PER USCIRE DALLA PROCEDURA D’INFRAZIONE, LA COMMISSIONE EUROPEA CHIEDE ALL’ITALIA UNA CORREZIONE DI BILANCIO DA 13 MILIARDI DI EURO L’ANNO PER I PROSSIMI 7 ANNI
A COMPLICARE LE COSE, CI SONO I GRAVI RITARDI NELLA REALIZZAZIONE DEL PNRR: GLI INVESTIMENTI ANCORA DA ESEGUIRE ENTRERANNO NEL DEFICIT E PESERANNO SUI VINCOLI EUROPEI DI SPESA
Venerdì la Commissione europea ha comunicato riservatamente al governo ciò che pubblicherà in autunno: i numeri da realizzare perché l’Italia esca, in un triennio, dalla procedura per deficit eccessivo in cui sta entrando adesso. Le grandezze stimate a Bruxelles non hanno sorpreso il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e non implicano un percorso così duro da risultare, a priori, irrealistico.
Si tratta di due serie di vincoli: c’è un tetto alla spesa pubblica; e c’è una correzione di bilancio da poco più di 13 miliardi di euro l’anno per i prossimi sette anni, fatta però evitando politiche finanziate per un solo esercizio di bilancio come accade oggi, per esempio, con gli sgravi contributivi sui redditi medio-bassi.
Fra le variabili però se ne sta aggiungendo una: gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) procedono in Italia così a rilento — anche rispetto alla tabella di marcia già rivista dopo i ritardi degli anni scorsi — che proprio la loro realizzazione, da ora al 2026, crea incertezza sulla capacità del Paese di rispettare le nuove regole di bilancio. Quest’anno si sarebbero dovuti spendere oltre 40 miliardi, ma l’esecuzione nel primo semestre è stata deludente.
Restano dunque non molto meno di 150 miliardi del Pnrr da assorbire, in teoria, negli ultimi due anni e mezzo dei sei del Piano. In particolare, l’aver usato troppo poco dei prestiti da 122 miliardi del Pnrr durante la lunga sospensione dei vincoli del patto di Stabilità — agli effetti pratici, fino a tutto il 2024 — rischia di creare difficoltà nei prossimi anni.
Quegli investimenti ancora da eseguire sono ormai così tanti che — se si faranno — entreranno nel deficit e peseranno sui vincoli europei di spesa proprio quando quegli stessi vincoli inizieranno a mordere.
Venerdì la Commissione ha comunicato due serie di cifre all’Italia e agli altri Paesi che stanno entrando in procedura sul deficit. Le prime riguardano una raccomandazione — in teoria, non vincolante — sulla correzione «strutturale» da perseguire ogni anno. L’enfasi sulla natura «strutturale» delle misure implica che a Bruxelles si terrà conto di eventuali frenate dell’economia, ma non si accettano misure una tantum come quelle che l’Italia ha in vigore per quasi venti miliardi nella legge di Bilancio del 2024
Il governo può dunque scegliere fra un piano di risanamento su quattro anni o su sette, aggiungendo riforme e investimenti. Il piano su quattro anni implica una correzione, secondo Bruxelles, di circa l’1,1% del prodotto lordo all’anno (Pil): una stretta di bilancio da oltre 20 miliardi all’anno fino al 2028. Il governo la esclude. Resta il piano su sette anni
Esso implica, secondo le indicazioni di Bruxelles, una correzione strutturale dello 0,6% del Pil all’anno fino al 2031: dunque, ai valori attesi nel 2025, poco più di 13 miliardi l’anno. Per accedervi l’Italia fra poche settimane dovrà comunicare la sua scelta a Bruxelles e sostanziarla di riforme e investimenti che intende unire al piano, per rafforzare il motore dell’economia.
Saranno quelli già concordati per il Pnrr. Uno dei vincoli è però che gli investimenti proseguano fino al 2030 o 2031 agli stessi ritmi della media fra 2024 e 2026, quando (in teoria) si dovrebbe spendere proprio il grosso dei fondi europei del Piano di ripresa.
Ed è qui che sorgono alcuni problemi. In primo luogo perché le regole europee prevedono, accanto alla correzione annua del deficit, anche una «traiettoria tecnica» della spesa pubblica. Questa deve aumentare ogni anno meno della somma fra crescita reale e inflazione.
In sostanza la spesa pubblica deve ridursi costantemente in proporzione al Pil del Paese. E valutati fattori come il potenziale dell’economia, le dinamiche dei prezzi e l’invecchiamento della popolazione, Bruxelles ha indicato la sua «traiettoria» della spesa italiana: può salire come quantità di euro di circa (ma non esattamente) l’1,8% all’anno. Più o meno quanto Giorgetti si aspettava.
L’incognita riguarda però i ritardi del Pnrr. Se restano non molto meno di cento miliardi di euro di prestiti europei del Piano da usare tutti nel 2025 e 2026 — un boom di spesa pubblica da circa il 4% del Pil — già solo quelli rischiano di far saltare la «traiettoria» o di obbligare il governo a comprimere altre uscite.
Di certo l’attuale esecutivo fino ad oggi ha comunicato sul Pnrr meno del governo di Mario Draghi, per esempio rimuovendo dai documenti pubblici ogni informazione sulle previsioni di spesa anno per anno. Ora però, per accedere al piano di rientro sui sette anni, l’Italia dovrà fare più trasparenza con Bruxelles. Il ministro incaricato del Pnrr, Raffaele Fitto, ieri non era immediatamente disponibile per un commento.
(da Corriere della Sera)
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