LA VOCE DEL PADRONE SU REGOLE DELLA PAR CONDICIO, SALARIO MINIMO E AUTONOMIA
LA DITTATURA DI UNA MINORANZA SULLA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI
Il sospetto è forte. E si va facendo sempre più forte in vista delle europee, che sono un bel busillis e un banco di prova.
Ma la maggioranza dice che, se la maggioranza è maggioranza, qualcosa dovrà pur contare.
Quindi ha approvato un salvacondotto per i governanti affinché non abbiano restrizioni di tempo sulle reti radiotv pubbliche in campagna elettorale per il voto dell’8 e 9 giugno. Il ragionamento è stato: è diritto dei governati, cioè dei cittadini, sapere per filo e per segno cosa è stato fatto e cosa si farà per loro. Ma se l’è visto di fatto bocciare dall’Agcom, che ha ricordato i termini di legge sulla par condicio.
Non ci sarà perciò un Matteo Salvini che mette il primo mattone di qualcosa da qualche parte, e abbia tempi e spazi d’informazione in più in Rai? Non dovrebbe. A meno di non rischiare una bella multa.
A fare da “baco” nella forzatura di maggioranza (ma Maurizio Gasparri si è autodefinito “pacificatore”), ci si è messa Forza Italia, che non aveva interesse a consentire al governo di strafare e ha ricordato la legge sulla par condicio.
Altro esempio di maggioranza strabordante ogni regola è stato il salario minimo. Presentata dalle opposizioni la misura di un salario minimo legale a 9 euro l’ora, era in aula alla Camera nel mese di luglio scorso. Poi il governo votò un rinvio di tre mesi, quindi parere del Cnel, ritorno in commissione Lavoro, infine approvazione di un emendamento sostitutivo del disegno di legge per trasformarlo in delega al governo. E tanti saluti al salario minimo che la maggioranza non vuole. Da qualche parte la delega giace.
Sulla sbandieratissima autonomia leghista si va a colpi di acceleratore. Il federalismo “ à la carte”, ovvero ogni Regione si prende le competenze che vuole delle 23 a disposizione (dalla scuola alle reti di energia alle infrastrutture), è in corsa contro il tempo per approdare nell’aula della Camera il 29 di aprile. Data simbolica, prima che finisca il mese.
Ma sempre in base a un accordo di maggioranza – al di là delle rimostranze dell’opposizione – l’approvazione definitiva dell’autonomia potrebbe slittare immediatamente dopo le europee. Anche perché pure il premierato, orgoglio meloniano, è in mezzo al mare parlamentare. Resta il fatto. La tendenza della destra a far sentire la voce del padrone, che la si chiami dittatura della maggioranza o solo “faccio come mi pare e chissenefrega”, è inesauribile.
(da La Repubblica)
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