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INTERVISTA ALL’EX PROCURATORE MENDITTO: “VIOLENZA SULLE DONNE E’ COME LA MAFIA, SERVE INTRODURRE UN NUOVO REATO”

“IN COMUNE IL POTERE DI INTIMIDAZIONE E L’OMERTA’ DELLA VITTIMA”

“Il problema di oggi in Italia è che non abbiamo un vero delitto di violenza domestica”. Francesco Menditto, fino allo scorso settembre procuratore di Tivoli, a Fanpage.it spiega la necessità
di dover introdurre questo nuovo reato nel codice penale. L’ex procuratore – che si occupa di beni confiscati alla mafia – sottolinea inoltre come l’uomo della criminalità organizzata e quello responsabile di violenza domestica siano molto simili. Ecco perché.
Propone il reato di violenza domestica: come lo descriverebbe? E secondo lei perché è necessario?
Il delitto di violenza domestica viene sollecitato dalla Convenzione di Istanbul del 2011 che definisce la violenza contro le donne un ‘fenomeno strutturale’ e si occupa di definire e contrastare la violenza ai danni delle donne e la loro discriminazione, imponendo la loro prioritaria tutela. C’è un organismo che controlla l’attuazione della Convenzione di Istanbul nei vari Stati che si chiama Grevio: nell’ultimo suo rapporto del 2021 propone di introdurre il delitto di violenza domestica. In Italia non lo abbiamo. Abbiamo il delitto di maltrattamenti, col quale vengono puniti gli episodi di violenza domestica.
Questo reato, che è stato introdotto nel 1930, faceva riferimento solo a maltrattamenti nei confronti dei familiari. Nel 2012 poi è stato modificato inserendo ‘contro familiari e conviventi’, introducendo quindi questo ultimo termine. Non c’è però una descrizione di cosa sono i maltrattamenti.
È stato definito dalla Corte di Cassazione: l’elemento certo sul quale la giurisprudenza non fa passi indietro è che questo reato viene considerato abituale. Ovvero che la persona accusata viene punita solo se è responsabile di più episodi. Questo vuol dire che i processi diventano complessi perché bisogna dimostrare che la donna è stata vittima di diversi episodi di violenza, violenza definita dalla convenzione di Istanbul e dalla cassazione come psicologica, fisica ma anche economica. Ecco perché sarebbe giusto introdurre il reato della violenza domestica.
Quali sarebbero quindi le caratteristiche del reato della violenza domestica?
Basta un solo episodio, una sola minaccia, una sola percossa, una sola lesione, una sola offesa al partner. Questo semplifica enormemente la prova e consente di dare subito tutela e andare rapidamente a processo. Quindi non costringiamo la donna a raccontare tutta la sua vita, a dettagliarla. La tuteliamo subito.
Le leggi che sono in vigore adesso sono sbagliate? Non sono sufficienti quindi?
Le leggi ci sono, ma devono essere però rese più facilmente attuabili. Sia chiaro, anche oggi condanniamo per i reati di maltrattamento, ma è molto complesso. Bisogna semplificare. Ovviamente occorre sempre preparazione e professionalità in questo settore da parte di tutti gli operatori. Ancora, è naturale che le leggi si possono sempre migliorare come sta venendo ora con la proposta di introdurre il delitto di femminicidio.
L’altro problema che bisogna porsi è: ma il reato di violenza domestica deve essere punibile a querela o deve essere punibile d’ufficio? Il singolo episodio deve essere perseguibile a querela perché dobbiamo lasciare alla persona offesa la decisione di rivolgersi o meno al un giudice penale. Vanno però, previste delle aggravanti: come se è commesso o percepito dal minore oppure se ci sono più episodi, allora va prevista una pena più elevata e procedere d’ufficio.
Secondo lei funziona il braccialetto elettronico?
Il braccialetto elettronico per i reati di violenza di genere e ai danni delle donne era facoltativo dal 2013 e veniva applicato poco. Circa 25 in un mese. Dopo la legge Roccella del 2023 è diventato obbligatorio e ha imposto la distanza delle divieto di avvicinamento minima di 500 metri. Siamo passati così ad attivarne 600 al mese. Il problema è che, una volta che sono aumentati, occorreva anche maggior numero, monitoraggio e
software più efficaci. Tutto questo ha comportato numerose criticità: spesso erano un numero non sufficiente (per contratto andavano applicati entro 4 giorni, ma si attendeva anche 20 giorni), suonavano inutilmente gli allarmi oppure gli apparecchi, forse poiché erano stati procurati velocemente, erano difettosi o la batteria si scaricava in poche ore. Con il tempo le criticità sono diminuite. Sono indispensabili.
Lei ha paragonato il responsabile delle violenze criminali all’uomo di mafia, cosa hanno in comune questi due criminali?
L’associazione di tipo mafioso si basa principalmente sul potere di intimidazione e sull’omertà della vittima e delle persone che le stanno intorno.
È esattamente quello che accade per la violenza domestica: c’è l’intimidazione da parte dell’uomo perché mette paura alla donna e al contesto che le sta intorno. E c’è anche omertà. La donna infatti ha paura di denunciare, così come tutto l’ambiente circostante non denuncia. Si ha paura. È un’omertà strutturale perché si tende comunque a tutelare l’uomo o a pensare che bisogna tutelare la famiglia. Quindi questa omertà e questo potere di intimidazione corrisponde esattamente a quello mafioso.
L’altro elemento comune è l’altissimo tasso di recidiva. Nelle associazioni mafiose c’è un tasso di recidiva di oltre il 90 cento. Me ne sono occupato per tanto tempo, in particolare nella confisca dei patrimoni criminali: se viene arrestato il capoclan, questo dal carcere cercherà di fare i famosi pizzini e controllare lo stesso il territorio. Il clan sarà governato dal figlio, dal nipote e continuerà l’attività criminale. Quando il capoclan sarà scarcerato continuerà la sua attività criminosa.
Nel settore della violenza ai danni delle donne c’è un tasso di recidiva – calcolato da una relazione della commissione femminicidio della passata legislatura, quindi qualcosa di
concreto – dell’85 per cento.
Quindi questo è l’altro elemento che ci fa capire che, come nella criminalità organizzata, c’è bisogno di un’attenzione continua per evitare che sia reiterato il crimine, anche dopo il carcere. La stessa cosa deve accadere per la violenza domestica.
La nostra esperienza ci dimostra che anche dopo il carcere gli stessi uomini tentano nuovamente di esercitare violenza nei confronti della stessa donna oppure verso un’altra donna esercitano ugualmente altra violenza.
Come succede nei casi che riguardano mafiosi, lei suggerisce di togliere il patrimonio agli uomini responsabili di violenza domestica….
Va precisato che se un uomo picchia una donna non è che gli possiamo togliere il patrimonio. Come prevede il disegno di legge sul femminicidio, si potrebbero però confiscare tutti gli strumenti che ha utilizzato per commettere la violenza: per esempio il computer, il cellulare, la macchina con cui ha tentato di investire la donna o con cui faceva gli appostamenti. Quindi in questo senso diciamo anche il patrimonio lo possiamo toccare.
Bisognerebbe anche pensare di intervenire sul patrimonio degli uomini che non pagano gli alimenti alle mogli e ai figli quando invece il giudice lo ha stabilito nella separazione. Noi siamo invasi dalle denunce delle donne, siamo invasi di casi di uomini che fanno di tutto per non pagare: al più vogliono dare i soldi direttamente ai figli e non alla madre perché pensano che la donna non li debba avere. Allora io suggerisco di prevedere la confisca obbligatoria: ogni volta che un uomo non paga un alimento bisogna fare delle indagini patrimoniali obbligatorie da parte della Guardia di Finanza, in grado di scoprire le molteplici attività di occultamento del patrimonio, e prevedere il sequestro obbligatorio.

(da Fanpage)

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