RAJOY DAVANTI AL DILEMMA DI BERSANI: GOVERNARE COL NEMICO STORICO O CON CHI TI CONSIDERA IL DIAVOLO?
EL PAIS PARLA DI “SCENARIO ITALIANO”
Governare con il nemico storico oppure con chi ti considera il diavolo.
Formare una coalizione fra gli opposti con l’avversario ma stabile nei numeri in Parlamento, oppure cercare un’intesa programmaticamente coerente, ma numericamente stretta con un partito anti-casta.
All’indomani del voto in Spagna, per Mariano Rajoy si presenta una situazione analoga a quella che dovette affrontare Pier Luigi Bersani dopo la vittoria risicata alle elezioni politiche del 2013. Così come il Pd non aveva conquistato alle urne una maggioranza e si trovava al bivio fra Forza Italia e M5S, così il Partito Popolare spagnolo si ritrova costretto alla mediazione per cercare di formare un governo.
Con il mandato esplorativo del Colle, Bersani si prese sei lunghe giornate di trattative e consultazioni – compreso il famoso vertice in streaming con i 5 Stelle – nel tentativo di trovare un’intesa con il Movimento di Beppe Grillo, che evitasse il ricorso alle temutissime larghe intese con il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi.
Fallì e fu poi il suo secondo, Enrico Letta, ad assumersi l’onere di governare con Forza Italia, sostenuto dalla regia di Giorgio Napolitano al Quirinale.
In Spagna il Partito popolare del premier uscente Mariano Rajoy ha raccolto il 28,72% dei voti alle elezioni generali, arrivando a 123 seggi su un totale di 350. Secondi i socialisti del Psoe, con il 22,01% e 90 seggi, terzo Podemos guidato da Pablo Iglesias, con il 20,66% e 69 deputati. Quarto Ciudadanos, con il 13,93% e 40 deputati.
Rajoy si ritrova con una gamma ristretta di possibilità , tutte di difficile realizzazione.
Il Pp ha 123 seggi ed è ben lontano da quota 176, asticella a cui è fissata la maggioranza assoluta della camera bassa in Spagna.
Numeri alla mano, nessun partito può governare da solo.
Le distanze maturate in campagna elettorale mettono tanto il premier uscente quanto il re Felipe VI in una situazione alquanto complessa: dal 15 gennaio, data di insediamento dei nuovi parlamentari, il sovrano di Spagna inizierà le consultazioni coi partiti, indicherà un nome nella speranza che il “Congreso” approvi a maggioranza assoluta la scelta.
Se fallisce, 48 ore dopo, il candidato presidente del governo può passare con la maggioranza semplice, altrimenti, tempo due mesi e si torna alle urne.
Le ipotetiche coalizione di centrodestra Pp-Ciudadanos o di centrosinistra Psoe-Podemos supererebbero rispettivamente 163 e 159 deputati.
Per riuscire a ottenere l’investitura sarebbe necessario l’appoggio di deputati dei partiti nazionalisti, catalani o baschi, che diventerebbero un problematico ago della bilancia e farebbero pagare a caro prezzo il loro voto.
Oltretutto il rapporto fra Rajoy e il presidente secessionista catalano Artur Mas è logorato dalle recenti polemiche.
Per Felipe VI la prima vera prova politica da affrontare.
L’unica soluzione che consentirebbe alla Spagna di avere una maggioranza solida sarebbe una intesa tra i popolari e i socialisti.
Le dichiarazioni dell’immediato dopo-voto lasciano intendere che questa sarà la stretta via che Rajoy proverà a percorrere.
“Lo ribadisco, chi vince le elezioni deve cercare di formare il governo. Cercherò di formare un governo stabile, di cui la Spagna ha bisogno”, quindi “cercherò accordi, dialogherò ma nell’interesse del Paese” ha detto il leader del Pp, spiegando che “la Spagna ha bisogno di stabilità , sicurezza, certezza e fiducia”.
Anche il leader socialista Pedro Sanchez non ha avuto parole di chiusura: “bisogna avviare il dialogo. La democrazia vuol dire dialogo e trovare accordi e il Psoe vuole dialogare e dibattere, per il bene del Paese”, e quindi “dico agli spagnoli che cercheremo di formare un governo”.
Uno “scenario italiano”, scrive la testata iberica El Pais, “ma con il grave problema che non ci sono gli italiani a gestirlo”.
(da “Huffingtonpost”)
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