IO ME LA CAVO
LA FABBRICA CHIUDE, GLI OPERAI LA RIAPRONO: ALTRO CHE FATALISMO MERIDIONALE
C’era una volta, ed era appena due anni fa, una multinazionale portoghese che per le solite logiche finanziarie incomprensibili a noi umani chiuse il suo stabilimento napoletano di cavi d’acciaio, nonostante esportasse con profitto in tutto il mondo.
Gli operai e gli ingegneri non capirono, si arrampicarono sui tetti, presidiarono giorno e notte i preziosi macchinari.
Per un po’ si illusero che qualcuno venisse a salvarli. Poi compresero che ciascuno si salva da solo. Purchè non sia solo, e loro per fortuna erano tanti, uniti dallo stesso bisogno e dallo stesso sogno.
Così decisero di investire i proventi della liquidazione, venticinquemila euro a testa, nell’acquisto dell’azienda.
A dispetto dei luoghi comuni sul fatalismo meridionale, rinunciarono ai soldi con cui avrebbero potuto campare decorosamente almeno qualche mese per comprarsi la possibilità di tornare a lavorare.
Lo stabilimento venne rimesso all’onore del mondo con l’aiuto di tutti: chi ridava il bianco, chi potava gli alberi, chi aggiustava i rubinetti dei bagni.
Anche gli antichi clienti si rifecero sotto, un po’ per tenerezza e molto per convenienza, perchè alla Wbo Italcables di Caivano sono davvero bravi.
E con l’approssimarsi del Natale, come in ogni favola che si rispetti, arrivò il lieto fine.
Ieri il primo carico di cavi d’acciaio diretto a Houston ha varcato i cancelli della fabbrica e negli occhi di quegli uomini rotti a tutte le intemperie è spuntata persino qualche lacrima.
Li accompagni l’eco dei nostri applausi. Certe favole sono contagiose.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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