IL RICONOSCIMENTO DA’ UN’IDENTITA’ A UN POPOLO
E SPINGE GLI ORGANISMI INTERNAZIOALI AD AGIRE
Dopo il Regno Unito, il Canada, l’Australia e il Portogallo, anche la Francia ha riconosciuto lo Stato di Palestina. Altri cinque Paesi, fra cui il Belgio, ne hanno seguito l’esempio. Dei Paesi dell’Ue, solo la Germania e l’Italia rifiutano questo riconoscimento. La Germania forse per l’estrema difficoltà che trova nell’opporsi ad Israele. L’Italia, direi, per mera piaggeria verso Trump. In compenso, il nostro Paese è stato percorso da decine di migliaia di persone che manifestavano, scioperando, a favore della Palestina, uno sciopero politico con pochi precedenti in anni recenti, che gli episodi di vandalismo di alcuni gruppi estremisti non bastano a rendere meno significativo.
Quanti si oppongono al riconoscimento della Palestina, e fra questi vedo con dolore le comunità ebraiche e molta parte degli
ebrei italiani, sostengono che si tratta di un atto troppo precipitoso, che i tempi non sono ancora maturi, che prima occorre edificare lo Stato, poi riconoscerlo. E insistono che si tratta di un atto puramente simbolico, che sarà privo di effetti sulla situazione reale del conflitto.
In realtà, l’atto non è affatto solo simbolico, e ben lo dimostra la reazione del governo israeliano, che minaccia in risposta di annettere la Cisgiordania e taccia i Paesi europei di essere fautori di Hamas. Innanzi tutto, è un forte riconoscimento dell’identità dei palestinesi, nel momento peggiore della loro storia, quando due milioni di gazawi sono cacciati da Gaza, bombardati, affamati, vedono le loro case distrutte, le loro vite in continuo pericolo. Può essere che il fatto di non sentirsi abbandonati da tutti spinga un maggior numero di loro a guardare a un futuro ancora capace di offrire sicurezza e giustizia? In ogni caso, è loro dovuto. Se non ora, quando?
Poi, il riconoscimento implica rapporti tra Stati, con l’Unione Europea, l’Onu. Implica che le continue violenze di coloni e esercito in Cisgiordania debbano fare i conti con forze più valide di quelle generose organizzazioni internazionali che frappongono i corpi dei loro sostenitori a difesa dei palestinesi aggrediti, forse i Caschi blu. No, non è un atto solo simbolico, è un impegno. E non ultimo, riconoscimento dello Stato implica anche riconoscimento, e speriamo sostegno, di quella parte degli israeliani che lottano contro il loro governo.
Netanyahu tuona che uno Stato palestinese non ci sarà mai. Ci
ricorda che da premier ha fatto di tutto per impedirlo, che ne ha affossato lui la sua possibilità di esistenza. Il ministro Smotrich si propone come boia dei palestinesi, la leader dei coloni parla di espansione in Libano e in Siria. La violenza stessa di queste reazioni ci dice che questa mossa è giusta. La situazione è cambiata e Netanyahu, e dietro di lui Trump, e non ultimi i Paesi arabi, devono venirci a patti.
Può essere che inizialmente questo comporti maggiori difficoltà sia per Gaza che per i palestinesi di Cisgiordania. Che scatti la vendetta del governo, quella dei coloni. Ma, almeno per Gaza, più di quello che già succede? Credo però che alla lunga, e nemmeno troppo, i diritti di uno Stato riconosciuto finiranno per pesare più di quelli di uno Stato solo previsto, e continuamente rosicchiato dai coloni e dall’Idf. E allora l’isolamento in cui la politica del suo governo ha posto Israele servirà infine a metter fine a questa immane tragedia.
(da astampa.it)
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