IL LINGUAGGIO POLITICO E’ SEMPRE PIU’ AGGRESSIVO, PER IL 74% DEGLI ELETTORI E’ COPA DEI SOCIAL
IL 45,7% DEFINISCE CONFLUTTUALE IL CLIMA POLITICO IN ITALIA
C’è un’Italia silenziosa, fatta di cittadini che osservano con crescente disagio il modo in cui si parla – e si urla – di politica. Un’Italia che, secondo gli ultimi dati di un sondaggio di Only Numbers, percepisce il clima politico nazionale come conflittuale (45,7%), teso (27,1%) e addirittura violento (10,4%). Solo un risicato 3,7% definisce il dibattito politico “sereno”. Numeri che, se non allarmano, dovrebbero almeno far riflettere. In un contesto del genere, parlare di “odio politico” non appare più un’iperbole, ma una definizione che si avvicina tristemente alla realtà.
La stessa premier, nei giorni scorsi, ha denunciato un clima di violenza verbale nei suoi confronti. A ciò si aggiungono le scene indecorose viste in Parlamento durante la discussione sul decreto giustizia: urla, insulti, risse sfiorate. Se il Parlamento è lo specchio della nazione, non possiamo ignorare che lo specchio oggi ci restituisce un’immagine distorta e inquieta.
Le differenze tra generazioni
Non stupisce, allora, che quasi il 65% degli italiani ritenga che il linguaggio della politica sia diventato più aggressivo rispetto al passato. Una percezione che sale fino al 75,5% tra gli over 65 che quel passato lo ricordano bene.
Al contrario, i più giovani (18-24 anni), cresciuti in questo clima, non notano grandi differenze: per loro, questo è sempre stato il tono “normale” della politica (62,7%).
Eppure, proprio da questi giovani dovremmo ripartire. Perché se la politica è ormai percepita come una continua guerra tra fazioni, incapace di spiegare con chiarezza contenuti, riforme e scelte, c’è da chiedersi: che esempio stiamo offrendo a chi si affaccia alla vita pubblica e democratica del Paese?
Il ruolo dei social
In questo quadro, i social media non aiutano. Anzi! Tre italiani su quattro (74,1%) sono convinti che piattaforme come Facebook, X, Instagram e TikTok peggiorino il dibattito politico, lo esasperino, amplifichino i toni più aspri e diano spazio a chi grida più forte, non a chi argomenta meglio. In questo nuovo
“ring digitale”, le parole vengono spesso usate come armi. A rendere tutto ancora più caotico contribuiscono anche i font urlati, grandi caratteri bold di titoli sensazionalistici, post senza contesto, meme e slogan che riducono la complessità della politica a semplice tifoseria da stadio.
Ma dove ci sta portando tutto questo? Ce lo dobbiamo chiedere, con serietà. Ha davvero senso trasformare ogni dibattito politico in uno scontro personale? O c’è, nel profondo del Paese, un desiderio inascoltato di capire meglio le sfide, le fatiche e gli sforzi della politica nel governare una realtà sempre più complessa? Da avversari politici si sono trasformati in nemici. In molti denunciano che al di fuori delle telecamere ci si abbraccia e i toni risultano più pacati. E qui sta forse il dato più preoccupante, perché molti italiani invece credono che questo clima di odio sia reale – e non recitato – e che possa spingere qualche “svalvolato” a compiere atti estremi.
Le risposte degli elettori
È una consapevolezza trasversale, che supera ogni schieramento politico e che ci interroga, tutti, sull’urgenza di un cambio di passo. La politica ha bisogno di visioni, di confronto anche duro, ma costruttivo; non di odio, insulti e delegittimazione reciproca. Per avvalorare le proprie tesi spesso si alterano i significati fino a renderle verosimili provocando reazioni sempre più forti e roboanti tra le parti e innescando un meccanismo che porta velocemente dal credibile all’improbabile. In un contesto in cui tutto si trasforma in rumore e la confusione offusca il giudizio,
l’elettore finisce per affidarsi più al sentimento di appartenenza che a una scelta realmente consapevole.
L’omicidio di Charlie Kirk
È anche per questo che i due blocchi politici, “centrodestra” e “centrosinistra allargato”, restano immobili, senza reali travasi di consenso se non tra i partiti all’interno delle reciproche alleanze. Si moltiplicano tra i diversi schieramenti le ricerche di nuove figure “moderate”, capaci di rassicurare nell’immagine e nei toni, ma non basta. Il 59,9% degli italiani attribuisce all’odio politico un ruolo principale (27,4%) o comunque significativo (32,5%) come movente nell’omicidio del politico americano Charles James Kirk. Un dato che dovrebbe far riflettere, perché racconta di una consapevolezza diffusa: il linguaggio politico, quando si fa strumento di polarizzazione e scontro permanente, può contribuire a innescare dinamiche pericolose anche nella realtà. I cittadini meritano una classe dirigente all’altezza, che sappia scegliere le parole con responsabilità, costruire fiducia e innalzare il livello del confronto, perché in democrazia le parole non sono mai solo parole: sono atti, e gli atti, inevitabilmente, generano conseguenze.
La politica, oggi più che mai, ha il dovere di disinnescare tensioni, non alimentarle, perché una società che smette di ascoltarsi è una società che rischia di smarrire sé stessa.
Alessandra Ghisleri
(da lastampa.it)
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