LO STORICO FRANCO CARDINI: RAGAZZI D’OCCIDENTE, STUDIATE LA CINA
DUE SECOLI DOPO LE IMPOSIZIONI COLONIALI, PECHINO MOSTRA TUTTA LA SUA SUPERIORITA’ TECNOLOGICA E CULTURALE… UNA LEZIONE A VALDITARA
Il documento del ministero dell’Istruzione (e del merito, sic), energicamente voluto da Valditara e dedicato all’insegnamento primario e secondario della scuola, insiste sul primato da conferire allo studio dell’Italia e dell’Occidente: e al riguardo consiglia addirittura, tra l’altro, di tornar a proporre ai nostri ragazzi la pagina deamicisiana sulla “Piccola vedetta lombarda”.
Quindi sulla guerra austropiemontese del 1848-49. Nulla di più appropriato. Anche per introdurre i giovani alla comprensione del presente attraverso lo studio del nostro passato. Il biennio aperto dalle “Cinque Gloriose”, le giornate di Milano del marzo 1848, si situa cronologicamente prossimo a un evento non privo di somiglianze con esso. Alludiamo alla “prima guerra dell’oppio” del 1839-42, evento capitale nella storia dei rapporti euroasiatici.
In effetti la rivolta dei milanesi contro il governo austriaco del regno lombardo-veneto cominciò con una serie di banali incidenti: il commercio del tabacco era divenuto monopolio di stato, coi relativi proventi governativi, i patrioti milanesi ne organizzarono il boicottaggio. Violenze di poliziotti e soldati austriaci sui cittadini, tese a obbligarli a fumare, segnarono l’inizio dell’insurrezione sfociata nel conflitto. Esempio di come una “guerra commerciale” può determinare una guerra tout court. E i patrioti italiani, che oggi plaudono al documento scolastico di Valditara, possono gioire: la resistenza popolare a un’imposizione commerciale e daziaria ingiusta fu causa della Prima Guerra d’Indipendenza.
In alto il tricolore, dunque! Ma attenzione. Perché vi sono state nel passato – e magari ci sono ancora – imposizioni daziarie e guerre commerciali illegittime, come quella austriaca del 1848,
senonché i nostri giovani potrebbero chiedersi se per caso non ve ne siano anche di giuste e legittime, come quelle imposte a noi europei da Trump e dinanzi la quale la “nostra Europa”, a differenza dei milanesi di quasi un paio di secoli fa, si è in qualche modo adattata (che, con espressione inelegante ma efficace, si definisce “calar le brache”).
Ma non ce ne son state anche di legittime? A esempio, non era tale la “prima guerra dell’oppio” durante la quale la sacrosanta opposizione cinese all’ingresso forzato dell’oppio nel Celeste Impero, voluto dagli esportatori inglesi, fu stroncata da una feroce guerra coloniale che fece strame della giustizia nel nome dell’interesse della prima potenza mondiale, l’occidentalissima Sua Maestà Britannica?
Esiste quindi la possibilità dei soliti “due pesi e due misure”, che due eventi simili possano esser suscettibili di due giudizi opposti? La risposta chiama di nuovo in causa Trump, prima come controparte e quindi come protagonista di due distinte nuove guerre commerciali. Ma per chiarire la cosa bisogna prenderla un po’ larga
Cominciamo dal fentanyl: oppioide sintetico usato come potente analgesico, per trattare dolori post-operatori o cronici nei malati oncologici. È da 50 a 100 volte più potente della morfina, e l’efficacia lo rende utile in contesti clinici, ma anche assai pericoloso per abuso e overdose. Fu sintetizzato nel 1960 dal chimico belga Paul Janssen, fondatore della casa farmaceutica Janssen Pharmaceutica, oggi parte del gruppo Johnson & Johnson, che l’introdusse negli Usa con vari nomi commerciali. E dagli anni 2000 è poi emerso come e “droga da strada”,
mischiato ad altre sostanze, rendendo difficile dosarlo e aumentando il rischio d’overdose anche con quantità minime. Tale droga è alla base di una crisi sanitaria negli Usa, causando oltre 70.000 morti per overdose nel solo 2023. L’alta letalità, l’economicità di produzione e la diffusione capillare han reso difficile il controllo.
La crisi ha innescato tensioni geopolitiche: Washington accusa Pechino di non far abbastanza per fermare produzione ed esportazione di precursori chimici usati per sintetizzare il fentanyl, spesso inviati a laboratori clandestini in Messico, dove i cartelli della droga trasformano le sostanze in fentanyl per lo spaccio negli Usa.
Nel 2019 la Cina ha formalmente proibito il fentanyl e i suoi analoghi: ma gli Usa ritengono che le misure siano blande e aggirabili. Nel 2023-2024, il tema è riemerso nei colloqui bilaterali sino-statunitensi: Washington ha minacciato sanzioni contro aziende cinesi coinvolte nella produzione chimica; Pechino respinge le accuse dirette e denuncia la strumentalizzazione politica della crisi. Il fentanyl è dunque divenuto anche campo di scontro diplomatico ed economico tra le due superpotenze. Chi ha ragione? E ora, con la “guerra dei dazi” di Trump? O patrioti sempre pronti a sostenere le ragioni dell’Occidente ma incerti quando si tratta di scontentare il “potente alleato” di Washington, state in campana. Rischiate di condannare con le vostre stesse argomentazioni la causa che sostenete.
Nel primo Ottocento, la bilancia commerciale sino-britannica era favorevolissima alle floride esportazioni cinesi (tè, seta,
porcellane, manufatti in bronzo eccetera), alla quale gli inglesi tentavano di rispondere con l’unica merce disponibile: l’oppio indiano importato illegalmente in Cina in quanto causava diffusa dipendenza tra i cinesi e un pesante deflusso di argento. L’imperatore cinese ordinò nel 1839 confisca e distruzione delle scorte di oppio presenti a Canton. La reazione militare britannica fu brutale: la Cina, tecnologicamente arretrata, fu sconfitta; e il trattato di Nanchino (1842) costrinse Pechino a cedere Hong Kong, aprire 5 porti al commercio e garantire extraterritorialità ai britannici. Quello di Hong Kong è considerato il primo dei cosiddetti “trattati ineguali”. Seguì una seconda “guerra dell’oppio”, nella quale entrò anche la Francia di Napoleone III, che si concluse col trattato di Tiansin (1858) e la convenzione di Pechino (1860), con i quali il Celeste Impero fu costretto ad aprire nuove città al commercio straniero, ad accettare il diritto delle missioni cristiane d’operare nel paese e legalizzare formalmente il commercio dell’oppio.
Così ebbe inizio, con la sconfitta per la Cina e la vergogna per l’Occidente liberale responsabile di una violenza senza nome, quel processo storico che tuttavia ha condotto oggi, meno di due secoli più tardi, a una situazione in cui la Cina si avvia verso il primo posto della potenza politica e nel primato scientifico, economico e culturale nel mondo.
Tutto ha avuto avvio con un esemp d’imperialismo economico: una potenza occidentale imponeva con la forza il commercio di una sostanza dannosa per lucrare su uno squilibrio commerciale. Ecco un modello di rosminiana “eterogenesi dei fini”: il liberismo, “democratico” in Occidente e aggressore senza
scrupoli in Oriente, che ha causato al mondo due guerre mondiali e si è scavato da solo la fossa.
Visitatela oggi la mirabile Shanghai: metropoli nata da quell’atto di violenza, il luogo dal quale è partita la storia di una Cina che, vinta, ferum victorem cepit: ha battuto chi l’aveva soggiogata. Visitate il Bund, lo splendido viale lungofiume su cui si allineano sedi bancarie e finanziarie degne di Wall Street e grattacieli che ormai hanno superato lo skyline di New York. Vale davvero la pena, ministro Valditara, che i nostri ragazzi imparino soprattutto la storia dell’Occidente? O che magari non imparino piuttosto, con l’esempio della “vittoria di Pirro” d’Inghilterra e Francia sulla Cina dell’Ottocento, una world history rinnovata e aggiornata?
Franco Cardini
(da ilfattoquotidiano.it)
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