LE TRE PISTE SULL’OMICIDIO DI VLADLEN TATARSKY: DIETRO ALL’ASSASSINIO DEL BLOGGER MILITARE POTREBBERO ESSERCI I SERVIZI UCRAINI, COME PER DARYA DUGINA, OPPURE LA RESISTENZA INTERNA RUSSA
MA C’È ANCHE CHI EVOCA UN PIANO INTERNO PER ISOLARE LA BRIGATA WAGNER, CHE STA DIVENTANDO UNA SPINA NEL FIANCO DI PUTIN… IL RITRATTO: L’INFANZIA IN UCRAINA, L’ARRUOLAMENTO NELLA GUERRA DEL DONBASS, POI LA TRASFORMAZIONE IN PROPAGANDISTA PUTINIANO
Nato ucraino, cresciuto minatore, fattosi bandito, Maksim Fomin nella sua quarta vita è stato uno dei più accesi nazionalisti russi.
Come a voler cancellare la colpa di essere venuto al mondo a Makiivka, nella regione di Donetsk, al momento dell’invasione su larga scala è andato a combattere nel Donbass e, contemporaneamente, faceva il corrispondente di guerra per la Russia: 41 anni, blogger militare tra i più seguiti, ha animato con dibattiti al limite del delirio storico frequentatissimi canali su Telegram. Il primo, da mezzo milione di follower, è il suo personale.
Per più di un anno lo ha aggiornato con messaggi quotidiani firmati con lo pseudonimo Vladlen Tatarsky. Non un nome qualunque. Vladlen Tatarsky è il protagonista del libro culto “Generazione P” del visionario russo Viktor Pelevin, che racconta della fine dell’Unione Sovietica, dell’ingresso della società russa nel consumismo, di droghe e di mitologia mesopotamica.
Come l’alter ego letterario, anche il Tatarsky blogger considerava la Russia l’unico orizzonte possibile e plausibile. Di questa monolitica convinzione ha intriso i suoi diari di guerra. Gli ucraini lo consideravano tra i più influenti propagandisti di Mosca. E non tutti i russi lo apprezzavano. «È un ucraino che critica Putin, non dovrebbe avere questo successo », dicevano i detrattori.
Da giovane fatica in una miniera di carbone a Donetsk. Poco più che trentenne per una rapina in banca finisce in carcere a Gorlovka, da cui riesce a evadere grazie allo scoppio del conflitto nel Donbass.
È il 2014. Da latitante imbraccia il fucile e si unisce ai separatisti, per lui unica garanzia di impunità. Per due anni è in prima linea, in seguito entra in un’unità di intelligence. Accumula esperienza militare, come si capisce leggendo uno dei suoi canale Telegram, Rsotm (acronimo per Reverse side of the moon), dove a 354 mila follower fino a ieri spiegava tattiche di assalto e di difesa.
Nel 2019 si trasferisce a Mosca. Entra in contatto e posta foto con Darja Dugina, figlia del filosofo estremista Aleksandr Dugin, uccisa il 20 agosto scorso in un attentato.
Lo scorso settembre Putin lo invita alla cerimonia di annessione delle quattro regioni ucraine occupate. In quell’occasione registra un video, poi diffuso sui social, in cui dice: «Sconfiggeremo chiunque, uccideremo tutti, ruberemo tutti coloro a cui dobbiamo rubare. Tutto sarà come vogliamo noi. Andiamo, Dio ci assiste».
Fomin, alias Tatarsky, gravita nell’orbita di Evgeny Prigozhin e della Brigata mercenaria Wagner. Come il fondatore, si lamenta spesso del ministro della Difesa, delle operazioni militari condotte dallo Stato maggiore e dell’efficienza dell’arsenale russo. Inneggia al genocidio ucraino e invoca lo sterminio degli inermi. «Bisogna colpire le infrastrutture civili, in particolare le centrali elettriche».
L’ultimo messaggio è delle 15 di ieri. Fomin pubblica la foto di un enorme manifesto a Mosca che invita ad arruolarsi nella Brigata Wagner. Poco dopo, a San Pietroburgo il busto scolpito a sua immagine consegnatagli come regalo da una donna è esploso, uccidendolo al numero 25 di Universitetskaja naberezhnaja, dove nel weekend si riuniscono i cyber-guerrieri russi. Quel bar una volta era di Prigozhin.
Gli ucraini consideravano Tatarsky un bersaglio di alto profilo perché era un blogger da mezzo milione di follower che appoggiava una linea genocida, predicava che il massacro di Bucha era stato una scelta giusta perché aveva intimidito l’Occidente e che i soldati russi impegnati nell’invasione avevano il diritto di uccidere e saccheggiare.
In questi mesi di conflitto ci sono già state operazioni spettacolari compiute a sorpresa e molto in profondità nel territorio controllato dai russi – con un movente simbolico. Il 20 agosto una bomba ha ucciso vicino a Mosca Daria Dugina, figlia del propagandista russo Alexander Dugin
In quell’occasione, tra i possibili responsabili era stato fatto anche il nome di Kyrylo Budanov, il generale trentasettenne che dirige la Gur, l’intelligence militare dell’Ucraina. Il governo di Kiev aveva respinto l’accusa. Il 5 ottobre però il New York Times aveva pubblicato uno scoop che sosteneva, grazie a fonti dell’intelligence americana, che l’omicidio della Dugina fosse il risultato di un’operazione pianificata da un non meglio specificato settore del governo ucraino.
(da La Repubblica)
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