TROPPO PARLAMENTARI MACRONIANI ATTACCATI ALLA POLTRONA, IL PREMIER RIMANE FEDELE
SANNO CHE STANNO PER PERDERE IL POSTO , O PERCHÉ BATTUTI O PERCHÉ COSTRETTI A RINUNCIARE PER IL PATTO DI DESISTENZA… LA POSIZIONE DEGLI IMBECILLI: “NON UN VOTO DEVE ANDARE AL RASSEMBLEMENT NATIONAL, MA NEANCHE ALLA FRANCE INSOUMISE”
Il presidente Macron avrebbe anche deciso di sbarrare la strada al Rassemblement national, o almeno di provarci. Il problema è che i membri della sua maggioranza ne hanno abbastanza di seguire le indicazioni del capo, che in questa fase non gode certo dell’autorevolezza del vincitore.
È il problema storico dello scioglimento dell’Assemblea: come la bomba atomica, è un’arma che funziona fino a quando non viene usata. Si possono controllare deputati e ministri, con la paura di farli tornare davanti al giudizio degli elettori; ma una volta sciolta l’aula e indette le elezioni, l’arma ha già sparato e il patto di fedeltà è già rotto.
Così ieri all’ora di pranzo si è svolta all’Eliseo una riunione che molti descrivono come tesa, nervosa, vicina alla resa dei conti, fra tristezza per la fine di un’era e rabbia per la parte auto-inflitta del disastro.
«La situazione è chiara: è l’estrema destra che sta per accedere alle più alte funzioni, e nessun altro», dice il presidente, secondo quanto riportato da Libération . Quindi, dopo mesi di equivalenza tra le «estreme», tra destra e sinistra, tra Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, Macron ribadisce e spiega meglio la presa di posizione di domenica sera, un’istante dopo i risultati: l’«ampia alleanza democratica e repubblicana» anti-RN vuol dire che «non un voto deve andare all’estrema destra. Dobbiamo ricordarci che nel 2017 e nel 2022, a sinistra, tutti hanno fatto proprio questo messaggio. Altrimenti, né io né voi saremmo qui».
Solo che il presidente continuerà comunque a stare all’Eliseo fino alle prossime presidenziali del 2027, a meno che non decida di dimettersi prima; i ministri e molti deputati stanno invece perdendo il posto, o perché saranno battuti alle urne oppure perché vengono invitati, proprio da colui che li ha messi in questa situazione, a desistere, a non provarci neanche ad andare al ballottaggio, per dare a un avversario di sinistra meglio piazzato una probabilità in più di battere il candidato del RN.
E infatti la decisione del presidente è contestata: non può pretendere che esista ancora una maggioranza che lui stesso ha ucciso, come ha detto qualche giorno fa l’ex premier Edouard Philippe. «Non un voto deve andare al Rassemblement national, ma neanche alla France Insoumise», dice adesso Philippe, seguito dal suo ex collega di partito nei Républicains, il ministro delle Finanze Bruno Le Maire, anche lui furioso sia per la dissoluzione insensata, sia per l’improvvisa svolta a sinistra di Macro
Il più fedele sembra Gabriel Attal, il premier che fino a domenica alle 20 diceva — probabilmente senza crederci — di volere vincere le elezioni e che adesso è certo di lasciare Matignon e la poltrona di primo ministro. Attal promette ai deputati uscenti che «l’avventura non si ferma qui» e al tg delle 20 poi difende l’idea di «una terza via, un’Assemblea plurale in seno alla quale i nostri candidati saranno presenti per proteggere i francesi dagli aumenti delle tasse e dalle divisioni».
Attal sembra fare propria la proposta già avanzata da Edouard Philippe, e cioè una possibile maggioranza di grande coalizione da trovare in aula, dopo il voto, senza la France insoumise di Mélenchon. Ma bisognerebbe prima evitare che il RN arrivi alla maggioranza assoluta […]
Non aiuta il sospetto che Macron in realtà si stia già preparando alla coabitazione, come dimostrerebbe la fretta con la quale cerca di imporre i suoi uomini in posti chiave, da Thierry Breton alla commissione ad Alexandre Adam come vice-capo gabinetto di Ursula von der Leyen, al nuovo capo di stato maggiore dell’aviazione al direttore Ue del quai d’Orsay, fino a tre ambasciatori. Presto, ancora qualche giorno, prima che le nomine cominci a farle Bardella.
(da agenzie)
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