PERCHE’ L’EUROPA ALL’ITALIA CONVIENE
SMONTATA LA BUFALA CHE DIAMO PIU’ SOLDI DI QUANTI NE RICEVIAMO: IL SALDO PARZIALE NEGATIVO DI 3-5 MILIARDI E’ RIBALTATO DAGLI 80 MILIARDI DI BENEFICIO ANNUALE E DI ALTRI 10 MILIARDI PER AGRICOLTURA E LAVORO
Indipendentemente dall’enorme impatto che avrà su Italia e Europa il Next Generation EU, perchè non ha senso dire che l’Italia (cosi’ come altri Paesi) è stata sinora un “contributore netto” al bilancio dell’Unione europea?
E’ vero che l’Italia versa al bilancio UE tra i 12 e i 15 miliardi € all’anno, ricevendone indietro soltanto 9 o 10 (prima del Next Generation/Recovery Fund ovviamente, che cambierà tutte le carte in tavola)?
E’ vero, ma solo da un punto di vista contabile e di breve periodo. Perchè se i costi dell’Europa si possono facilmente quantificare (meno di una tazzina di caffè al giorno per ciascuno di noi, secondo una metafora facile e veritiera), i suoi benefici non si misurano soltanto con i fondi attribuiti direttamente al proprio paese, sotto forma di “fondi strutturali” o sovvenzioni agli agricoltori. Si misurano in benefici spesso non quantificabili.
E’ come quando si pagano le tasse allo Stato: lo si fa per avere in cambio dei servizi e dei benefici, scuole di qualità , ospedali efficienti e accessibili, pensioni adeguate, strade sicure. Non chiediamo allo Stato di restituirci le cifre da noi versate. Gli chiediamo soprattutto servizi e benefici. La stessa cosa succede al bilancio UE.
I 27 governi, cioè i “contribuenti” al bilancio europeo, versano alle casse dell’Unione una quota (pari a circa l’ 1% del PIL) per avere in cambio benefici o “beni pubblici europei”, come il poter aderire a un mercato unico da 450 milioni di persone, come le opportunità di muoverci senza ostacoli all’interno di questo spazio comune come turisti, lavoratori o studenti, come la possibilità di affrontare uniti sfide come il clima, l’intelligenza artificiale o il terrorismo, o come le direttive europee che permettono all’aria di essere più pulita, ai giocattoli e agli elettrodomestici di essere più sicuri, al nostro patrimonio culturale di essere più protetto, etcetera etcetera.
L’Italia, versando la sua “quota d’iscrizione” annuale di 12-15 miliardi di euro (a seconda degli anni), riceve dal club europeo tutti questi benefici e opportunità (si calcola un beneficio annuale per l’Italia di 80 miliardi di € solo per la sua partecipazione al mercato unico!), e oltre a tutto ciò, anche 9-11 miliardi di euro che le autorità nazionali o regionali italiane possono spendere a fondo perduto a sostegno degli agricoltori, di progetti di sviluppo locale, corsi di formazione professionale, lotta alla disoccupazione o inclusione sociale.
Sommando il tutto, si tratta di un beneficio netto per qualunque paese partecipi all’Unione europea, sia per quelli che, da un punto di vista puramente contabile, contribuiscono più di quanto ricevano direttamente, sia per gli altri.
Ancora due esempi per chiarire ulteriormente: se un progetto di ricerca europeo coordinato, poniamo, in Svezia, sviluppa un nuovo farmaco o una nuova fonte di energia, grazie al lavoro congiunto di scienziati di paesi diversi, come si può calcolare il beneficio? Dal punto di vita contabile questi fondi vanno attribuiti alla Svezia, paese in cui il progetto è coordinato, ma il beneficio andrà a tutti i cittadini europei (e non solo) che un giorno potranno beneficiare di quel farmaco o di quella invenzione. Che probabilmente non sarebbero stati scoperti se non ci fossero stati il partenariato e il finanziamento europei.
Secondo esempio: con fondi UE attribuiti a un paese X, una ditta italiana si aggiudica un appalto per un nuovo aeroporto in quel paese. Sotto il profilo contabile, questi fondi vanno al Paese X. Nella realtà , il beneficio va anche all’impresa italiana e, soprattutto, a tutti i viaggiatori che utilizzeranno quell’aeroporto, che siano cittadini di quel paese oppure no.
Per rispondere alla domanda iniziale: la definizione di paesi “contributori netti” è miope e fuorviante.
Investire nell’Europa non significa cercare di trarre il massimo ritorno nei nostri confini: significa investire nel nostro orizzonte comune, nello spazio economico, politico, sociale, scientifico, di cui l’Italia fa parte. Un’Europa prospera e dinamica è nell’interesse nazionale di qualunque paese europeo. Nel breve e nel lungo periodo.
Anche a prescindere dai piani d’emergenza come il Recovery Fund.
(da “Huffingtonpost”)
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