IL MIGLIOR ALLEATO DELL’EUROPA SI CHIAMA JEROME POWELL: SE IL PRESIDENTE DELLA FEDERAL RESERVE VENISSE CACCIATO DA TRUMP, IL DEBITO PUBBLICO AMERICANO RISCHIEREBBE DI ESPLODERE, E IL DOLLARO SI SVALUTEREBBE ANCORA DI PIÙ.
IL RISULTATO? L’EXPORT EUROPEO INCHIODEREBBE, E CI SAREBBERO PERDITE PER CENTINAIA DI MILIARDI, ESPRESSI IN EURO, SUGLI OLTRE 1600 MILIARDI DI DEBITO PUBBLICO AMERICANO DETENUTO NEL VECCHIO CONTINENTE
La caduta più brusca del dollaro nell’ultimo mese si è vista quando un’anonima fonte della Casa Bianca ha riferito di una discussione a cena di Donald Trump, il 15 luglio scorso. Si parlava dell’opportunità di licenziare Jay Powell, il presidente della Federal Reserve.
Quel momento ha messo a nudo come le tensioni attorno al governo del biglietto verde incrociano gli interessi europei, in due modi: influenzano il tasso di cambio dell’euro, con i suoi riflessi di competitività dell’export, ma contano anche per l’esposizione degli investitori europei per almeno 1.600 miliardi di dollari sul debito pubblico americano.
Perché all’accordo ineguale sul commercio tra Trump e Ursula von der Leyen l’euro ha risposto in questi giorni con una svalutazione di oltre il 2% sul dollaro — ieri sera era a 1,14, da 1,17 di venerdì — visto che ora molti si aspettano un’economia dell’area euro più debole e tagli dei tassi della Banca centrale europea in autunno. Ma nei prossimi mesi potrebbe andare
diversamente.
Il 15 luglio Trump si sarebbe detto intenzionato a cacciare Powell. Da un’amministrazione che distilla accuratamente le fughe di notizie, questa in particolare aveva innescato reazioni immediate: il dollaro era crollato quasi dell’uno per cento, nel giro di un’ora, sulla media delle valute più importanti. I rendimenti del debito americano a dieci anni erano saliti, gli indici azionari di Wall Street avevano subito perso terreno.
Sembrava un test per saggiare cosa succederebbe se Trump muovesse per prendere il controllo della Fed. Nessuno lo sa, anche perché non è mai accaduto in America che il presidente cacciasse il capo della banca centrale. La legge conferisce a quest’ultimo una totale indipendenza e Powell stesso ha ricordato più volte che Trump non può mandarlo via prima che il suo mandato scada a maggio prossimo.
Di certo il giorno dopo quella cena — saggiata la risposta dei mercati — Trump ha fatto sapere che la defenestrazione di Powell resterebbe «altamente improbabile». Ma tre giorni dopo il New York Times ha rivelato che il tycoon avrebbe già pronta una bozza della lettera di licenziamento.
La stessa visita di Trump ai cantieri della ristrutturazione di un palazzo della Fed ha l’aria di un pretesto per mettere Powell ancor più sotto pressione o trovare un appiglio in modo da poterlo licenziare per «giusta causa».
La posta in gioco naturalmente non sono i 2,5 miliardi di spese quel cantiere sulla Constitution Avenue a Washington. Sono i 37 mila miliardi del debito pubblico americano, con rinnovi e nuove emissioni di titoli per circa 10 mila miliardi all’anno: un livello
pari al 30% del prodotto interno lordo americano (l’incidenza più alta, in questo, fra le 38 democrazie avanzate dell’Ocse).
Quella è una fonte di tensioni anche perché, per ridurre il peso degli interessi, l’amministrazione Trump si sta muovendo come quella di Joe Biden: accorcia le scadenze medie dei titoli emessi, obbligandosi così a cercare sempre più spesso credito sul mercato (anche qui a livelli record nell’Ocse).
Per questo Trump pensa a prendere il controllo della Fed con un fedelissimo: vuole usare la banca centrale per gestire l’enorme debito pubblico — tagliando i tassi, creando inflazione e comprando titoli malgrado il carovita in aumento — come l’Italia anni ’70 o come fanno oggi certi autocrati di Paesi emergenti.
Qui questa vicenda si intreccia agli interessi europei. I mercati hanno mostrato che una Fed agli ordini di Trump porterebbe a un’ulteriore svalutazione del dollaro, frenando ancor più l’export europeo.
Quella svalutazione genererebbe anche perdite per centinaia di miliardi, espressi in euro, sugli oltre 1.600 miliardi di dollari di debito pubblico americano oggi detenuto nell’area euro. Per questo l’indipendenza della Fed conviene (molto) all’Europa.
(da Corriere della Sera)
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