SOLO TRUMP CREDE DAVVERO NEL BILATERALE TRA PUTIN E ZELENSKY: COME PUÒ IL PRESIDENTE RUSSO INCONTRARE UN LEADER CHE NON RICONOSCE COME LEGITTIMO E NEPPURE NOMINA UFFICIALMENTE?
NEL RESOCONTO DI MOSCA DELLA TELEFONATA CON IL TYCOON SI PARLAVA VAGAMENTE DI “ALZARE IL LIVELLO DELLA RAPPRESENTANZA DELLE DELEGAZIONI”, SENZA PARLARE DI UN FACCIA A FACCIA DIRETTO … LO ZAR, SEDENDOSI AL TAVOLO CON L’UCRAINO, LO LEGITTIMEREBBE COME PARI. IL CONTRARIO DI QUELLO CHE VUOLE CON LA GUERRA (LA FAMOSA “DENAZIFICAZIONE”)
C’è un problema di fondo nelle manovre diplomatiche per organizzare un summit fra Vladimir Putin e Volodymyr
Zelensky. Lo si può riassumere con una sola parola, per noi italiani carica di echi manzoniani: l’Innominato.
Pur accettando teoricamente la proposta di Donald Trump di un dialogo diretto con Kiev, infatti, il capo del Cremlino nemmeno nomina il leader che a tale scopo dovrebbe incontrare: ovvero il presidente ucraino.
E tutti i suoi sottoposti, dal ministro degli Esteri Lavrov all’ambasciatore di Mosca all’Onu, seguono disciplinatamente la medesima direttiva: è praticamente impossibile trovare una dichiarazione ufficiale della Russia in cui qualcuno pronuncia il nome di Zelensky.
I russi dicono che bisogna alzare “il livello della rappresentanza delle delegazioni” nei negoziati fra Mosca e Kiev (una trattativa, peraltro, al momento ferma). Ripetono che non ha senso un incontro al vertice se prima non viene preparato da funzionari ed esperti.
Affermano il mantra di Putin, secondo cui occorre dare la priorità a risolvere le cause “alla radice del conflitto”, cause che, per riassumerle in due parole, sono il desiderio ucraino di essere una democrazia inglobata nel campo europeo e occidentale, anziché uno stato vassallo del Cremlino come ai tempi dell’Unione Sovietica.
E comunque, come sottolinea fin dal titolo un’analisi del New York Times, “Putin wont’ even say Zelensky’s name: so will he sit down with him?” (Putin non pronuncia nemmeno il nome di Zelensky: possibile che si sieda davanti a lui?)
“Putin si incontrerebbe con Zelensky”, predice Grigorij Golosov, un politologo di San Pietroburgo, interpellato in proposito dal quotidiano newyorchese, “solo se fosse chiaro che l’incontro sarebbe una capitolazione dell’Ucraina, l’ammissione della sconfitta da parte di Zelensky”.
Del resto, il presidente russo ha basato la necessità della guerra sulla falsa idea che Zelensky è un leader illegittimo, alla testa di un regime da “denazificare”, colpevole di genocidio verso la minoranza ucraina di lingua russa.
Incontrarlo faccia a faccia sarebbe come legittimarlo, dargli un ruolo da pari a pari: esattamente il contrario di quello che Putin vuole realizzare con la guerra.
Se a un certo punto Putin decidesse di rimangiarsi almeno in parte le accuse a Zelensky, calcolando che questo è il momento giusto per un accordo perché non troverà mai più a Washington un presidente accomodante nei suoi confronti come Trump, un eventuale voltafaccia sarebbe presentato dalla propaganda russa come una vittoria: e, in un Paese totalitario, il Cremlino non avrebbe da temere ripercussioni pubbliche.
Almeno nell’immediato: perché se la pace lasciasse in piedi un’Ucraina indipendente, sovrana e in via di adesione all’Unione Europea, con garanzie di sicurezza fornite dall’Europa e appoggiate dagli Usa, seppure con un territorio ridotto di un quinto, prima o poi a Mosca qualcuno potrebbe chiedersi, fra gli oligarchi, fra le alte sfere militari, perfino nella “cupola” putiniana, se valeva davvero le pena di innescare un conflitto costato un milione di vittime tra morti e feriti, pesanti sanzioni e l’ostracismo dell’Occidente. Ma per adesso la linea dello zar non cambia: compiacere Trump segnalandosi pronto a un summit, e continuare a trattare Zelensky come l’Innominato.
(da La Repubblica)
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