“NON GIOISCO, MA NON PERDONO”: MARIA FALCONE SULLA MORTE DI RIINA
GRASSO: “LA PIETA’ NON FA DIMENTICARE IL SANGUE VERSATO” …. BINDI: “CON LUI NON MUORE LA MAFIA”
“Non gioisco per la sua morte, ma non posso perdonarlo. Come mi insegna la mia religione avrei potuto concedergli il perdono se si fosse pentito, ma da lui nessun segno di redenzione è mai arrivato”.
Così Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia ha commentato la morte del boss Totò Riina.
“Per quello che è stato il suo percorso mi pare evidente che non abbia mai mostrato segni di pentimento”, ha aggiunto. “Basta ricordare le recenti intercettazioni in cui gioiva della morte di Giovanni Falcone”, ha concluso Maria Falcone riferendosi alle conversazioni registrate in carcere tra Riina e un compagno di detenzione in cui il capomafia rideva ricordando di aver fatto fare al magistrato “la fine del tonno”.
Bindi: “Con lui non muore la mafia”.
“La fine di Riina non è la fine della mafia siciliana che resta un sistema criminale di altissima pericolosità “. Lo ha detto il presidente della commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, ricordando che “Totò Riina è stato il capo indiscusso e sanguinario della Cosa Nostra stragista. Quella mafia era stata già sconfitta prima della sua morte, grazie al duro impegno delle istituzioni e al sacrificio di tanti uomini coraggiosi e giusti”.
Pietro Grasso: “La pietà non fa dimenticare il sangue versato”. “Totò Riina, uno dei capi più feroci e spietati di Cosa nostra, è morto. La pietà di fronte alla morte di un uomo non ci fa dimenticare quanto ha commesso nella sua vita, il dolore causato e il sangue versato. Porta con sè molti misteri che sarebbero stati fondamentali per trovare la verità su alleanze, trame di potere, complici interni ed esterni alla mafia, ma noi, tutti noi, non dobbiamo smettere di cercarla”. Così il presidente del Senato Pietro Grasso su Facebook commenta la morte del capo mafia.
Grasso continua: “Iniziò da Corleone negli anni 70 una guerra interna alla mafia per conquistarne il dominio assoluto, una sequela di omicidi che hanno insanguinato Palermo e la Sicilia per anni. Una volta diventato il Capo la sua furia si è abbattuta sui giornalisti, i vertici della magistratura e della politica siciliana, sulle forze dell’ordine, su inermi cittadini, sulle persone che con coraggio, senso dello Stato e determinazione hanno cercato di fermarne il potere”.
Il presidente del Senato aggiunge: “La strategia di attacco allo Stato ha avuto il suo culmine con le Stragi del 1992, ed è continuata persino dopo il suo arresto con gli attentati del 1993. Quando fu arrestato, lo Stato assestò un colpo decisivo alla sua organizzazione. In oltre 20 anni di detenzione non hai mai voluto collaborare con la giustizia”.
(da agenzie)
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