IL GENERALE CHE SPACCA IL FRONTE SOVRANISTA
QUELLA DESTRA COMPLESSATA CHE DA “VOGLIAMO I COLONNELLI” ORA SI ACCONTENTA DI UN “VOGLIAMO UN GENERALE”… I SERVI DEL PENSIERO UNICO SONO LORO
C’è qualcosa che spaventa la destra politica nel successo, peraltro mediaticamente molto pompato, del libro e del pensiero del generale Roberto Vannacci: l’implicita accusa di tradimento che quelle 373 pagine contengono. Tradimento di una visione del mondo, una Weltanschauung si sarebbe detto una volta. Tradimento della storica missione evocata dal titolo del saggio, cioè rimettere finalmente a posto il «mondo al contrario» e combattere a viso aperto le oscure centrali della cultura woke. La destra impegnata a farsi accettare in Europa, la destra che rinuncia alle belluine denunce contro la sostituzione etnica, la normalizzazione delle unioni gay, le bubbole alla Greta Thumberg sul cambiamento climatico, è una destra che tradisce, ci dice implicitamente il generale.
E si capisce bene perché, dopo il primo e nettissimo intervento del ministro Guido Crosetto, diversi e titolati esponenti di FdI siano scesi in campo a difesa del diritto di parola del militare, avviando un’operazione di ri-legittimazione delle sue tesi e della sua persona.
Vannacci non è una voce nel deserto. Non è un qualsiasi Antonio Pappalardo con i suoi squinternati forconi e gilet arancioni, folcloristico interprete della famosa pancia del Paese. È un ex capo della Folgore, la brigata militare che da sempre scalda il cuore della destra. È un combattente di teatri difficili, Somalia, Iraq, Afghanistan, Ruanda, Yemen. Nell’immaginario di quel mondo è il Colonnello Mathieu della Battaglia di Algeri, è il Comandante Kurtz che racconta l’orrore dalla giungla cambogiana. E il suo lungo anatema contro «i servi del pensiero unico» (espressione che ricorre nelle recensioni dei fan su Amazon) è un richiamo politico molto evidente al popolo sovranista, un allarme che intercetta il crescente sentimento di delusione per l’allineamento della destra politica al mainstream europeista e occidentale.
Gianluca Nicoletti, ieri, ha giustamente osservato che l’accuratezza dell’editing del libro, la sua larga circolazione in formato digitale nelle chat sovraniste e persino la premessa (dove l’autore si dissocia «da qualsiasi tipo di atti illeciti possano derivare» dallo scritto) avvalorano il sospetto di un’opera collettiva e politicamente finalizzata più che di una riflessione solitaria. È una possibilità molto concreta.
La gara per intestarsi un nuovo movimentismo alla destra di FdI è aperta da un pezzo. Ci sta pensando Matteo Salvini, con la ripetuta conferma dell’alleanza con Marine Le Pen. Ci pensa, dichiaratamente, Gianni Alemanno con le sue interviste assai critiche per il posizionamento del governo Meloni sull’Ucraina. Ma uno come Vannacci, oltre i blandi dinieghi del momento («sono un militare, non ho fatto progetti per altre attività»), sarebbe l’asso pigliatutto di un’operazione di questo tipo. Il condottiero perfetto per una versione ultras del racconto valoriale della destra.
E allora diventa chiaro perché, nelle ultime ventiquattr’ore, dirigenti, parlamentari, giornali dell’area conservatrice si siano affannati per «riportare a casa» il generale e trasformare il suo saggio (indifendibile sotto il profilo della disciplina militare, che richiede l’autorizzazione per ogni pubblico intervento) in un caso di libertà di pensiero ostracizzata, anche a costo di lasciare solo il ministro della Difesa che se ne è giustamente irritato. Nessun nemico a destra. Mai, ma soprattutto se quel potenziale nemico, per il suo status, la sua biografia, le sue stellette, può utilizzare con credibilità la fatale accusa di tradimento dell’Idea con la maiuscola: un’imputazione che fin dai tempi di un altro generale, Pietro Badoglio, costituisce l’arma fine-di-mondo di ogni dibattito interno alla destra.
(da La Stampa)
Leave a Reply