PER CHI SUONA LA CAMPANIA? DAL PREFETTO MICHELE DI BARI A “MISTER FERRARELLE” CARLO PONTECORVO, C’È UNA ROSA DI 15 CANDIDATI NEL CENTRODESTRA PER SFIDARE FICO
TRA I NOMI CHE CIRCOLANO ANCHE MARA CARFAGNA, GENNY SANGIULIANO, EDMONDO CIRIELLI, FINO ALLA SUGGESTIONE DE LAURENTIIS, CHE HA SMENTITO
A bordo del Frecciarossa 9505 partito da Roma Termini alle 9.15 e diretto a Napoli centrale, più o meno all’altezza della stazione di Afragola, entra un whatsapp.
«Aggiungi Mister Ferrarelle».
E chi è?
«Carlo Pontecorvo. Ammin deleg azienda che produc acqua. Gira suo nome. Ma resta forte quello del prefetto Michele di Bari».
Ringraziare la fonte e appuntarsi, allora, pure Mr Ferrarelle. Inserirlo nell’elenco dei possibili candidati del centrodestra alla carica di governatore della Campania. E contarli: sono 15. Una cartella del Bingo.
Quando c’è casino, in politica, è sempre opportuno andare a vedere. E annusare, sentire. Solo che questa, qui sul Golfo, nuvole gonfie, aria appiccicosa, il tassista che per andare in piazza dei Martiri suggerisce di prendere la tangenziale — e certo, andiamoci anche a fare un giro a Sorrento — dicevo che questa non è nemmeno più politica. È diventato un gioco da tavolo.
Guardate: per lunghi mesi, ci siamo tutti molto appassionati alle romanzesche avventure di Vincenzo De Luca, il sultano uscente che non voleva uscire da Palazzo Santa Lucia, lo spaventoso principe dei cacicchi dem, arrogante e potente, beffardo e insolente, che trattava e minacciava, trattava e ricattava, finché poi però non l’hanno accontentato e così, adesso, di là un candidato finalmente ce l’hanno: Roberto Fico, il grillino già
noto importatore di tappeti (non è una battuta), diventato persino presidente della Camera.
Di qua, invece, è in pieno svolgimento una meravigliosa tarantella. Pure complicata da raccontare.
Perciò, per cominciare, va spiegato lo schema dentro il quale tutti ancora ballano. Che si regge su alcuni sondaggi piuttosto inequivocabili: perché ora che De Luca s’è accucciato, la sfida per il centrodestra s’è fatta complicata. Molto. La sconfitta, insomma, appare possibile e probabile.
Detto questo: la guida della Campania, in teoria, nella logica delle nuove ripartizioni volute da Giorgia Meloni, spetterebbe comunque a FdI.
Solo che la premier non ha alcuna intenzione di venire a perdere da perdente: così, prima di convocare Salvini e Tajani, e stabilire l’identità ufficiale del candidato, aspetta di capire come finirà domenica nelle Marche. Perché se lì dovesse rivincere il suo cocco, Francesco Acquaroli, allora potrebbe «lasciare» alla Lega il Veneto, «pretendere» la Lombardia e abbandonare in questa palude una vittima sacrificale della società civile vicina a FI. O meglio: a Fulvio Martusciello, coordinatore regionale del partito ed europarlamentare. Che poi fu pure il primo a scendere in pista. E, subito, ad uscirne (gli arrestarono Lucia Simeone, la segretaria).
Avete preso il pallottoliere?
Martusciello: fuori uno. Ora considerate che all’epoca, nel pieno
dell’affaire De Luca, la Campania appare ancora contendibile e, quindi, sembra ragionevole individuare una personalità politica alternativa. A Salvini, così, viene un’ideona: «Candidiamo Piantedosi!». Ma glielo leggono subito in faccia tutti: è solo un banale trucco per far uscire il ministro dal Viminale, e andarsi a sedere al posto suo.
Piantedosi, un democristiano irpino, specie astutissima, reagisce dicendo «No, grazie», e poi resta immobile. Tanatosi: o simulazione della morte. È una strategia difensiva adottata da molte specie animali per sfuggire ai predatori. Funziona anche con Salvini. Che, borbottando, si rassegna così a far arrivare puntuale almeno qualche treno (senza riuscirci). È a questo punto che alza la mano Edmondo Cirielli, il viceministro degli Esteri. «Il mio nome è quello vincente!».
Quando uno ha il dono della modestia, non lo fermi. La notizia dell’auto-candidatura è ghiotta. Cirielli è personaggione. Un 25 aprile, da presidente della Provincia di Salerno, fece affiggere alcuni manifesti in cui si spiegava che la Liberazione fu merito esclusivo delle truppe anglo-americane, perché i partigiani non giocarono alcun ruolo. Poi, non soddisfatto, Cirielli va pure sul palco di Atreju, la colossale festa di FdI, e tra gli applausi dice che «il tratto distintivo più profondo del fascismo era uno spirito straordinario di libertà».
Ma sul serio? «Lascia stare — commenta un alto esponente di FI — Cirielli, in Campania, non lo conosce nessuno. La candidatura
se la scorda».
A quanti trombati siamo? La Lega, un po’ per capriccio, un po’ per tigna, butta allora in mezzo il nome del casertano Giampiero Zinzi, coordinatore regionale. Bruciato pure lui.
Che si fa? La verità è che il centrodestra, un paio di carte con cui sperare di giocarsi il match contro Fico, ce l’avrebbe pure.
La prima è Mara Carfagna, la segretaria di Noi moderati.
Esperta, spregiudicata, determinata, popolare, mediatica, bella. «Se volete, ci sono». Ma i due si ritrovano addosso gli sguardi torvi di forzisti che sbavano rancore.
Fuori anche Mara.
Vabbè: magari, spifferano, ci sarebbe comunque Gennaro Sangiuliano. Pensiero diffuso: è l’unico esponente del governo Meloni ad essersi dimesso. E per cosa, poi? Si scoprì che aveva scapocciato per una biondona. Grave? Inopportuno, diciamo. Ora fa il corrispondente della Rai da Parigi e però si sa che muore dalla voglia di tornare.
E infatti torna, appena può (venerdì scorso, in attesa che San Gennaro facesse il nuovo miracolo, nel Duomo di Napoli era addirittura seduto in seconda fila proprio accanto a Fico).
Allora, che facciamo con Sangiuliano? Niente. La pista è troppo affollata. Ecco i rettori: Matteo Lorito (della «Federico II», ma troppo amico del sindaco sinistrorso Gaetano Manfredi), Guido Trombetti (ex guida della «Federico II», sconosciuto a tutti) e Gianfranco Nicoletti (della «Luigi Vanvitelli», sconosciuto ai più). Quindi gli industriali: un grande classico come Antonio D’Amato («Ragazzi, vi voglio bene…») insieme a Costanzo Jannotti Pecci. C’è persino un ex caro intimo di De Luca: Giosy Romano (coordinatore della Zes Unica del Mezzogiorno).
Poi, di botto, una mattina, nell’elenco compare addirittura Aurelio De Laurentiis (lo vedono entrare a Palazzo Chigi, e fanno due più due: però quello era andato a parlare dei fatti suoi).
Alla fine sembra restare robusta solo la voce su Michele Di Bari, prefetto di Napoli. È sufficientemente vanitoso — dicono perfidi — da accettare d’immolarsi. Ma poi chissà, vedremo.
(da “Corriere della Sera”)
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