MISS ITALIA CANCELLATA: MEGLIO TARDI CHE RAI
QUANDO IL PD NON SPOSA SOLO LE CAUSE PERSE, MA ANCHE QUELLE SBAGLIATE
“Prima di cancellare un evento che è entrato nella storia del costume, con grave danno economico per l’indotto, si può ripensare la formula”; delle dichiarazioni con cui la senatrice del Pd Silvana Amati ha accompagnato l’interrogazione parlamentare sul perchè la Rai abbia deciso di sciogliere il rapporto con Miss Italia, questa è la più surreale.
Che una rappresentante della sinistra scenda in campo a difesa del decano dei concorsi di bellezza, e lo consideri un patrimonio culturale da proteggere, in sè non farebbe notizia.
È solo una riprova in più che il Pd non sposa solo le cause perse, ma anche le cause sbagliate.
A noi sembra invece che bisognerebbe fare per una volta i complimenti a viale Mazzini e al suo presidente Anna Maria Tarantola per avere tenuto fede al proposito di cancellare la grottesca liturgia che Miss Italia era divenuta grazie alla connivenza della tv.
Tra anteprime, selezioni, quarti di finale e finalissima le ragazze in due pezzi erano arrivate a colonizzare un mese di palinsesto, con un coefficiente di noia mortale che si impennava in misura inversamente proporzionale agli ascolti.
Dice: ma Miss Italia è un simbolo. Appunto.
Un simbolo dell’Italietta anni Cinquanta, divenuta troppo provinciale perfino per il paese più provinciale (e maschilista) d’Europa.
Ci sarebbe casomai da chiedersi perchè il servizio pubblico si sia ostinato a far palinsesti d’oro a queste adunate nordcoreane di fanciulle in costume da bagno; e, con buona pace della senatrice Amati, a che scopo le abbiano provate tutte per rianimare questo triste reperto di strapaese.
Abbiamo avuto l’annata delle miss intellettuali, l’annata della “personalità ” (già cantata da Caterina Valente), e naturalmente l’annata del talento.
Il talento! chi lo voleva vedere in faccia, chi cercava “una certa luce negli occhi”, chi voleva sentirsi mozzare il fiato in diretta (noto effetto collaterale del talento); il direttore Sandro Mayer, habituè della giuria, dilatava le narici con aria ispirata da sommelier, e invocava “l’odore del talento”.
Non è servito a niente, naturalmente, come non è servito a niente passare la conduzione da Fabrizio Frizzi a Loretta Goggi, a Carlo Conti, a Milly Carlucci, fino al ritorno di Fabrizio Frizzi (ciao Darwin).
Anno dopo anno, per interminabili serate di inizio settembre, agli spettatori ancora mezzo intontiti dal rientro dalle ferie Raiuno ha dato il colpo di grazia con quelle falangi macedoni affidate alla verve di Frizzi e costruite sull’identico elevato all’ennesima potenza (sotto questo profilo, un’ottima metafora di gran parte della tv di oggi).
Un format diventato nel tempo sempre più simile alle estrazioni del lotto.
Numeri, gambe, sorrisi, pianti, prefissi e televoti scanditi in una diretta potenzialmente infinita, mentre scorrevano i primi piani marmorizzati delle concorrenti.
Va bene che erano più espressive delle palline del superenalotto (seppure di poco); ma come si fa a far durare un’estrazione quattro ore?
Povere miss, brave ragazze sopravvissute a un’idea di donna oggetto ormai estinta, perchè anche l’oggettistica si evolve; sono rimaste solo loro a credere che per sfondare bastino una passerella e Fabrizio Frizzi.
Se davvero le telecamere si spegneranno per sempre, forse qualcuno gli spiegherà che sono ci ben altri casting, altri presentatori, altri talenti su cui puntare; e quelli sì che farebbero audience.
Nanni Delbecchi
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