INTERVISTA A MAURIZIO LANDINI: “DISOCCUPATI OVER 50 VITTIME DELLA PRECARIETA’, POLITICHE DEL GOVERNO INADEGUATE”
IL LAVORIO PRECARIO NON COLPISCE SOLO I GIOVANI
Nelle ultime settimane, Fanpage.it ha raccolto centinaia di storie di persone disoccupate sopra i 50 anni: sono testimonianze sulle difficoltà del mondo del lavoro, da uomini e donne che in molti casi hanno dovuto ripartire da capo. C’è chi cerca da più di dieci anni di trovare un lavoro stabile, chi ha mandato oltre 11mila curriculum senza risultato. Anche chi ha esperienza e competenze non viene nemmeno richiamato dopo i colloqui, oppure riceve da anni promesse di contratti che poi non arrivano.
Le storie sono moltissime. Sono persone che spesso hanno seguito tutte le procedure, fatto i corsi di formazione, si sono iscritte ai centri per l’impiego, e sono andate avanti con misure come la Naspi fino a quando è stato possibile. Ora l’impressione di molti è che lo Stato non abbia intenzione di aiutarli, e qualcuno ha dovuto anche andare all’estero.
Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha risposto a Fanpage e tracciato i quattro punti su cui il governo Meloni dovrebbe concentrarsi, per migliorare la situazione.
“Per agire, gli interventi sono chiari: combattere la precarietà; introdurre il diritto alla formazione permanente; avere degli ammortizzatori sociali dedicati anche al processo di riqualificazione; fare una riforma vera sulle politiche per il lavoro e sulle strutture che servono per realizzarla, invece di lasciarla al mercato”, ha detto il segretario.
“Innanzitutto, molte di queste persone non trovano lavoro perché le imprese hanno la possibilità di scegliere altre forme di assunzioni, precarie, con meno diritti, con meno tutele”, ha commentato Landini. La precarietà “genera una competizione al ribasso tra le persone, che per vivere hanno bisogno di lavorare”. La soluzione, quindi, è chiara: “Cancellare certe forme di lavoro precario è una cosa utile anche per chi ha 50 anni: vuol dire garantire che le persone che lavorano devono avere tutte gli stessi diritti e le stesse tutele. La lotta contro la precarietà non è una cosa solo per i giovani, è un modello di società diverso da quello che sta venendo fuori oggi”.
“Formazione continua e pagata in orario di lavoro”
Il secondo tema è quello della formazione, per evitare che chi diventa disoccupato fatichi a rientrare nel mondo del lavoro: “È necessario garantire a tutte le persone che lavorano il diritto alla formazione permanente. Non è che semplicemente mi fai formazione perché mi chiude l’azienda o perché cambio lavoro: il diritto alla formazione deve accompagnare le persone lungo tutto la loro vita. Non è più sufficiente pensare che studio, mi diplomo, poi vado a lavorare, eventualmente la formazione la faccio se la mia azienda chiude”.
Lo sforzo deve arrivare dalle aziende, eventualmente spinte da una riforma su questo aspetto: “C’è bisogno che la formazione faccia parte del mio normale orario di lavoro. Ogni settimana, ogni mese, ogni anno io devo avere delle ore in cui sono pagato perché mi aggiorno, perché mi formo e acquisisco delle competenze. Questo vuol dire mettere nelle condizioni le persone, anche quando ci sono processi di cambiamento, di essere già abituate ad affrontarlo”.
“Più ammortizzatori sociali per chi è in difficoltà”
Chiaramente non basta essere formati per trovare in fretta un altro lavoro. D’altra parte, alcune delle storie raccolte da Fanpage.it venivano da persone pienamente competenti e aggiornate nel loro settore, che però faticano da tempo per trovare una nuova occupazione: “Naturalmente in situazioni di cambiamento serve un supporto a chi ne ha bisogno. C’è la necessità di sviluppare un sistema di ammortizzatori sociali da attivare in casi simili, perché oggettivamente è complicato per una persona che per una vita ha fatto lo stesso lavoro doversi reinventare, o imparare anche una nuova attività. È chiaro che rischia di essere difficoltoso”.
“Centri per l’impiego pubblici, non in mano ai privati”
L’ultimo punto, poi, è che la ricerca di lavoro non dovrebbe essere un’attività disperata, lasciata all’iniziativa personale o ai contatti di amici e conoscenti: se il lavoro è un diritto, allora bisogna garantire che chi lo cerca lo possa anche trovare: “Questo richiede anche una qualificazione diversa dei nostri centri per la formazione. Faccio un esempio preciso: la Germania. L’inserimento nel mondo del lavoro in Germania funziona meglio, ma andiamo a vedere come sono strutturati là. I centri pubblici di formazione e di riqualificazione tedeschi hanno 120mila impiegati”.
Quello tedesco è solo uno degli esempi di Paesi in cui “c’è un sistema di accoglienza delle persone, di raccolta delle loro esperienze e poi di accompagnamento e di tentativo di mettere assieme tutto questo con la domanda che viene dalle imprese. In Italia, nei centri per l’impiego lavorano non più di 12-13mila persone. In molti casi sono a loro volta precari, e di fatto spesso il sistema è lasciato in mano a imprese private. Questo non può essere il modo di gestirlo”.
(da Fanpage)
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