UNA CINQUANTINA DI DEPUTATI DI AREA RIFORMISTA VOTERANNO A FIANCO DEL PREMIER
PARTE DELLA MINORANZA PD SI AGGRAPPA ALLA POLTRONA
Almeno 50 deputati di Area riformista, la corrente del Pd guidata da Pierluigi Bersani e Roberto Speranza, voteranno sì alla fiducia sulla legge elettorale.
Il fronte dei cosiddetti dissidenti si spacca e la minoranza perde così ulteriore peso nella battaglia parlamentare sull’Italicum.
Anzi, si allarga il gruppo di chi non seguirà l’ex segretario nel “non voto“, visto che in tutto i bersaniani sono 70.
In un documento, ha annunciato Matteo Mauri, si definisce la fiducia un “errore” ma si aggiunge che “se non passa il governo cade e sarebbe da irresponsabili non votarla”. Tutto questo mentre è in corso la prima chiama per il primo voto di fiducia.
Tra coloro che nella minoranza Pd (non solo della corrente di Bersani) non voteranno la fiducia, secondo Stefano Fassina, saranno più di 30.
A questi si aggiungerà sicuramente Nunzia De Girolamo, ex capogruppo del Nuovo Centrodestra a Montecitorio.
I deputati di Sel sfileranno sotto il banco della presidenza, per esprimere il proprio voto, con una fascia nera al braccio in segno di lutto.
Un deputato vendoliano, Giulio Marcon, ha votato mostrando un libro rosso, un volume sulla Costituzione di Giuseppe Dossetti. Per questo viene richiamato all’ordine dal vicepresidente Luigi Di Maio.
Per l’approvazione della fiducia non è necessaria la maggioranza assoluta, ma è sufficiente quella relativa.
Alla Camera il computo della maggioranza per la fiducia è condotto esclusivamente sui voti favorevoli e contrari, mentre gli astenuti non sono considerati votanti ai fini del quorum di maggioranza.
Ai fini del risultato finale, perciò, al contrario di quello che avviene in Senato, astenersi rappresenta un atto meno ostile al Governo rispetto a votare no, dal momento che questo concorre a ridurre il quorum.
Nel documento dei 50 della minoranza del Pd sembra trasparire anche una certa critica alla scelta di Bersani e Speranza di non partecipare al voto: “Le prove muscolari non portano lontano. Chiunque le faccia. Non votare la fiducia non è una dimostrazione di coraggio. È una scelta politica — si legge — E la nostra scelta è sempre, coerentemente, invece quella di migliorare i provvedimenti e costruire le condizioni del dialogo e dell’unità nel Pd. In modo ostinato. Contro gli estremisti e i tifosi”.
Parole che rischiano di far diventare Bersani e i suoi una minoranza dentro la minoranza.
In mattinata, era tornato a parlare Pier Luigi Bersani, uno dei leader che hanno annunciato che non voteranno la fiducia al governo.
“Io non esco dal Pd, bisogna tornare al Pd. Il gesto improprio di mettere la fiducia lo ha fatto Renzi, non io. E’ lui che ha fatto lo strappo“.
Bersani — che sui giornali ha detto che il Pd “non è più il mio partito” — smentisce qualsiasi rischio di scissione. Per l’ex segretario, Renzi “non ha messo la fiducia perchè non aveva fiducia in noi, l’ha fatto per la bellezza del gesto, ed è anche peggio”.
L’obiettivo di Renzi, dopo l’approvazione dell’Italicum, non è per Bersani andare a votare ma “disporre” del Parlamento: “Potrà dire si fa così o si vota”.
Per l’ex segretario “si ricordano degli ex leader per chiedere loro lealtà solo quando si tratta di votare queste fiducie, non quando rimuovono dalla commissione o non ti invitano alle feste”.
Una risposta all’appello alla responsabilità arrivato dal vertice Pd.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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