LA RABBIA DI BERLUSCONI ISOLATO A BRUXELLES: “QUESTI VOGLIONO TENERCI FUORI”
FREDDEZZA DEGLI ALLEATI NEI CONFRONTI DEL PREMIER ITALIANO, UNICO TRA I LEADER EUROPEI CHE NON SI PRESENTA ALLA CONFERENZA STAMPA…”QUA FANNO SOLO CHIACCHIERE, IO I FATTI, NON CONOSCONO NEACHE IL DIRITTO INTERNAZIONALE”… E RECITA SCENA MUTA, DIMENTICANDOSI PERSINO DI PERORARE LE RICHIESTE DELLA LEGA
«Questo è un vertice fatto di chiacchiere. Io sto zitto e aspetto il momento giusto per passare ai fatti».
Silvio Berlusconi a Bruxelles rimane in silenzio.
Per due giorni si nega alla stampa facendosi scudo con un motto per lui – comunicatore per antonomasia – del tutto inedito: «Non avete ancora capito che governare è fare, non dichiarare», dice ai cronisti.
Unico tra i leader del continente, non risponde del suo operato al summit europeo, evita le domande scomode su Libia e Gheddafi, sul Patto di stabilità e sulla politica, ma prima di tornare a Roma si limita a dire che è «soddisfatto» per la guida Nato di Odissey Dawn e per il comando italiano delle operazioni navali.
Tanto che agli alleati si spinge a promettere nuovi aerei e quattro navi, tra cui la portaerei Garibaldi.
Eppure il Cavaliere è nero. Glielo si legge in faccia.
Lo conferma chi ha assistito alle riunioni del Consiglio europeo.
Una fonte comunitaria racconta che «il premier è entrato nella sala e, al posto di scambiare i normali convenevoli con gli altri leader, scuro in viso si è seduto e ha iniziato a leggere».
E’ un premier isolato. E furibondo.
Con la stampa, per le indiscrezioni sulla cena con i Responsabili di mercoledì scorso spesa tra canti (anche ironici su Fini) e barzellette mentre il Paese è di fatto in guerra.
Ma soprattutto per il nuovo strappo di Sarkozy e Cameron che nel chiuso delle riunioni provano a far passare l’idea di piccoli interventi con truppe a terra in Libia e in conferenza stampa annunciano una nuova iniziativa che taglia fuori l’Italia.
«Quei due fanno finta di non conoscere il nostro ruolo a Tripoli», commenta il premier con i collaboratori.
Ma sono ignoranti «non conoscono il diritto internazionale» e le loro iniziative «non vanno da nessuna parte».
Nei colloqui riservati si dice certo che l’ostinazione con cui Sarkozy cerca di escludere l’Italia è dettata dal calcolo politico: vuole fare affari nel dopo-Gheddafi «sostituendo la nostra presenza economica e commerciale».
Ma forse il Cavaliere dimentica l’irrilevanza ormai cronica di Roma quando in Europa ci sono da prendere le grandi decisioni.
In realtà l’illusione del premier è quella di tornare in gioco in un secondo momento, se e quando si aprirà uno spiraglio per risolvere la partita libica. Certo, sarebbe più facile se l’Italia non fosse entrata in Odissey Dawn.
Tanto che il Cavaliere nella cena con i partner Ue si lascia andare e alla Merkel dice: «Forse hai fatto bene tu a restare fuori dall’alleanza».
Una frase che resta ben impressa alla delegazione tedesca, stupita da parole tanto in contraddizione con le responsabilità assunte dall’Italia nella coalizione dei volenterosi (che Berlusconi però non mette in dubbio).
Per il resto il Cavaliere è taciturno, anche quando vengono affrontati gli altri temi in agenda.
Tanto che nei riassunti dei diplomatici il suo nome compare pochissimo, perfino meno di quello del maltese Lawrence Gonzi.
Berlusconi ha paura di perdere ancora terreno. Pensa ad un vertice internazionale sulla Libia a Napoli, ma è ancora un’ipotesi.
Si racconta che nella sua suite all’hotel Conrad campeggiasse un’enorme cartina della Libia sulla quale si è a lungo concentrato.
Si tiene pronto a mediare con Gheddafi, pur conoscendo tutti i rischi di una simile impresa.
Per ora, grazie al ministro degli Esteri Frattini, lavora ad un’iniziativa multilaterale portata avanti dall’Unione Africana. Punta a convincere il raìs al cessate il fuoco.
Dopo scatterebbe la fase due, quella «del fare», come la chiama un Berlusconi tentato ad entrare in gioco in prima persona.
Se ormai ha capito che il Colonnello è perso, vuole almeno provare la via dell’esilio salvandogli la vita.
Ma dovrà convincerlo a passare la mano ad un uomo di fiducia che tratti una «riconciliazione» con gli insorti.
Intanto una soddisfazione arriva dal viaggio in Tunisia di Frattini e Maroni che, grazie ai buoni uffici dell'”amico” Tarek Ben Ammar, parlano di immigrazione con le nuove autorità .
Una missione della quale il premier si complimenta con un comunicato. Anche perchè sulle promesse fatte alla Lega per salvare il governo (scudo navale e ripartizione dei rifugiati nella Ue) a Bruxelles non ha ottenuto niente. Anzi, non ne ha proprio parlato.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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