Global Hawk con apertura alare di 40 metri
Pare fosse decollato dalla base di Sigonella, in Sicilia. Droni da ricognizione piccoli, quasi giocattolo, aiutano le unità sul terreno a vedere oltre il limite della trincea senza esporsi. Quelli più grandi restano in volo per ore dando la mappa delle armi e dei movimenti del nemico. Li usano russi e ucraini in egual misura. Quando li hanno.
Aerei senza pilota da battaglia possono essere di tutte le misure. I più piccoli di solito sono «a perdere» perché si schiantano sul bersaglio. In mano agli ucraini ce ne sono soprattutto di fabbricazione britannica, in mano ai russi gli ormai famosi «shahid», martiri, made in Iran.
Sono invece turchi i droni d’attacco capaci di sganciare bombe e rientrare per le missioni successive. Ne fanno largo uso gli ucraini. Modelli simili made in China sono in mano russa. I droni più grandi costano un ventesimo di un aereo da caccia, hanno meno missili da sparare, ma il pilota non rischia la vita. I migliori sono di fabbricazione americana, ma anche israeliana, cinese e russa.
La comparsa di droni navali non è nuova in questa guerra. Sono stati impiegati nella riconquista dell’Isola dei Serpenti sia in attacchi precedenti alle navi russe nel Mar Nero. Nell’attacco di sabato accuse e silenzi fanno parte della nebbia informativa
(da il Corriere della Sera)
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