INTERVISTA A FLAVIA PERINA: “NON MI RICONOSCO PIU’ IN QUESTA DESTRA”
“NEL LINCIAGGIO VERSO SILVIA ROMANO NOTO UN SESSISMO PROFONDO”…. “LA DESTRA OGGI SI TROVA BENE NEL GHETTO POPULISTA”
Una cosa dice appena risponde al telefono: “Penso di poter parlare con tutta onestà della destra perchè la conosco bene ma al tempo stesso ho rotto ogni connessione di tipo psicologico e politico con quel mondo”.
Flavia Perina, nata nel mondo del Movimento sociale italiano, un passato da direttore del Secolo d’Italia, già parlamentare di Futuro e Libertà , da tempo tornata al giornalismo “senza aggettivi”.
Ed eccola in una lunga conversazione con l’Huffington Post nei giorni in cui la destra italiana si divide su Silvia Romano.
Perina, se ha rotto ogni connessione vuole dire che non si definisce più una donna di destra?
Da molto tempo non riesco a riconoscermi nella destra italiana.
Guido Crosetto, Fabio Rampelli, Francesco Storace difendono Silvia Romano e la sua conversione, e scoppia lo stupore generale. Come se ci fosse un pregiudizio nei confronti della destra. E’ così?
Ci sorprendiamo giustamente per le posizioni di Guido Crosetto, Fabio Rampelli, Francesco Storace, sulla vicenda di Silvia Romano perchè la destra ha sempre ostentato su questi fatti un’alta dose di cattivismo: è un sentimento che non corrisponde al suo dna, ma in genere gli attuali leader giudicano utile assecondare le pulsioni estremiste del loro “popolo”. Da tempo hanno rinunciato all’opera pedagogica che, in tempi passati, la destra considerava fra i suoi doveri anche nei confronti del suo elettorato.
A tal proposito torna in mente la figura di Giano Accame, intellettuale di destra, anche lui direttore del Secolo d’Italia. Ecco, Accame pubblicò la foto di Fini con una bambina eritrea. Fu rivoluzionario.
E’ un episodio molto citato. Era il 1988, si cominciava a parlare dell’emergenza immigrazione, cominciavano ad emergere istinti razzisti che nell’opinione pubblica facevano riferimento alla destra. Accame pensò bene di stroncarli, di dare un’indicazione precisa, con quella famosa prima pagina che tutti citano ma che forse bisogna raccontare bene.
Lo faccia lei.
Non c’era solo una foto di Fini durante la visita a una casa famiglia, con una bambina eritrea in braccio, ma anche Il titolo “Solidarietà ”. E un sommario che schierava il giornale “con gli esclusi della società opulenta”. L’editoriale di Giano Accame pubblicato a fianco era intitolato: “La compassione contro lo sfruttamento”.
Lo stesso Giano Accame che teorizzava il “fascismo immenso e rosso”.
E’ il titolo di un suo libro, ma forse la definizione politica più esatta del suo impegno, anche giornalistico, va cercata in un altro saggio e in un altro titolo: Socialismo tricolore.
Ritorniamo alla foto di Fini con la bambina eritrea.
A quell’epoca, negli ultimi anni del Novecento l’obiettivo principale della destra era trovare occasioni per uscire dal ghetto, mostrare una natura spesso diversa dalla caricatura che ne facevano i suoi avversari.
E oggi ci vuole restare?
Credo che la destra di oggi si trovi abbastanza bene nel ghetto, intesa come area di opposizione radicale, opposizione “di sistema”. Pensano che quel tipo di isolamento e di “alterità ” porti consensi. E che quindi debba assecondare il tipo di elettorato che apprezza il rifiuto di ogni contaminazione e dialogo, sempre percepito come intelligenza col nemico.
Oltre a Giano Accame, la destra è stata anche Giuseppe Tucci, orientalista, storico delle religioni che fondò l’Istituto italiano per il Medio e l’Estremo oriente.
Ma sì, il rapporto storico della destra anche con l’Oriente e anche con lslam è stato un rapporto di interesse e studio a tutti i livelli. Basta dire che uno degli intellettuali più ascoltati a destra è Pietrangelo Buttafuoco, l’autore de “il feroce saracino”. Ecco, nessuno del suo mondo si è mai sognato di contestargli la sua scelta religiosa. E tuttavia nel racconto pubblico ogni apertura al pluralismo, non solo religioso, sparisce, anzi spesso viene criminalizzata: basti pensare alla lunga battaglia contro le moschee.
La sua direzione del Secolo d’Italia, tuttavia, fu oggettivamente pluralista.
Altri tempi. Il lavoro principale che affrontai insieme al condirettore Luciano Lanna fu quello di dare voce a segmenti della destra oscurati dalla cosiddetta “linea ufficiale” e aprire interlocuzioni col mondo esterno
Quali segmenti?
Esisteva una destra ecologista, aprimmo una rubrica su quei temi e la affidammo a Fiorello Cortiana, una firma che veniva da sinistra ma aveva una sensibilità molto simile alla nostra. C’era una destra amica del protagonismo e dei diritti femminili: ci inventammo “Thelma & Louise”, una rubrica dove si alternavano Isabella Rauti e Roberta Tatafiore, che veniva dall’esperienza più classica del femminismo. Parlammo di Islam con Noi Musulmani di Omar Cammileti, che raccontava storie eterogenee del mondo islamico, dai complessi rock alla moda. Fu il tentativo di sviluppare tanti interessi culturali e politici della destra, oltre le incombenze della “linea ufficiale”.
Una destra molto lontana dal bar sport…
Sicuramente. Purtroppo il bar sport è diventato uno dei riferimenti principali non solo della destra ma di molti settori politici. Gran parte delle prese di posizione che leggiamo ogni giorno sono fatte immaginando come intercettare il consenso del bar sport. La destra si è adattata, soprattutto perchè teme la concorrenza della Lega, abilissima nel gioco di quel tipo di propaganda. Negli ultimi tempi, tuttavia, ho notato un certo ritorno alla serietà , un po’ di smarcamento dal populismo più becero…
Su Silvia Romano, Giorgia Meloni ha una posizione differente da quella di Crosetto, Storace e Rampelli.
Vero. Mi ha sorpreso, tuttavia, che in una recente intervista proprio qui sull’Huffington abbia smentito l’esistenza di una pluralità di linea all’interno del suo partito. E’ sempre esistita una pluralità di voci all’interno della destra e non si capisce perchè oggi debba essere sparita. Credo che sia una ricchezza, non un fatto da nascondere.
Beppe Niccolai, ad esempio, storico dirigente del Msi, movimentista dentro il partito, diceva di sè: “Io sono molto più a sinistra di Ingrao”.
Sì, ma questa è paleontologia. A chiunque andasse a chiedere, oggi, chi fosse Beppe Niccolai dubito che saprebbero situarlo nel tempo e nello spazio, e soprattutto nella politica. La destra un po’ ha dimenticato, un po’ preferisce dimenticare.
Si spieghi meglio.
Faccio un solo esempio, ma potrebbero essercene tanti. Tra le cose paradossali della destra in questa ultima fase c’è l’elogio dei muri che dividono l’Europa, a cominciare dal muro di Viktor Orban. Ma come, mezzo secolo a contestare il Muro di Berlino come una ferita assoluta, una intollerabile lacerazione, un orrore contro i popoli d’Europa, e ora i muri piacciono? C’era un muro anche a Gorizia: Roberto Menia e Gianfranco Fini armati di piccone andarono a tirarlo giù, ovviamente con un’azione dimostrativa. La destra di oggi forse lo ricostruirebbe… La trovo una surreale conversione rispetto alla propria storia. Ma succede perchè quella storia non se la ricorda più nessuno.
Torniamo alla cooperante milanese.
Io credo che nel linciaggio social di Silvia Romano abbiano agito molte cose, ma soprattutto un sessismo profondo. Quest’anno sono stati liberati quattro ostaggi italiani. Tre erano maschi, una era Silvia Romano. Dei maschi non ci ricordiamo neanche il nome, pure uno di loro si sarebbe convertito e nessuno ha ritenuto di dovere scrivere due righe sulla faccenda. Di Silvia sì, ci ricorderemo: perchè forse è la sola vittima di sequestro che dopo la liberazione deve essere protetta dai suoi stessi concittadini. Così come è capitato a tutte le altre finite in ostaggio dei fondamentalisti. Penso alle due Simone, a Greta e a Vanessa. Su tutte si è trovato un motivo per indicarle al pubblico ludibrio.
A questo punto le chiedo: può esistere, nascere, una destra diversa?
Adesso no. Adesso la destra è questa.
Perchè?
Ogni tentativo in questa direzione è fallito. Bisogna prenderne atto. Siamo un Paese anomalo, siamo un Paese dove hanno vinto le formule populiste. Una destra sul modello di quello tedesco o francese è inimmaginabile. Come è difficilissimo trovare lo spazio per un altro tipo di sinistra, o di centro. La chiave di questo Paese è la competizione populista.
Si sente sconfortata?
No, per carità , osservo. La sola cosa sconfortante è che, inseguendo questa chiave populista, il Paese sta letteralmente andando a rotoli.
(da “Huffingtonpost“)
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