L’IDEA DEL MINISTERO DEL TESORO: DUE MILIARDI RISPARMIATI SULLE PENSIONI DA DESTINARE AGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI
ACCORDO VICINO SU CASSA INTEGRAZIONE, SUSSIDI E APPRENDISTATO… RIMANE IL NODO DELL’ART. 18: IL GOVERNO PENSA DI ELIMINARE IL REINTEGRO OBBLIGATORIO IN CASO DI LICENZIAMENTI PER MOTIVI ECONOMICI
Riforma del lavoro: si riparte. Oggi, il vertice fra governo e parti sociali potrebbe portare ai primi risultati, anche perchè il tempo stringe (Monti ha confermato l’intenzione di chiudere la partita entro il 25 marzo) e alcuni nodi si vanno sciogliendo.
Quello delle risorse innanzi tutto.
Per garantire il nuovo meccanismo di ammortizzatori sociali che entrerà in vigore dal 2017 servono coperture.
Il governo le avrebbe trovate (due miliardi circa) attingendo ai risparmi che si otterranno dalla riforma delle pensioni.
Il Tesoro, che voleva destinarli solo al risanamento, si sarebbe ora convinto a metterli sul tavolo: “Me li hanno promessi”, ha detto il ministro del Lavoro Elsa Fornero.
Il piano dunque si delinea: oltre alla cassa integrazione ordinaria (prevista per difficoltà temporanee) resterà in vigore anche quella straordinaria, ma sarà concessa solo in caso di ristrutturazioni, non più in caso di cessazione aziendale come finora previsto.
Dal 2017 scomparirà la mobilità , ma continuerà ad essere versato l’assegno di disoccupazione.
Ma se sul piano degli ammortizzatori la trattativa procede e su quella dei contratti e dell’apprendistato sembra arrivata a buon punto (il governo sarebbe intenzionato a “stringere” oggi stesso), resta da risolvere il nodo dell’articolo 18 e della flessibilità in uscita.
Il tema non sarà affrontato nel vertice di questo pomeriggio, ma nei prossimi giorni il ministro Fornero dovrebbe procedere con incontri bilaterali.
L’idea sulla quale il governo sta lavorando è quella di estendere l’indennizzo (senza l’obbligo di reintegro sul posto di lavoro) anche ai casi di licenziamento economico (legato a crisi in atto). Una versione più rigida potrebbe prevedere il solo indennizzo, e non la riassunzione, anche in caso di licenziamento per motivi disciplinari (per esempio assentesimo).
Già si sa che se Cisl e Uil sono disposte ad aperture, la Cgil non accetterà mai modifiche di questa portata. I possibili scenari, a quel punto, sarebbero due: la Camusso non firma la parte riguardante l’articolo 18 (ma Cisl e Uil non saranno favorevoli ad assumersi da soli il peso delle nuove regole).
Oppure le parti sociali non saranno chiamate a firmare il punto, ma esprimeranno solo il loro parere.
D’altra parte il governo ha sempre precisato che, con o senza sindacati, la riforma si farà .
Apprendistato
Via alla certificazione per evitare gli abusi
E’ il capitolo sul quale sarà più facile trovare l’intesa, visto che sia le imprese che i sindacati già concordano sul fatto che il contratto d’apprendistato debba diventare – per i giovani – la forma d’ingresso prevalente nel mondo del lavoro.
Questo pomeriggio il tema sarà all’ordine del giorno del vertice convocato al Ministero del Lavoro con le parti sociali. Il governo è intenzionato a potenziare questa forma di contratto, purchè al lavoratore sia effettivamente data una formazione che gli consenta di maturare professionalmente.
Per evitare che l’azienda utilizzi questa formula solo per risparmiare potrebbe essere quindi inserito l’obbligo di certificazione della formazione fornita.
Il ministro Fornero ha più volte parlato di “tolleranza zero” verso l’uso improprio dell’apprendistato.
Di fatto l’azienda che assume un apprendista ottiene benefici contributivi e ha la possibilità di inquadrare il dipendente due livelli sotto il grado effettivamente spettante.
Se poi l’impresa, alla fine del periodo di apprendistato, assumerà definitivamente il lavoratore potrà godere di ulteriori “sconti”.
Secondo i dati di Confartigianato oggi gli apprendisti sono oltre 530 mila, nel lavoro dipendente il 19,5 per cento dei giovani già entra in azienda grazie a questo contratto.
Ammortizzatori
Sì alla Cig straordinaria per le ristrutturazioni
È uno dei capitoli centrali del piano e i punti fermi sono due: la riforma degli ammortizzatori sociali entrerà in vigore solo nel 2017 e per vararla necessita di coperture economiche.
La convocazione di oggi nasce proprio dal fatto che il governo avrebbe trovato i fondi: il Tesoro sarebbe disposto a mettere sul tavolo circa di 2 miliardi, finanziati attraverso la riforma delle pensioni.
I risparmi ottenuti grazie alla nuova previdenza sono infatti notevoli: 6 miliardi saranno già disponibili dal 2013, circa 23 entro il 2017.
Il governo – su richiesta del ministro Fornero – di sarebbe convinto di stornarne una quota vantaggio degli ammortizzatori.
Le aziende e i lavoratori continueranno a versare la loro parte di contributi: per le medie-grandi imprese poco cambierà (anche perchè dal 2017 non pagheranno più lo 0,30 per cento sul monte salari a copertura della mobilità ), le piccole invece (chiamate ora contributi minimi) dovranno gradualmente versarne di più.
Quanto agli strumenti adottati, oltre alla cassa integrazione ordinaria (utilizzata in caso di difficoltà temporanea) resterà in vigore anche quella straordinaria.
Sarà però limitata rispetto al modello attuale: le aziende potranno accedervi solo in caso di ristrutturazione, non più in caso di cessazione.
Dal 2017 scomparirà la mobilità e resterà l’assegno di disoccupazione.
Contratti
Scoraggiati quelli precari, stop alle finte partite Iva
Assieme all’apprendistato, è uno dei punti sui quali il governo intende chiudere in fretta la partita, possibilmente oggi stesso.
Parte degli obiettivi è già condivisa: le formule contrattuali sono troppe, va limitato l’uso di quelle improprie e va resa più costosa la flessibilità in entrata.
Nel mirino ci sono soprattutto le false collaborazioni (che spesso nascondono rapporti esclusivi) e le partite Iva fittizie (quando il dipendente, per svolgere l’incarico continuativo, è praticamente costretto ad aprirne una).
Si tratta di formule utilizzate soprattutto nel campo dei servizi e sono definite, in questi casi, d’entrata “cattiva”, perchè non assicura tutele e prospettive occupazionali ai lavoratori che invece ne avrebbero maturato il diritto.
Per evitare il ricorso a queste formule “mascherate” si parla di intensificare i controlli nelle aziende e di eliminare la monocommittenza.
Resta però da risolvere il problema dei disincentivi: come rendere più costosa la flessibilità in entrata, “buona” o “cattiva” che sua?
Ai sindacati l’idea di un costo aggiuntivo (anche a vantaggio del salario)piace molto, le aziende invece sono contrarie a qualsiasi introduzione di costi-extra.
Chiedono semmai di facilitare l’utilizzo della somministrazione, eliminando alcune clausole che ne vincolano il ricorso.
Articolo 18
Obbligo della riassunzione solo nelle discriminazioni
Resta il punto più difficile della trattativa, tanto che il vertice di oggi non lo affronterà . Sull’articolo 18 la spaccatura resta, anche se il governo sta lavorando ad un compromesso.
Nei prossimi giorni il ministro Fornero approfondirà il tema in confronti bilaterali, ma la soluzione che sta prendendo piede è quella di mantenere la norma dello Statuto dei lavoratori, cambiandola.
In un punto però essenziale: l’intenzione è quella di prevedere l’indennizzo – senza reintegro sul posto di lavoro – anche in caso di licenziamento per motivi economici, ovvero per crisi in atto. Si parla anche di una versione più rigida e di un possibile risarcimento senza riassunzione esteso ai licenziamenti per motivi disciplinari (assenteismo prolungato per esempio).
Se così fosse l’articolo 18 e l’obbligo di reintegro da parte dell’impresa resterebbe valido solo per licenziamenti legati ad atti discriminatori.
Le aziende sono chiaramente d’accordo, possibili aperture da Cisl e Uil, chiusura totale della Cgil. Gli scenari possibili diventerebbero due: la Cgil non firma questa parte della riforma, gli altri sindacati sì (ma Cisl e Uil non sarebbero contenti di condividere da soli la parte più ostica della riforma).
Oppure il possibile escamotage: le parti sociali non saranno chiamate a firmare, semplicemente esprimeranno un giudizio.
Luisa Grion e Roberto Mania
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply