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IL PRESIDENTE LIBICO DBEIBAH, SOSTENUTO OSTINATAMENTE (E QUASI IN SOLITARIA) DAL GOVERNO MELONI, RIFILA UN CLAMOROSO SCHIAFFO ALLA DUCETTA: HA BOCCIATO IL DIPLOMATICO ITALIANO NICOLA ORLANDO COME AMBASCIATORE DELL’UE

AL SUO POSTO, PROBABILMENTE, ARRIVERÀ UN FRANCESE. MA I FRATELLI D’ITALIA, SEMPRE PRONTI A SFERZARE IL COLONIALISTA MACRON, STANNO MUTI…IN AFRICA LA SORA GIORGIA STA SBAGLIANDO TUTTO

Sarà pure, come dice Enrico Borghi, che “un desiderio non fa politica, e che nello iato incolmabile che caratterizza il Piano Mattei tra velleità e capacità si rischia di fare danni”. Però quello che succede a Tripoli, per l’Italia, è forse qualcosa più d’un errore. Con lessico patriottico si direbbe quasi: un’onta. E non solo per il pastrocchio diplomatico tra libici e israeliani che ha visto Roma come teatro del misfatto. C’è anche altro, ed è qualcosa di clamoroso, che si muove in questi giorni, a segnalare una certa distanza tra le ambizioni di Giorgia Meloni e la realtà africana.
Succede infatti che un qualificato diplomatico italiano, Nicola Orlando, dopo aver vinto un concorso continentale ed essere stato scelto da Bruxelles come ambasciatore dell’Ue in Libia, si veda negato il gradimento dal governo di Abdulhamid Dabaiba, quello peraltro che l’Italia continua a sostenere con ostinata lealtà. Una bocciatura che ha del clamoroso, nella grammatica delle feluche.
E che però dal governo patriottico, quello che vuole affermare la nuova centralità dell’Italia in Africa, viene accolta con un’alzata di spalle. E sì che ad avvantaggiarsi di questa bizzarria è, a quanto pare, un diplomatico francese. Che verrebbe spontaneo da dire: Vuoi che a Palazzo Chigi, ai vertici di FdI nessuno utilizzi la propria autorevolezza diplomatica per chiedere spiegazioni a Tripoli del perché di una simile umiliazione?
Eppure, niente. Benché Orlando avesse tutti i titoli per rivestire l’incarico di inviato speciale per l’Ue in Libia. Già impegnato a Riad, in Afghanistan e a Tel Aviv, poi ambasciatore in Kosovo, quindi designato dall’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio come inviato speciale italiano a Tripoli, non a caso era stato lui a vincere il concorso bandito dall’Ue: e così, ad aprile scorso, l’Alto rappresentante dell’Unione, Josep Borrell, sceglie lui.
Lì, però, qualcosa s’inceppa. Quella che dovrebbe essere una mera formalità – l’espressione del gradimento ufficiale da parte del governo Dabaiba – viene prima sospesa, poi negata. E così, dalla settimana scorsa, con la scadenza del mandato del diplomatico spagnolo José Sabadall, in Libia non c’è un ambasciatore dell’Ue
Se si dovesse davvero dare credito ai pettegolezzi della Farnesina, secondo cui nello staff di Antonio Tajani c’è stato chi, dopo aver già dovuto accettare con fastidio la sgradita nomina di Di Maio come inviato speciale europeo nel Golfo, avrebbe gradito ancor meno la promozione di un diplomatico che proprio dai collaboratori del ministro grillino era stato indirizzato verso Tripoli, ci sarebbe da concludere con tristezza che c’è chi, ai vertici del governo, ricorre al masochismo istituzionale come a un’arma di supposta furbizia.
Forse allora per questo tocca accogliere come più concreta l’altra ipotesi. E cioè che siano stati gli apparati francesi a brigare con Dabaiba per propiziare la bocciatura di Orlando, favorendo così un diplomatico transalpino che, arrivato secondo nella graduatoria, si vedrà ora promosso. E certo, se così fosse, ci sarebbe di che lamentarsi per questa concorrenza sleale operata ai danni dell’Italia dai dirimpettai francesi.
Se non fosse, però, che un po’ tutta la strategia diplomatica del governo Meloni in Nord Africa, in questi mesi, e in definitiva buona parte dello spirito del Piano Mattei, “tradiscono una critica esplicita al modello di cooperazione francese”, osserva il renziano Borghi.
E certo a Parigi non devono essere parsi apprezzabilissimi gli attestati di onorabilità dati da mezzo governo italiano a quei golpisti nigerini (“Gente affidabile, con cui si può parlare”) che nel frattempo bruciavano la bandiera francese e intimavano all’ambasciatore di Macron di abbandonare il paese. E a colpire, in ogni caso, è la passività di Farnesina e Palazzo Chigi di fronte allo sgarbo senza precedenti di Dabaiba.
Tanto più che proprio l’Italia è, se non l’unico, il più tetragono sostenitore del traballante governo di Tripoli. Che poi quell’“our motherfucker” (citando Roosevelt) sia lo stesso che umilia il nostro governo negando il gradimento a un diplomatico di lungo corso, dà il senso del paradosso africano in cui Meloni annaspa. Che è lo stesso che genera incidenti diplomatici come quello tra libici e israeliani (su cui Tajani sarà verosimilmente chiamato a riferire in Senato, alla ripresa dei lavori)
D’altronde, quanto quelle aspirazioni poggiassero su basi ancora tutte da costruire, lo si è capito poche settimane fa. Quando, appena dieci giorni dopo la pretenziosa “Conferenza di Roma” su migrazioni e Mediterraneo, il governo filooccidentale del Niger (ospitato con tutti gli onori del caso nella capitale italiana) è finito vittima dei golpisti che inneggiavano a Putin.
Con un atto che rischia ora, peraltro, di innescare una miccia che potrà, come dimostra il caso del Gabon di queste ore, generare tensioni un po’ in tutta l’area subsahariana. Torna insomma alla mente quella raccomandazione che Mario Monti, alla vigilia del primo Consiglio europeo di Meloni, nel dicembre scorso, rivolse alla premier nell’Aula del Senato: “A me piace molto la sua idea del Piano Mattei: ma non è che converrà forse all’Italia cercare di mettersi in una posizione il più possibile efficace e autorevole nei tanti progetti che già l’Ue ha per l’Africa? Lo dico perché denominare in modo troppo nostro nuovi progetti può dare ai nostri partner un tranquillizzante stato d’animo del tipo: sì, fate voi”.
(da il Foglio)

This entry was posted on giovedì, Agosto 31st, 2023 at 20:12 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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