LA LEGGE SUI RANDAGI ESISTE E VA APPLICATA
IL VOLONTARIATO ZOOFILO E’ CAMBIATO: PRIMA SI OCCUPAVA DELLE CURE, ORA SI BATTE PER I DIRITTI DEGLI ANIMALI
La 281 del 1991, legge italiana sul randagismo, fu salutata come provvedimento illuminato e avveniristico.
Ancora oggi, sulla carta, rimane al riguardo una delle normative più avanzate al mondo.
Se quasi dappertutto, salvo eccezioni, dopo brevi soggiorni nei canili gli animali vengono soppressi (dalle camere a gas USA agli immacolati ricoveri svizzeri, fino alle pratiche della civile Gran Bretagna) da noi non si può, ed è pure espressamente vietato destinare cani e gatti randagi alla vivisezione: un caposaldo che dovrebbe impedire il recepimento di un punto della nuova direttiva UE sulla sperimentazione animale, altrimenti assorbito dagli altri stati membri.
Peccato però che altri aspetti indispensabili a far funzionare questa legge quadro vengano del tutto disattesi: responsabilità delle amministrazioni locali, obbligo di effettuare sterilizzazione sul territorio, cultura e sensibilizzazione presso i cittadini. Senza, ogni regione fa da sè, con il risultato di un ininterrotto ciclo di nascite, catture, ricoveri, mostruosità , su cui naturalmente ruota un’intera economia.
“Benchè avesse molti nemici fra asl e comuni, che trovavano più semplice uccidere gli animali, la 281 poteva e doveva funzionare,” dice Annamaria Procacci, tre volte deputato e una senatore con i Verdi, oggi consigliere nazionale dell’ENPA-Ente Nazionale Protezione Animali.
Fu lei, nel 1998, a presentare in Parlamento la proposta che dette il via alla legiferazione: “I canili dovrebbero essere solo strutture di transito, basta con le gare al massimo ribasso. Nessuno sa che tante regioni del sud nemmeno attinsero ai contributi di questa legge finanziaria per attuare le debite politiche di sterilizzazione e educazione.”
Spesso infatti è più conveniente rimanere nell’illecito, per censire i cani i comuni dovrebbero contrarre un’assicurazione, mettersi in regola: si preferisce continuare a produrre animali, avviandoli magari a traffici oscuri o sbolognandoli sulle spalle del volontariato.
“Sulla generosità e l’abnegazione degli italiani le istituzioni contano sempre di più, ma le prospettive non sono liete,” avverte Sara Turetta, fondatrice di Save the Dogs straordinario progetto per salvare cani, gatti e anche equini dagli eccidi della Romania.
“Negli ultimi due, tre anni il volontariato registra una forte crisi, una flessione del 30-50%. La disponibilità delle persone è calata drammaticamente perchè non c’è ricambio generazionale. A pulire le gabbie, accudire gli animali, ma pure per seguire quotidianamente una pagina di facebook, sono rimaste persone dai 35 in su,” prosegue. “I ventenni oggi vivono un profondo smarrimento, sono incapaci di applicazione costante. Materialismo, individualismo, invito al divertimento, li spingono magari alla manifestazione, ma l’entusiasmo finisce lì.”
Secondo Roberto Marchesini 3, etologo e studioso del rapporto uomo-animale “dagli anni 80 a oggi il volontariato zoofilo è cambiato, passando dal prendersi cura materialmente degli animali al concetto di battersi per i loro diritti.”
Niente più gattare e briciole ai colombi, dunque, in favore della lotta?
“I contenuti dell’attivismo sono importanti e si sono anche ottenuti risultati di grande rilievo, forse un po’ a spot. Ancora manca una vera rete sociale di assistenza per gli animali, ed è vero che i più giovani tendono ad avvertire un senso di appartenenza solamente con quanto ha visibilità mediatica. Mentre il rapporto diretto con l’animale di cui ti prendi cura non è sotto i riflettori: l’appagamento vive solo nella gioia di avergli portato sollievo.”
Margherita d’Amico
(da “La Repubblica“)
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