PONTE SULLO STRETTO, COME SALINI E’ DIVENTATO IL “FABBRICATORE” DELL’OPERA
DALLA NON FLORIDA AZIENDA DI FAMIGLIA ALL’ATTUALE COLOSSO DELLE COSTRUZIONI. GRAZIE ALLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI… I
RAPPORTI POLITICI, I PRANZI DAL “MORO”, I CONTI NON BRILLANTI
Perché i governi dicono sempre di sì a Pietro Salini? Perché l’ex capo della polizia ed ex sottosegretario ai servizi segreti Gianni De Gennaro due anni fa è stato nominato presidente di Eurolink, il consorzio titolare dell’appalto per il Ponte di Messina?
Perché lo Stato, attraverso la Cassa depositi e prestiti, nel 2019 è entrato nell’azionariato di Webuild versando 250 milioni di euro?
Non si può comprendere chi siano il costruttore Pietro Salini e l’impresa romana fondata dalla sua famiglia, che attraverso una serie di mutazioni genetiche è diventata Webuild, nome che significa “noi costruiamo”, senza considerare una certa “geopolitica” e le abitudini del costruttore .
E dunque il “fabbricatore” Pietro Salini, nato a Roma 67 anni fa, guida l’impresa fondata dal nonno omonimo. Il cuore e il cervello sono radicati in una strada che più romana non si può, via della Dataria, che conduce da un vicolo che si affaccia sulla Fontana di Trevi su fino al Quirinale. E lì vicino, in un ristorante frequentato da politici, affaristi, lobbisti, Il Moro, fin da giovane Pietro Salini ha pranzato quasi ogni giorno, concludendo ogni pasto con una rilassante partita a carte napoletane.
Grandi relazioni, intuizione nel fare le alleanze giuste, come quella con Francesco Gaetano Caltagirone per la Metro C di Roma, opera eterna cominciata nel 2007 che verrà completata nel 2033 (almeno così dicono), capacità di pianificazione degli obiettivi, sono gli ingredienti che hanno portato Pietro Salini a trasformare l’impresa di famiglia nel primo gruppo italiano di costruzioni.
Il bilancio consolidato 2024 dichiara 12 miliardi di euro di ricavi consolidati (+20%), un portafoglio ordini di 63,2 miliardi che spazia in oltre 50 paesi.
La crescita – ha detto Webuild – è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (le commesse per l’alta velocità ferroviaria Milano-Genova, Verona-Padova, Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia e in Arabia Saudita. Pur dichiarando un utile netto rettificato di 247 milioni, il 2% dei ricavi, il gruppo non appare così robusto nei conti, con i profitti 2024 ha distribuito 0,081 di euro di dividendo alle azioni ordinarie e 0,26 euro alla manciata di titoli di risparmio, i soci hanno ricevuto poco più di 80 milioni, non granché.
Webuild dichiara una posizione finanziaria netta positiva a fine 2024, per 1,44 miliardi, vuol dire che la liquidità supera i debiti, ma la realtà è diversa: durante l’anno i debiti medi hanno pesato, perché il gruppo ha pagato interessi passivi netti per 112 milioni, 20 milioni in più del 2023. Infatti il bilancio dice che l’indebitamento lordo nel 2024 è aumentato da 2,07 a 2,94 miliardi.
La chiave della svolta nella storia del gruppo è in due operazioni straordinarie, attraverso le quali Salini ha comprato aziende
molto più grandi. L’azienda romana era la terza in Italia, dietro al binomio composto dalla milanese Impregilo e dalla romana Astaldi. Nel 2012 Pietro Salini ha approfittato delle incertezze fra i soci di comando di Impregilo, fuori la famiglia Benetton che pensava a incrementare i profitti autostradali e andato a fondo Salvatore Ligresti, era rimasto solo Gavio con il 29,9% del capitale. Con una spesa di qualche centinaio di milioni Salini ha comprato azioni Impregilo in Borsa fino quasi al 30% e ha scalzato Gavio nel luglio 2012. Poi ha fuso le due società dandogli il nome di Salini Impregilo, alla presidenza al posto di Fabrizio Palenzona ha nominato Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs, e si è autonominato Ad. L’anno successivo il “fabbricatore” è stato nominato Cavaliere del lavoro dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Con l’acquisto di Impregilo Salini si è trovato in pancia il contratto per costruire il Ponte di Messina. La commessa era stata aggiudicata nel 2005 all’azienda milanese, quando era guidata dalla famiglia di Cesare Romiti, e Impregilo era l’azionista principale del consorzio Eurolink, general contractor della controversa opera. Quando il governo Monti nel dicembre 2012 ha dichiarato la “caducazione” del contratto per il Ponte, Salini è passato al contrattacco e ha fatto causa in tribunale chiedendo 700 milioni di danni. Il tribunale gli ha dato torto, ma Eurolink (e qui entra in gioco De Gennaro) ha fatto appello.
Nel 2015 Costamagna è stato nominato presidente di Cdp dal governo di Matteo Renzi, è rimasto in carica fino al 2018, quando il primo governo Conte (M5S-Lega) ha nominato un nuovo vertice di Cdp, guidato dall’Ad Fabrizio Palermo. L’anno
successivo le strade di Salini e della Cdp si sono incrociate. Astaldi era in concordato preventivo schiacciata dai debiti, Salini ha concepito un piano di salvataggio di Astaldi insieme a Cdp. Salini Impregilo ha fatto un aumento di capitale di 600 milioni in Borsa e con la liquidità ha così potuto sottoscrivere un aumento di capitale riservato di Astaldi di 225 milioni, così ha comprato l’altro grande concorrente rimasto.
Ma attenzione, i soldi dell’aumento di capitale di Salini Impregilo non li ha messi l’azionista di maggioranza, Pietro Salini ha versato solo 50 milioni. Il grosso è arrivato dalla Cdp, cioè dallo Stato, che ha speso 250 milioni ed è diventata il secondo azionista con il 18% circa del capitale. Le banche, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Bpm, hanno convertito i crediti in azioni per 150 milioni, una cifra analoga l’hanno versata investitori istituzionali, tra i quali Leonardo Del Vecchio e il fondo Elliott. L’operazione è stata chiamata “Progetto Italia”, la creazione di un polo nazionale delle costruzioni. L’anno successivo il gruppo ha cambiato nome in Webuild.
“Abbiamo salvato Astaldi” era il mantra caro a Salini. Ma è stata salvata anche Salini Impregilo, grazie ai 250 milioni della Cdp. L’azienda, che nel 2019 dichiarava un calo dei ricavi consolidati da 5,2 a 5,13 miliari, non se la passava tanto bene. Ed è curioso che Cdp abbia dato 250 milioni a Salini senza neppure chiedere che Eurolink (di cui Webuild ha il 45%) rinunciasse al contenzioso con lo Stato per il Ponte.
Con i dividendi del bilancio 2024 Pietro Salini, che ha il 35,7%, ha incassato 29,4 milioni, la Cdp, che ha il 16,5%, 13,5 milioni. Da urlo lo stipendio di Pietro Salini: 6,38 milioni lordi nel 2022,
scesi a 4,86 milioni nel 2023 e nel 2024. Quest’anno, grazie alla firma del contratto da oltre 10 miliardi per il Ponte, la busta paga del “fabbricatore” dovrebbe tornare a crescere. Una buona occasione per festeggiare al Moro.
(da Il Fatto Quotidiano)
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