Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
VOGLIONO COLPIRE ANCHE L’ASSISTENZA: FORSE BOSSI NON AVRA’ BISOGNO DELL’ASSEGNO DI ACCOMPAGNAMENTO, CI PENSA GIA’ LA ROSY MAURO A NON FARLO CADERE DAL LETTO, MA LE FAMIGLIE NORMALI SI’.. L’IMPORTANTE E’ NON TASSARE I RICCHI E NON TAGLIARE LE PROVINCE
Un intervento sulle pensioni di reversibilità delle vedove e l’assegno di accompagnamento.
Roberto Calderoli si è presentato al meeting di Rimini con nuove palle mediatiche e vecchie chiusure.
Il ministro della Semplificazione, infatti, ribadisce che sulle pensioni non ci sono margini di manovra. «Direi proprio di no. Il punto di compromesso sull’età pensionabile, frutto di una mediazione lunga e laboriosa tra Lega e Pdl, è contenuto nella manovra bis».
Ma i soldi bisogna trovarli da qualche parte.
Non si esclude neanche il ritorno del condono. Sia pure legato alla delega in materia fiscale e all’avvio del nuovo regime.
E il ministro leghista porta ulteriore scompiglio nel già confuso dibattito sulla manovra con un’altra proposta choc: «Bisogna andare a interessarsi delle pensioni di chi non ha mai lavorato che forse è il caso di andare a rivedere».
Spiega meglio Calderoli che bisogna occuparsi di chi «ha pensioni di reversibilità eccessivamente alte o prende accompagnamenti che oggi vengono dati indistintamente a tutti».
Proposta che fa insorgere le opposizioni. «Calderoli chieda scusa ai disabili e alle vedove», intima subito il portavoce dell’Idv Leoluca Orlando.
«Si vuol colpire in questo modo una platea di persone a basso reddito e socialmente più deboli», commenta Cesare Damiano, ex ministro del Pd.
Calderoli però annuncia un’altra “novità “: «Ci siamo inventati una sorta di tassa patrimoniale sui patrimoni evasi».
Ci sta lavorando un gruppo di esperti della Lega ( e allora siamo a posto n.d.r.) per mettere a punto un meccanismo che, spiega il ministro « si applicherà soltanto a chi su quel patrimonio non ha pagato le tasse o le ha pagate in misura minore al dovuto».
Nel gruppo di esperti che lavora alla proposta ci sono lo stesso Calderoli, Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, convinti che la loro proposta darà un incasso «significativo e superiore al gettito del contributo di solidarietà ».
Tanto da renderlo inutile.
In pratica il terzetto sta studiando come e quanto tassare il patrimonio.
Una volta stabilità l’entità del prelievo chi ha dichiarato tutto il patrimonio può detrarre l’importo delle tassa dalla dichiarazione dei redditi.
Chi non ha rivelato al fisco il reale patrimonio dovrà versare la tassa.
Calderoli dice no anche alla totale abolizione delle province.
E ieri la commissione Bicamerale per gli affari regionali, su proposta del relatore di centrodestra e con il voto favorevole del Pdl, ha votato per lo stralcio dalla manovra di anche quella “scrematura” parziale prevista al momento.
Insomma restano tutte come prima.
Fioccano intanto le altre proposte.
Dai “frondisti” del Pdl, guidati dal sottosegretario Guido Crosetto, per esempio, arriva un emendamento che propone di tagliare dalle piante organiche, entro alcuni anni, un dipendente pubblico su quattro.
Anche Popolo e territorio ha le sue idee e Silvano Moffa chiede un vertice di maggioranza.
Si parla anche di un tetto agli stipendi dei manager pubblici che non potrebbero guadagnare più del presidente della Corte di Cassazione.
Tutti nodi che dovrebbero essere sciolti lunedì in vertice fra Bossi e Berlusconi.
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Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
SECONDO IL SETTIMANALE L’ESPRESSO, IL GOVERNO HA CREATO UN NUOVO ENTE: L’ORGANISMO DI INDIRIZZO PER LA TUTELA E LA PROMOZIONE DI PROGETTI PER I COMUNI DEL NORD
Altro che crisi.
I soldi per la Casta della politica ci sono sempre, almeno stando a quanto rivela l’ultimo
numero in edicola del settimanale l’Espresso: 160 millioni di euro sarebbe la somma destinata dal governo alla creazione di un nuovo ente parastatale, la cui presidenza e direzione sarebbe affidata ad Aldo Brancher.
Cioè il deputato del Pdl condannato in via definitiva per ricettazione e appropriazione indebita proprio all’inizio del mese di agosto e di recente tirato in ballo anche dall’imprenditore Di Lernia nello scandalo delle tangenti per l’assegnazione delle commesse di Enav e Selex.
“L’ente — scrive il settiminale — si chiama Odi (Organismo di indirizzo) ed è stato istituito il 14 gennaio 2011 con un apposito decreto firmato nientemeno che da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti.”
Richiamandosi a una norma “nascosta” nella finanziaria del 2010 (l’articolo 2, comma 107, lettera h’), il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia “autorizzano — continua L’Espresso — la spartizione di 160 milioni tondi entro la fine di quest’anno.
I soldi sono destinati ai soli comuni veneti e lombardi delle fasce di confine con Trento e Bolzano”, per frenare “la mini-secessione dei centri di montagna che progettavano di abbandonare le regioni padane per entrare nelle ricche province a statuto speciale”.
Il tutto viene a galla proprio ora, nei giorni in cui si discute delle modifiche alla monovra che mette pesantemente le mani nelle tasche degli italiani.
Alla presidenza dell’Odi, il nuovo ente che si occuperebbe di “fissare gli indirizzi per distribuire i soldi ai Comuni”, ma anche a capo della “Commissione di approvazione dei progetti che valuta concretamente quali giunte beneficiare e con quanto denaro” — rivela il settimanale — Berlusconi avrebbe deciso di mettere Aldo Brancher.
L’uomo che è stato anche uno dei Ministri con il mandato più breve della storia: nel giugno dello scorso anno ebbe la delega per l’attuazione del federalismo.
All’epoca era sotto processo per i fatti relativi alla scalata Antonveneta e si avvalse della legge sul legittimo impedimento per non presentarsi in udienza.
Solo dopo molte polemiche e la censura del Capo dello Stato Giorgio Napolitano Brancher si era dimesso, il 5 luglio dello scorso anno, esattamente 17 giorni dopo la sua nomina.
L’obiettivo dell’operazione sarebbe, secondo l’Espresso, “allevare una corte di politici locali, che si segnalano per il convinto appoggio a mostruose speculazioni edilizie.”
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Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
UNA LUNGA SERIE DI DONAZIONI SOSPETTE: PERCHE’ SONO IN TANTI A CHIEDERE QUATTRINI A BERLUSCONI? E PERCHE’ LUI PAGA SEMPRE?
“Essere Silvio Berlusconi”.
Potrebbe chiamarsi così un gioco di ruolo, o meglio, il format televisivo di un talent show in cui i concorrenti, nei panni di un facoltoso e generosissimo tycoon dalla brillante carriera politica, elargiscono a pioggia regalie alle persone più bisognose.
L’obiettivo del gioco è evitare di incrociare i “cattivi” che, con diabolica malafede, subornano la generosità del capo e spillano soldi su soldi.
Magari – a differenza dei “buoni” – inventandosi qualche ricattino.
Le idee per gli autori non mancherebbero.
Basta scorrere le cronache degli ultimi anni e il parterre dei beneficiari, con la non improbabile possibilità che la lista si allunghi ancora, è presto fatta. In fondo il nostro presidente del Consiglio è il più “ricattabile”, nel silenzio più assoluto dei grandi opinionisti, del mondo occidentale..
L’ultimo nome (ri)sbocciato è quello di Giampi Tarantini, l’imprenditore pugliese, indagato a Bari per corruzione e favoreggiamento della prostituzione, celebre per aver portato Patrizia D’Addario a palazzo Grazioli.
Stando a quanto racconta Panorama da ieri in edicola, Giampi avrebbe ricevuto 500mila euro da B. che dichiara di “aver aiutato una persona e una famiglia con bambina in gravissima difficoltà economiche”.
“Buono” dunque? Chissà .
Secondo i pm di Napoli la causale sarebbe un po’ diversa, forse un incentivo per evitare a B. altri guai e imbarazzi. Cattivello.
Altro, presunto e ingrato ricattatore sarebbe Ernesto Sica, ex sindaco di Pontecagnano, Salerno: la Procura di Napoli ipotizza che B. sia ricatatto da Sica, il quale potrebbe essere in possesso di informazioni imbarazzanti su come andarono le cose in Senato nel 2008, quando cadde il governo Prodi. Potenzialmente supercattivo.
Patrizia D’Addario, invece, era la “cattiva” per eccellenza.
Escort pagata (disse) per passare la notte con il presidente del Consiglio e così in malafede da infilarsi nel mitico “lettone di Putin” con tanto di registratore vocale nascosto.
Raccontò di aver cercato le grazie del premier per chiedere un “aiutino” per realizzare ciò che non riuscì al padre, costruire un residence a Bari.
Sembrava fatta, ma la Sovrintendenza ha bloccato tutto.
Patty è tornata a parlare con Libero poche settimane fa denunciando di essere stata strumento di un complotto anti-B. Da cattivissima a quasi buona?
In principio, però, fu Noemi Letizia, la festa di Casoria e il “ciarpame senza pudore” urlato a mezzo stampa dall’ex (assai cattiva) first lady Veronica Lario.
La mamma di Noemi signora Anna Palumbo, secondo i documenti bancari acquisiti dai pm milanesi del “Rubygate”, avrebbe ricevuto bonifici per decine di migliaia di euro partiti da un conto del presidente del Consiglio.
Innocenti liberalità per assicurare un futuro alla (ormai ex) Lolita preferita? O c’è dell’altro? Cattiveria latente.
Le fanciulle, in questo gioco, sono le avversarie più insidiose.
Ruby su tutte, la nipote di Mubarak “ragazza in difficoltà ” (Maria Stella Gelmini dixit) aiutata dal Nostro, pagata “per non prostituirsi” o per acquistare la mitica “macchina anti-depilatoria” da 65mila euro .
Per non parlare della pletora delle “olgettine”, come l’ex meteorina Alessandra Sorcinelli, che in una anno avrebbe ricevuto da B. decine di migliaia di euro, versati in più tranches, alcune anche successive all’apertura dell’inchiesta Ruby.
Inchiesta da cui emerge anche molto denaro “regalato” a Nicole Minetti (la presunta “chioccia” delle notti di Arcore) che pure può disporre di un rispettabilissimo stipendio da consigliere regionale della Lombardia. Se non cattive, forse un po’ troppo esose.
Meno male che esistono gli amici, antichi e maschi. Loro non tradiscono mai.
A cominciare dall’avvocato Cesare Previti, che i soldi li sapeva usare.
La Corte di Cassazione, il 13 luglio 2007, ha stabilito che la sentenza che nel 1991 annullò il Lodo Mondadori, consegnando il primo gruppo editoriale italiano a Silvio Berlusconi sfilandolo a Carlo De Benedetti, era comprata.
L’acquirente era proprio Cesare Previti, agente per conto del Cavaliere con denaro della Fininvest, beneficiaria finale di tutto.
E che dire del compagno di mille battaglie Marcello Dell’Utri , condannato a sette anni in secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa (il giudizio definitivo è atteso in autunno)?
Il cofondatore di Forza Italia si definisce “principe decaduto” ma per la verità non se la passa troppo male. E grazie a cosa, se non alla generosità di B.? Sui conti del senatore bibliofilo sono piovuti di recente 9 milioni e mezzo con cui è stata ristrutturata la villa sul Lago di Como.
Ottimo anche l’avvocato inglese David Mills.
Condannato in primo e in secondo grado per corruzione in atti giudiziari, ha atteso con serenità la prescrizone in Cassazione senza fare troppe storie su quei 600 mila dollari ricevuti da B. per deporre come si deve (lo dicono le motivazioni della Suprema Corte) nei processi Arces e All Iberian, tenendo fuori il presidente “da un sacco di guai”. Buoni. Senza se e senza ma.
Silvio B. sa essere riconoscente con chi gli è fedele (Emilio Fede) e con chi lo fa divertire (Lele Mora).
Se poi sui 2 milioni e 850 mila euro elargiti a Mora (indagato per bancarotta fraudolenta per il fallimento della LM Managment) Fede se ne intasca metà (dice Lele) che colpa ne ha B.? Buoni, ma un po’ pasticcioni.
È molto difficile essere Silvio Berlusconi, al giorno d’oggi.
Chi vuol essere milionario può sciegliere da che parte giocare.
Stefano Caselli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
LO DICONO LE STESSE BANCHE: APPLICANDO LA PATRIMONIALE, COME IN FRANCIA, SI POTREBBERO RECUPERARE 10 MILIARDI
Dopo il miliardario Warren Buffett, dopo il manifesto dei “ricchi” francesi, dopo Montezemolo
anche Sergio Marchionne si dice favorevole a una tassa patrimoniale: “Sono disposto a fare qualunque cosa se l’obiettivo è chiaro”, ha detto l’amministratore delegato della Fiat al Meeting Cl di Rimini.
Tutto, tranne spostare la propria residenza fiscale dalla Svizzera all’Italia condizione che gli
permette di pagare un’imposta sullo “stipendio” da manager Fiat del 30 per cento contro il 43 dei suoi colleghi residenti in Italia.
Un risparmio del 13 per cento che su circa 4 milioni di compenso ammonta a circa 500mila euro.
Come si vede il problema della tassazione delle grandi fortune è complesso e non si risolve semplicemente con una patrimoniale.
Ma, in ogni caso, se questa fosse varata genererebbe non poche entrate.
La Cgil, presentando la sua “contromanovra” , ha stimato un gettito di 15 miliardi di euro all’anno se si applicasse in Italia il sistema dell’Imposta sulle fortune in vigore in Francia.
Lì, si paga lo 0,55 per cento a partire da 800mila euro di ricchezza con un sistema di aliquote progressive che arrivano a 1,8 per cento per i patrimoni superiori ai 15 milioni.
Ma come individuare i ricchi?
Consultando dati ufficiali si desume che stiamo parlando di poche persone con grandi ricchezze in tasca.
La Banca d’Italia ha stimato, nel 2009, in 8.600 miliardi la ricchezza netta complessiva — dedotte le passività , come i mutui — corrispondenti a circa 350mila euro a famiglia.
Ma la distribuzione di tale ricchezza è tra le più ineguali al mondo: se la metà più povera detiene, infatti, solo il 10 per cento della ricchezza complessiva al contrario il 10 per cento più ricco ne possiede quasi il 45 per cento.
Stiamo parlando di circa 2,4 milioni di famiglie con in mano oltre 3.870 miliardi di euro.
Cioè circa 1,6 milioni di euro a famiglia.
Quindi, se si vuole tassare la fortuna occorre andare a bussare da quelle parti.
E per farlo i dati non mancano.
Uno dei più interessanti è quello fornito dall’Associazione italiana del Private banking, le società di gestione del risparmio privato, che ha censito gli italiani con patrimoni superiori ai 500mila euro.
Si tratta di 611.438 famiglie di cui la maggioranza, 415mila, detiene patrimoni tra i 500mila e il milione di euro.
Numeri che fanno riflettere se si pensa che solo 74 mila persone (lo 0,17 per cento dei contribuenti) dichiarano più di 200 mila euro di reddito.
Poi ci sono i più ricchi, quasi 200mila famiglie, che hanno patrimoni compresi tra il milione e i 10 milioni di euro per arrivare all’elite dei 7.982 “paperoni” che supera i 10 milioni.
Ben piazzate le “casalinghe”, cioè prestanomi che, mediamente, posseggono 1,2 milioni di euro. Complessivamente si tratta di 896 miliardi di euro detenuti per il 15 per cento proprio dalla fascia più alta, quella con più di 10 milioni di patrimonio, che rappresenta solo l’1 per cento del totale.
Come si vede anche ai livelli più alti si riscontrano ineguaglianze e concentrazioni di ricchezza. Su queste cifre, una tassazione sul modello francese potrebbe sfiorare i 10 miliardi di entrate per lo Stato.
Ma in Italia, è sempre la Banca d’Italia a ricordarlo, il grosso della ricchezza è concentrata in immobili, le attività finanziarie rappresentano “solo” il 37 per cento della ricchezza complessiva. Alla fine del 2009 la ricchezza in abitazioni detenuta dalle famiglie italiane era stimata in circa 4.800 miliardi di euro.
Secondo i dati dell’Agenzia per il Territorio addirittura in 5.443 miliardi per effetto di un calcolo più aggiornato.
Dei proprietari di immobili, sempre secondo l’Agenzia, 10 milioni risultano lavoratori dipendenti e 9,6 milioni sono pensionati.
Poi ci sono i titolari di proprietà immobiliari con redditi derivanti da attività di lavoro professionale, di impresa e di partecipazione, pari a 2,5 milioni.
Circa 2 milioni di proprietari, infine, presentano “come fonte prevalente di reddito una rendita da immobili, pur non dichiarando redditi da lavoro dipendente, da lavoro autonomo o da pensione”. Sono quelli che vengono definiti “rentier”.
Ordinando l’insieme dei proprietari, spiega ancora l’Agenzia , per il valore delle quote di proprietà delle abitazioni possedute, emerge che il 5 per cento di proprietari più ricchi possiede un valore delle abitazioni pari a circa il 25 per cento del totale.
Cioè, 1,2 milioni di proprietari possiede circa 1.200 miliardi di patrimonio immobiliare — secondo la Banca d’Italia ma sono 1.360 miliardi secondo l’Agenzia del territorio — per una media di 1 milione di euro a fronte di una media nazionale di circa 200mila euro.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
LO SCANDALO DEI FUORI RUOLO, SOLO I MAGISTRATI SONO TRECENTO… VENDERE AI PRIVATI SIGNIFICA SPESSO PROFITTI PRIVATI E PERDITE PUBBLICHE
Il governatore Formigoni dice che i cittadini chiedono un segnale: vendere le Poste, la Rai, il patrimonio immobiliare.
L’esperienza ha purtroppo insegnato che finora vendere significa svendere, o meglio, profitti privati e perdite pubbliche.
Il ministro è sempre lo stesso, quello della cartolarizzazione più grande del mondo, ovvero la vendita degli immobili degli enti previdenziali, attraverso società di diritto lussemburghese,
Un fallimento pagato da noi e che qualcuno ha definito «romanzo criminale».
Forse il cittadino avrebbe maggiore fiducia se a vendere fosse una nuova generazione politica. Certo è che il primo segnale che il cittadino, quello che deve continuare a tirarsi il collo, oggi chiede, è di farla finita almeno con privilegi che gridano vendetta e che si continua ad escludere dalla cura dimagrante.
Era l’inizio di dicembre 2010, era appena stata varata una manovra di correzione dei conti pubblici con i soliti tagli lineari, quando invitammo, senza essere degnati di cortese risposta, la presidenza del Consiglio e il ministro Tremonti a provvedere all’eliminazione di una norma che non ci risulta applicata in nessun altro paese civile: l’incasso di uno stipendio per un mestiere che non fai.
Quando un dipendente pubblico viene chiamato a svolgere un incarico presso un ministero, una commissione parlamentare, un’authority o un organismo internazionale, va in «fuori ruolo».
Trattandosi di incarico temporaneo, conserva ovviamente il posto, l’anomalia è che conserva anche lo stipendio, a cui si aggiunge l’indennità per il nuovo incarico. In sostanza due stipendi per un periodo di tempo spesso illimitato.
Nel 1994 il Csm lanciava l’allarme, segnalando «il numero crescente dei magistrati collocati fuori ruolo, la durata inaccettabile di alcune situazioni, alcune superano il ventennio, quando non il trentennio… la reiterazione degli incarichi… con la creazione di vere e proprie carriere parallele».
Domanda: è ammissibile che un soggetto che non lavora per un’amministrazione, ma lavora per un’altra, venga pagato anche dall’amministrazione per la quale non lavora? Sono bravi dirigenti dello Stato, sicuramente i migliori, visto che sono sempre gli stessi a passare cronicamente da un fuori ruolo ad un altro, lasciando sguarnito il posto d’origine perchè non possono essere sostituiti, e i loro colleghi che restano in servizio si devono far carico anche del loro lavoro.
E poi c’è il danno, il magistrato fuori ruolo percepisce anche l’indennità di malattia, mentre quelli in servizio la perdono.
Per arrivare alla beffa, e cioè possono essere promossi, ovvero avanzare di carriera mentre sono fuori ruolo.
Ad esempio Antonio Catricalà è fuori ruolo dal Consiglio di Stato da sempre, è stato capo gabinetto di vari ministri di schieramenti opposti, poi all’Agcom, fino al 2005 segretario della presidenza del Consiglio con Berlusconi, quindi nominato presidente dell’Antitrust. Non ricopre la carica in Consiglio di Stato, ma ciononostante nel 2006 da consigliere diventa presidente di sezione, e senza ricoprire quel ruolo incassa uno stipendio di 9.000 euro netti al mese che si aggiungono ai 528.492,67 annui dell’Antitrust.
A fare carriera senza ricoprire la carica è anche Salvatore Sechi, distaccato alla presidenza del Consiglio con un’indennità di 232.413,18, e Franco Frattini, nominato presidente di sezione del Consiglio di Stato il 7 ottobre del 2009 mentre è ministro della Repubblica (che però risulta in aspettativa per mandato parlamentare).
Consigliere di Stato è anche Donato Marra: percepisce 189.926,38, più un’indennità di funzione di 352.513,23 perchè è alla presidenza della Repubblica.
Il dottor Paolo Maria Napolitano oltre allo stipendio di consigliere di Stato in fuori ruolo, prende 440.410,49 come giudice della Corte costituzionale.
Anche Lamberto Cardia, magistrato della Corte dei conti fuori ruolo, è stato 13 anni alla Consob, ma il 16 ottobre del 2002 è stato nominato presidente di sezione, «durante il periodo in cui è stato collocato fuori ruolo», specifica l’ufficio stampa della Corte dei conti, «ha percepito il trattamento economico di magistrato, avendo l’emolumento di 430.000 euro corrisposto dalla Consob, natura di indennità ».
Tra Consiglio di Stato, Tar, Corte dei conti, Avvocatura dello Stato e magistratura ordinaria, sono fuori ruolo circa 300 magistrati che mantengono il loro trattamento economico percependo un’indennità di funzione che a volte supera lo stipendio. Il commissario dell’Agcom Nicola D’Angelo ha sentito la necessità di rinunciare all’assegno e mettersi in aspettativa.
Dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni riceve un’indennità di 440.410,49 annui, dall’agosto del 2010, dopo la manovra che tagliava gli insegnanti di sostegno nelle scuole per i disabili e gli stipendi dei dirigenti pubblici del 10%, ha rinunciato ai 7.000 euro al mese che prendeva da consigliere del Tar fuori ruolo.
Una scelta personale, visto che non ci ha pensato Tremonti.
D’Angelo dice di essere l’unico a porsi un problema etico, in effetti gli altri, ad esempio Alessandro Botto, consigliere di Stato fuori ruolo e componente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con doppio stipendio, ha dichiarato di non sapere che si potesse rinunciare al doppio assegno.
La giustificazione è che lo stipendio da magistrato serve ad integrare quello per la carica da dirigente perchè non abbastanza remunerata.
È proprio vero che all’ingordigia non c’è fine: il presidente della Consob spagnola prende 162.000 euro l’anno, quello delle telecomunicazioni 146.000, non un euro in più, e nessun magistrato prestato ad altre funzioni mantiene il posto e tantomeno lo stipendio.
Le nostre associazioni dei magistrati hanno chiesto più volte di limitare l’uso dei magistrati fuori ruolo ai casi strettamente necessari, perchè si può creare una pericolosa commistione tra ordine giudiziario e potere politico, oltre a quello di sottrarre centinaia di magistrati al lavoro di giudici per svolgere il quale sono stati selezionati e vengono pagati.
Ma sicuramente alla politica che sceglie, dai capi gabinetto ai membri delle Authority, fa sempre comodo «valorizzare» i magistrati, sia penali che amministrativi, perchè in atti dove si deve forzare un po’ la mano, possono dare utili consigli.
Allora, visto che in questi giorni ai cittadini verranno imposte lacrime e sangue, cominciamo ad eliminare elargizioni e benefici il cui accumulo rende impossibile perfino la quantificazione.
Non sono questi i numeri che porteranno al pareggio di bilancio, ma certamente hanno contribuito a far sballare i conti e alla formazione di una cultura arraffona e irresponsabile.
Una classe politica che non sa essere «giusta» incattivisce i suoi cittadini, e alla fine verrà condannata dalla storia.
Milena Gabanelli e Bernardo Iovene
(da “Il Corriere della Sera“)
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Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
LA LEGGE IMPONE UNA DRASTICA RIDUZIONE DEI DIRIGENTI, IL MINISTRO LI TIENE IN VITA
In questi giorni di stangate e rigore, di forbici che tagliano ovunque, tranne che nei pressi
della Casta, la storia dell’Aci e del fantomatico decreto firmato dal ministro Brambilla diventa ancor più interessante.
L’Aci è infatti un “ente pubblico non economico”, con circa un milioni di iscritti e partecipazioni in parecchie società : Sara assicurazioni, Ala assicurazioni, Aci Mondadori, Ventura e altre ancora.
Insomma, l’Aci non è una robetta da niente, e il suo presidente Enrico Gelpi ogni anno intasca un’indennità da circa 300mila euro.
Ai suoi tre vicepresidenti, invece, ne spettano circa 100 mila.
A vigilare sulla correttezza di questo ente pubblico, è il ministero Michela Vittoria Brambilla, poichè l’Aci è soggetta al controllo del ministero del Turismo.
La stessa Brambilla che vede Eros Maggioni , il suo compagno, sedere al consiglio direttivo dell’Aci Milano.
La Brambilla avrebbe dovuto controllare, quindi, la regolarità delle elezioni e, soprattutto, l’applicazione dell’art.6 comma 5 del decreto legge 78/2010, che prevede la riduzione dei costi degli apparati pubblici e avrebbe dovuto ridurre il Consiglio Generale da 43 a soli 5 membri.
Ma questo non è mai accaduto.
Il Consiglio Generale dell’ente è scaduto a dicembre 2010, ma le nuove elezioni previste dallo statuto non si sono mai viste.
Rischiava anche il Comitato Esecutivo, una specie di doppione dunque ulteriore fonte di costi da eliminare.
A otto mesi dal novembre 2010, nulla è cambiato.
L’avvocato potentino Giuseppe Nolè, presidente della federazione italiana karting – associazione sportiva interna ad Aci Csai – a maggio diffida l’Aci a rispettare le norme: chiede nuove elezioni e riduzione dei costi e dei componenti.
Scrive anche al ministero, finchè si vede recapitare una lettera, con l’intestazione “Presidenza del Consiglio dei ministri”. Il contenuto è doppiamente interessante.
Si scopre che l’8 settembre la Brambilla, invece di prendere provvedimenti per la mancata riduzione dei costi, passa la palla al Consiglio di Stato, chiedendo un suo parere. Un conto è eleggere 43 membri, un altro è eleggerne solo 5 e quindi, nel frattempo, le elezioni rischiano di slittare.
E infatti: la data delle elezioni si avvicina e – in assenza del parere, sebbene lo Statuto dell’Aci prevedesse le elezioni, – si giunge alla scadenza del mandato per l’intero consiglio generale.
Come dire: la democrazia interna, il diritto dei soci a eleggere i propri rappresentanti, si sospende d’incanto.
Il 16 dicembre 2010, l’Aci modifica alcuni articoli dello Statuto, e differisce a marzo 2012 la scadenza del Consiglio generale: una proroga di ben 14 mesi.
La delibera viene trasmessa al Gabinetto del Ministro Brambilla. E qui viene il bello.
Il gabinetto del ministro istruisce la pratica per un decreto di approvazione.
È la stessa presidenza del Consiglio a scrivere, nella lettera indirizzata a Nolè, che “il Gabinetto dell’Onorevole Ministro ha seguito direttamente la vicenda predisponendo i relativi atti”.
Sappiamo quindi, da una fonte ufficiale, che questa vicenda è stata seguita direttamente dal ministro. Ecco come.
Negli atti del ministero si legge che l’Aci ha modificato gli articoli 6, 13 e 18 dello Statuto.
Con questa modifica, in teoria, si sarebbe sanata una grave irregolarità , l’omesso svolgimento delle elezioni. A mettere un sigillo sull’operazione, arriva il decreto, istruito dal gabinetto della Brambilla che, da vigilante sull’Aci, firma l’atto il 23 dicembre 2010. Per essere una “vigilanza”, c’è qualche distrazione di troppo, visto che il testo degli articoli 13 e 18 del vigente Statuto, approvato con decreto 23 dicembre 2010, è identico al testo precedente .
Le modifiche riguardavano gli articoli 12 e 19, che nel decreto non vengono neanche menzionati.
Se non bastasse, bisogna ricordare che un decreto, per essere efficace, deve essere pubblicato.
Ebbene: dal 23 dicembre a oggi, sulla Gazzetta Ufficiale, di quel decreto non c’è traccia, dunque è tuttora inefficace. ma c’è di più: l’Aci lo mette sul proprio sito web e – addirittura – dichiara che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 2011. Falso.
Eppure l’Aci è tenuta a rispettare le norme sulla trasparenza degli atti.
E il ministero dovrebbe vigilare sulla sua correttezza. Non è ancora tutto.
Il fantomatico decreto viene utilizzato, ufficialmente, in un altro atto pubblico: il 27 giugno, l’Aci, lo utilizza per difendersi, in una vertenza con l’Agcm. Un decreto che, di fatto, non c’è, ma nessuno fa una piega.
Tanto meno la Brambilla.
E ancora: Se il decreto non è efficace, gli organi Aci – che continuano a lavorare senza essere stati eletti – dovrebbero essere decaduti. Se così fosse, l’ente dovrebbe essere commissariata.
Da chi? Sempre dalla Brambilla, che però ha avallato tutta l’operazione, con il suo decreto, scritto sì, ma inefficace.
A questo punto non si capisce chi controlla chi.
Neanche i parlamentari possono controllare la situazione. Da mesi, il senatore dell’Idv Felice Belisario, chiede un chiarimento al governo, ma dalla Brambilla, nonostante diverse interrogazioni parlamentari, non è mai arrivata una risposta. Nel frattempo è arrivata la risposta del Consiglio di Stato che, a luglio, ha emesso il proprio parere.
Il parere non sposta di una virgola il pasticcio del decreto non pubblicato. Ma almeno offre un indirizzo: la riduzione degli organi – quindi l’applicazione dell’art.6 comma 5 del decreto legge 78/2010 – per l’Aci può anche non essere applicata, in quanto facendo parte del Coni, risponde alle regole delle federazioni sportive.
A dirla tutta, le categorie sportive dell’automobilismo riconosciute non costituiscono, con i loro rappresentanti, il Consiglio Generale ed il Comitato Esecutivo della propria federazione sportiva Aci.
Il Consiglio di Stato, però, aggiunge un altro “dettaglio”: le cariche collegiali e monocratiche degli enti pubblici devono essere ricoperte a titolo onorifico: non può essere erogata alcuna indennità di carica.
Se l’interpretazione venisse accolta, il Presidente dell’Aci non potrebbe più percepire l’indennità da circa 300 mila euro, i tre Vicepresidenti quella da 100 mila annui, ma nè l’Aci, nè la Brambilla, a questa parte del parere, sebbene ufficialmente chiesto al Consiglio di Stato, hanno mai mostrato alcun interesse.
Tutto è rimasto com’era.
Antonio Massari
da (“il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
LE DICHIARAZIONI DEL TITOLARE DELLA PRINT SYSTEM: “HO CONSEGNATO I SOLDI AL SEGRETARIO AMMINISTRATIVO DEL PARTITO, GIUSEPPE NARO”…AL CENTRO DELLA VICENDA UN GIRO DI APPALTI ASSEGNATI DA ENAV E SELEX
Una mazzetta da 200mila euro versati dall’imprenditore Tommaso Di Lernia al segretario amministrativo dell’Udc Giuseppe Naro, negli uffici del partito, dove era stato accompagnato dal manager pubblico dell’Enav di area Udc, Guido Pugliesi.
È questa l’ultima rivelazione del “cow boy”, Tommaso Di Lernia ai pm, contenuta in un verbale segreto.
Le accuse di Di Lernia devono essere riscontrate, ma su un punto tutti sono d’accordo: l’incontro nella sede dell’Udc c’è stato.
Era una mattina dei primi giorni del febbraio 2010.
Di Lernia, 47 anni, titolare di Print System, re degli appalti nelle società Selex ed Enav, grazie anche alle mazzette in uscita dai suoi conti a Cipro, si incammina a Roma verso via due Macelli 66, sede dell’Udc.
Lo accompagna Guido Pugliesi, 70 anni (una carriera nel gruppo Stet-telecom in quota De Mita e da manager della Sanità pubblica) da 8 anni alla guida l’Enav, una delle aziende pubbliche più appetibili dalla politica.
Grazie alla delicatezza delle sue opere (soprattutto i radar degli aeroporti) Enav assegna lavori per centinaia di milioni di euro senza gara.
Nel 2003, quando Pugliesi diventa ad, il Corriere della Sera scrive: “La capacità di intrecciare relazioni trasversali ha fruttato a Pugliesi la difficile poltrona dell’Enav. Che lui, agli amici, non nega di aver raggiunto con la sponsorizzazione dell’Udc, in virtù di una vecchia conoscenza con Casini e Follini”.
Passano 7 anni e ritroviamo il grande ricucitore nel febbraio 2010 insieme a Tommaso Di Lernia verso via due Macelli.
Qui entrano nell’ufficio del segretario amministrativo dell’Udc: Giuseppe Naro, detto Pippo, 63 anni.
Di Lernia ha un regalo per lui, o meglio per il suo partito: una borsa con 200mila euro in contanti.
L’incontro non è contestato da nessuno. Le versioni divergono sulla mazzetta.
Nell’ultimo interrogatorio segreto di Di Lernia, infatti, dopo avere spiegato il sistema dei lavori Selex-Enav, le triangolazioni e i subappalti per creare i fondi neri, i conti a Cipro, e l’uso della provvista per pagare Lorenzo Cola (l’uomo chiave dei rapporti tra i vertici Finmeccanica e il mondo dei subappaltatori) Di Lernia tira fuori l’asso nella manica: la vecchia mazzetta in contanti al partito, come ai vecchi tempi di Mani pulite.
Prima di raccontare quella visita all’Udc, Di Lernia spiega il contesto dei rapporti tra i subappaltatori come lui, i manager di Selex-Finmeccanica (soggetto pubblico che realizza i radar per Enav) e quelli di Enav-Tecnosky (altro soggetto pubblico che appalta i lavori a Selex) e la politica: “L’accordo era che Selex avrebbe sovrafatturato del 60% i lavori affidati a Print System (società di Di Lernia, ndr) e Print System avrebbe ugualmente sovrafatturato alle società cipriote che avevo creato grazie a uno studio di consulenza di Nicosia”.
Di Lernia nei suoi primi verbali precisa di “non aver pagato nessuno e men che meno Pugliesi”, ammette solo “favori”: “Per alcuni lavori su Palermo mi sono accordato per subappalti a società da lui indicate, credo perchè vicine all’Udc. Una di queste era riferibile a tale Proietti (Angelo, ora indagato per la storia della casa di Marco Milanese, i cui canoni non sono mai stati pagati dall’ex braccio destro di Giulio Tremonti, ndr) mentre altre due erano Euroiset e Serit. Poi a tale operazioni non venne dato alcun seguito, per l’opposizione di Lorezo Cola”.
Cola era l’uomo chiave della filiera dei lavori sui radar.
Per lavorare, spiega Di Lernia, dovevo eseguire tutto quello che lui mi chiedeva, compresi i pagamenti ai politici: “Cola mi chiese di finanziare l’articolazione politica di un partito. Si trattava di ‘Officina delle libertà ‘, che ho finanziato con erogazioni provenienti prima da Print System e poi da Eurotec.
Gli accordi per tali finanziamenti li ho presi con tale Gori, segretario personale dell’onorevole Aldo Brancher. In altra occasione su richiesta di Cola ho acquistato una barca dall’onorevole Milanese”.
E per queste vicende c’è un’altra indagine.
In questi primi verbali però Di Lernia non parla di soldi all’Udc.
E anche nei confronti di Pugliesi è cauto.
Al centro del sistema che descrive non c’è l’Enav, ma Selex e, soprattutto, Cola.
Grazie a questi rapporti con Finmeccanica, Di Lernia stava per fare il grande salto. Finmeccanica aveva ottenuto un appalto da 150 milioni in Libia e avrebbe girato alla Print System lavori importanti.
Ovviamente nulla gratis.
Racconta Di Lernia: “Nel 2009 erogai a Cola 3,7 milioni di euro, realizzati attraverso le sovrafatturazioni indicate tramite le società di Cipro, nel 2010 c’è stato uno strascico di qualche centinaio di migliaia di euro”.
Il sistema funzionava perfettamente da anni.
Ed era sopravvissuto a tutte le inchieste: Enav appaltava alla società pubblica Selex Sistemi integrati diretta da Marina Grossi, moglie di Pierfrancesco Guarguaglini, indagata per corruzione, lavori per centinaia di milioni e Selex girava i subappalti alle società legate a Lorenzo Cola, uomo legato a Guarguaglini.
Grazie alla sponsorizzazione di Finmeccanica, che alla fine pagava, Enav affidava i subappalti soprattutto a due società : la Arc trade di Marco Iannilli e la Print System di Di Lernia che aveva addirittura un mandato specifico di Selex per i rapporti con Enav. Di Lernia, inoltre, aveva stretto un rapporto di ferro con Fabrizio Testa, il presidente della controllata Enav che si occupava dei lavori, la Tecnosky.
Proprio Fabrizio Testa, che lasciò la società su pressione di Pugliesi nel 2010, racconta di avere sentito parlare di pagamenti di Di Lernia a Pugliesi e aggiunge: “Di Lernia entrava direttamente nell’ufficio di Pugliesi senza fare la trafila imposta anche ai consiglieri di amministrazione”.
Nei primi verbali Di Lernia nega ogni pagamento.
Solo nell’ultimo racconta di avere consegnato quella mattina del febbraio 200mila euro al segretario amministrativo dell’Udc.
Diversa la versione che l’avvocato di Pugliesi, Francesco Scacchi, ha inserito in una serie di memorie prima che Di Lernia parlasse.
Secondo la difesa di Pugliesi, quell’incontro nella sede dell’Udc c’è stato.
Ma non c’è stata nessuna mazzetta, al massimo una vaga promessa di un futuro finanziamento, regolare, mai realizzato.
Sempre secondo la difesa di Pugliesi, il presidente Enav aveva avviato nel gennaio del 2010 un audit interno sui lavori concessi alle due società poi al centro dell’inchiesta.
Pugliesi aveva poi messo all’angolo il presidente di Tecnosky, Fabrizio Testa, che, di lì a poco, dovrà andarsene. S
crive l’avvocato Scacchi in una memoria: “È questa la reale matrice delle dichiarazioni (accusatorie contro Pugliesi, ndr) rese da Cola, Iannilli e Di Lernia nei confronti di chi (il dr Pugliesi) ha azzerato i rapporti con la società Arc Trade, riferibile ai medesimi bloccandone i pagamenti da parte di Tecnosky, controllata da Enav, ciò nonostante i tentativi di componimento più o meno manifesti posti in essere tra il gennaio e il marzo del 2010 dal signor Di Lernia”.
Ecco il senso dell’incontro del febbraio 2010: Di Lernia, lascia intendere la difesa, cercava di tutelarsi dall’azione ostile di Pugliesi blandendo l’Udc, anche con un finanziamento. Pugliesi avrebbe solo accompagnato Di Lernia, su sua richiesta, all’appuntamento, ma non ci sarebbe stato nessun passaggio di soldi.
Ora saranno i carabinieri del Ros a dover scoprire come sono andate davvero le cose.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 26th, 2011 Riccardo Fucile
CON MONTEZEMOLO SI SCHIERA LA BORGHESIA LIBERALE E I DELUSI DEL PD E DEL PDL….UN PORTAVOCE IN OGNI REGIONE, DALLA MERLONI A MATARRESE…L’IDEA E’ DI CORRERE DA SOLI, MA SERVE LA RIFORMA ELETTORALE
Un pre-partito. “Italia Futura” di Luca Cordero di Montezemolo non è più solo un pensatoio. 
Ha oltrepassato i confini del think tank e fa già politica.
La Fondazione è passata dai temi sociali (la mobilità e la scuola, per esempio) alla politica in senso stretto.
Italia Futura (If) ha presentato la sua proposta alternativa per la manovra economica e si sta preparando a schierarsi in autunno a sostegno del referendum elettorale che punta al ritorno del Mattarellum.
L’accelerazione sui temi politici è stata impressa negli ultimi mesi con l’aggravarsi della crisi economica e soprattutto con la decomposizione della maggioranza di governo e la progressiva perdita di credibilità di quest’ultimo.
In questa accelerazione “If” non è più alla ricerca di un posto al tavolo del Terzo Polo di Casini, Fini e Rutelli.
Andrà da solo Montezemolo, scommettendo su un’altra legge elettorale, appunto, imposta per via referendaria e non certo per convincimento parlamentare.
Pensa al post-berlusconismo, a uno scenario politico diverso da quello attuale dove i poli non siano più Pdl e Pd.
Che, infatti, entrambi, l’hanno attaccato.
Ha preannunciato Montezemolo stesso: «Tra un anno e mezzo potrebbe esserci un’offerta politica nuova».
E ieri è arrivato l’endorsement preventivo – e a sorpresa – di Sergio Marchionne, numero uno della Fiat, il gruppo proprietario della Ferrari di cui Montezemolo è presidente.
Marchionne non è più il “socialdemocratico” che sembrò alla sinistra qualche anno fa. Ora è l’uomo della rupture sindacale.
Poi è stato sedotto dall’impasto ciellino tra partecipazione e sussidiarietà .
Infine potrebbe ritrovarsi liberal quando Montezemolo presenterà la sua offerta politica.
La “fase due” della Fondazione, movimento civico ancora “leggero”, borghese, laico e liberale, con 30 mila adesioni e sedi in diverse regioni, è cominciata di fatto proprio con la presentazione della contro-manovra.
Ed è proprio lì, nelle schede della manovra targata If – ma soprattutto scritte e pensate dall’economista liberal Nicola Rossi, già consigliere di Massimo D’Alema, ora senatore fuoriuscito dal Pd di Bersani e approdato al gruppo misto – che si intravede il profilo, se non ideologico, culturale, del movimento: poco Stato ma forte nelle sue funzioni essenziali (sicurezza, sanità , scuola, giustizia) e un ambizioso ruolo della società civile.
Una “Big society”, secondo lo slogan del premier e leader conservatore britannico David Cameron.
E che piace agli uomini di Italia Futura. Come Andrea Romano, direttore della Fondazione, storico, e già – anch’egli – collaboratore di D’Alema a Italianieuropei.
Ha scritto Romano a proposito del progetto dei tories: «Non è tanto una traduzione inglese della sussidiarietà di matrice cattolica, secondo la frettolosa interpretazione di alcuni politici di casa nostra (come il ministro Sacconi), ma piuttosto l’indicazione di un percorso pienamente liberale di rinascita economica che possa scommettere sulla capacità della società di tornare a produrre crescita e valore».
Insomma If declina la società civile e l’attività imprenditoriale in maniera culturalmente distinta da quella di Cl e del suo braccio finanziario, la Compagnia delle opere (insieme la “Lobby di Dio”, secondo la felice sintesi di un libro-inchiesta di Ferruccio Pinotti).
Che poi Marchionne abbia scelto il Meeting di Rimini per “dichiararsi” potrebbe essere solo una coincidenza.
Certo è sulla società civile che punta Montezemolo. Su un rinnovato impegno della borghesia.
Come quello di Diego Della Valle – patron di Tod’s, uomo della rupture finanziaria che ha portato alla defenestrazione di Cesare Geronzi dalle Generali, e amico personale di Montezemolo – che dietro le quinte partecipa, e finanzia (pare), il progetto.
Oppure quello di Carlo Calenda, manager under 40, con Montezemolo prima alla Ferrari e poi in Confindustria, o di Irene Tinagli, economista delusa dal Pd.
Italia Futura si sta radicando nel territorio.
Ha aperto le sue sedi nelle Marche, in Liguria, in Toscana, nel Lazio.
A settembre lo farà in Campania, Puglia e Veneto.
Ciascuna ha una sorta di portavoce. Ci sono Maria Paola Merloni (figlia dell’imprenditore e parlamentare pd), Federico Vecchioni (già presidente della Confagricoltura), Maurizio Rossi (proprietario della tv ligure Primocanale), Salvatore Matarrese, (presidente dei costruttori pugliesi).
Infine If ha stretto un patto con “Verso Nord”, associazione trasversale convinta che «non tutte le strade del nord portino alla Lega».
Ecco, così nasce «una nuova offerta politica».
Roberto Mania
(da “La Repubblica“)
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